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Passando invece al barocco, i suoi segni producevano scenografia, trasformavano il
paesaggio urbano in un teatro. Il Barocco si apre alla grande varietà di forme e
possiamo asserire di trovarci in presenza di un concerto pietrificato. Come il Barocco è
una sorta di vestibolo che conduce alla modernità allo stesso modo il concerto apre la
porta alla musica moderna. Non è casuale che, proprio mentre a Roma esordisce il
barocco, il concerto emerga da precedenti manifestazioni musicali e si esibisca il
composizioni strumentali con più suonatori. Il ritmo o meglio ancora la composizione di
ritmi, che ha luogo nel concerto, mostra una stupefacente analogia con il ritmo dei
segni che connotano i luoghi del Barocco. In ambedue i casi vi è una pluralità di
protagonisti: così come la scultura, pittura, decorazione, stucco, concorrono a creare il
segno barocco, allo stesso modo le componenti dell’orchestra concorrono a dar vita al
susseguirsi, incrociarsi e sovrapporsi di ritmi.
I segni del Barocco urbano e il concerto debuttarono nella stessa epoca e
combinandosi impressero ai luoghi un ritmo che annunciava i caratteri della
modernità. Il segno urbano mostra una grande armonia con le forme della natura e
denota creatività, qualità culturale, assenza di banalità. Il ritmo che avvertiamo lungo
l’asse della Senna, che ci racconta la storia culturale di Parigi, così come quello che
avvertiamo negli anelli che compongono la tavolozza planimetrica di Canberra, ci
conducono indubbiamente ai ritmi del concerto ma un tipo speciale, evolutivo e
raffinato di concerto, quello della sinfonia. In questa forma musicale infatti il ritmo
nasce da un dialogo che si instaura tra un vasto complesso di voci strumentali e si
dispiega su più piani espressivi che si rincorrono a vicenda creando un grande disegno
di suoni e generando un intenso impatto emotivo. La sinfonia dunque è una tessitura
di ritmi che si trova riflessa in quei disegni urbani dove c’è un filo conduttore espresso
da una cultura consapevole delle proprie eredità.
La modernità ha preso campo attraverso strategie di europeizzazione del mondo,
strategie che si sono dispiegate dalla rivoluzione industriale fino all’alba del 900 e
sono state dominate dal protagonismo della Gran Bretagna in campo economico e
quello della Francia in campo culturale. Dall’inizio del 900 gli hanno fatto seguito
strategie di occidentalizzazione e di globalizzazione dominate dal protagonismo degli
Stati Uniti. In ambedue le fasi i segni impressi dalle città sul territorio si sono diffusi
con due connotazioni divaricanti. Da un lato sono emersi segni eccellenti che hanno
manifestato creatività e hanno dato vita ad apparati simbolici che esaltano le capacità
umane di costruire cultura. La maggior parte dei tessuti urbani possiede però caratteri
antipodici: distese di parallelepipedi, uno uguale all’altro e tutti con forme banali,
occupano vasti spazi e caratterizzano anche gli spazi tra le coperture urbane e gli
ambienti rurali e queste strutture offrono paesaggi uniformi e grigi. Proprio in virtù di
questa uniformità i segni della banalità urbana possono essere considerati come il
frutto di un processo globalizzante. Nella globalizzazione vi è assenza di ritmo a causa
dei tratti banali, siamo agli antipodi della sinfonia, coinvolti da rumori uniformi, rumori
pietrificati, il ritmo diventa piatto.
Piazza Italia a New Orleans si inserisce in uno spazio occupato da grattacieli e
intersecato da grandi assi viabili in modo da creare una sorta di Isola nella quale un
ampio sentiero con copertura alberata si inoltra lungo un complesso costituito da
anelli concentrici che si dispongono in una sorta di collina che culmina in uno spazio
centrale circolare. Nel complesso si crea un disegno planimetrico concentrico,
esibendosi come un segno barocco che richiami l’idea di qualcosa che si svolge verso
l’esterno. Ne deriva un paesaggio urbano profondamente contrastante; il disegno
infonde il senso di attesa di qualcosa al di fuori dell’usuale. Il ritmo che ne deriva è
eclettico. Il colonnato rievoca la melodia, impronta ritmica dell’architettura classica; il
disegno concentrico che conduce verso una sorta di centro generatore ci conduce al
concerto, forma legata al barocco; l’architettura al culmine della piazza, soprattutto
quella del ristorante, fa pensare ai ritmi della musica popolare. Nel complesso quindi
non troviamo più un ritmo dominante sul paesaggio ma piuttosto un insieme di ritmi
che si presentano senza alcun ordine predeterminato, senza condurci verso una
particolare rappresentazione del mondo. In sostanza siamo in presenza di un ritmo
ambiguo, frutto di un collage di ritmi, uniti soltanto dal desiderio di suscitare emozioni.
Cap. V Tempo e spazio
Nel 1569 un grande avvenimento scuote il mondo scientifico. Mercatore pubblica la
carta che rappresenta il primo mappamondo che si colloca in una prospettiva di
modernità. Il mappamondo di Mercatone costituì un esordio della rappresentazione
moderna del mondo perché fu elaborato senza preoccuparsi di costruire segni che
fedelmente riproducessero la conformazione delle terre. Così facendo Mercatore
abbandonò il principio di somiglianza cui si era ispirata la cartografia premoderna,
secondo cui la rappresentazione cartografica doveva riflettere i contorni reali delle
terre emerse e dei mari. Mercatore adottò un altro principio, il principio di prossimità,
in base al quale la rappresentazione è costituita da segni che non riflettono più la
realtà ma ne forniscono una visione appropriata per approdare a determinati
significati. Nel riprodurre la superficie terrestre, la cartografia premoderna teneva
conto del soggetto, ora con Mercatore il soggetto diventa secondario, la
rappresentazione assume un carattere astratto come è astratta la geometria cui si
ispira. Per scandagliare come il tempo abbia trovato posto in questo genere di
rappresentazioni bisogna passare dai singoli luoghi agli spazi, cioè estensioni che
accolgono una pluralità di luoghi. La parola luogo ci porta a immaginare una piccola
porzione della superficie terrestre, viceversa la parola spazio ci conduce a immaginare
porzioni piuttosto ampie della superficie terrestre. La prima corrente di pensiero
geografico sui luoghi è emersa all’inizio del Novecento per opera di Vidal de la Blache
che ha proposto di assumere il luogo come il fulcro della rappresentazione geografica.
Da questa prospettiva il luogo era considerato in senso oggettivistico, cioè
prescindendo dal soggetto e le forme del luogo erano assunte come la risultante
dell’incontro tra la natura e la cultura. La seconda corrente di pensiero è emersa negli
anni 70. Il luogo è stato ancora una volta assunto come il fulcro della rappresentazione
geografica ma in termini profondamente diversi da quelli della concezione vidaliana. Il
soggetto è stato infatti introdotto nella rappresentazione e quindi il luogo non è stato
più considerato in sé ma nei termini in cui vive nelle esperienze esistenziali del
soggetto. Se dal luogo ci trasferiamo allo spazio e intendiamo lo spazio come
estensione abbiamo due prospettive, oggettivistica e soggettivistica. In senso
oggettivistico lo spazio è stato inteso come una porzione della superficie terrestre che
esiste in sé al di fuori del soggetto. In senso soggettivistico lo spazio è stato inteso
come una porzione di superficie terrestre caratterizzata da aspetti che attengono la
cultura, caratterizzata cioè da simboli e da valori.
Un'ottima base per riflettere sulle più significative manifestazioni cui la geografia
moderna ha dato luogo nel rappresentare lo spazio può essere trovata nella carta delle
località centrali della Germania meridionale, presentata da Christaller. Questa carta
non rappresenta il territorio in base alle sue caratteristiche materiali ma piuttosto in
base a caratteristiche economiche, diventa quindi una carta astratta nella quale gli
insediamenti urbani non sono più considerati in rapporto alle loro forme, ma come
elementi di una struttura territoriale, cioè una tessitura di funzioni distribuite sulla
superficie terrestre. Nella carta non compaiono elementi che chiamino in causa il
rapporto tra tempo e spazio ma nonostante ciò la carta possiede un certo interesse
per il nostro discorso sul rapporto tra tempo e spazio perché ci mostra come, nella
rappresentazione oggettivistica, lo spazio sia concepito. La visione di Christaller
concepiva il territorio come un insieme di elementi, come possono essere le località
centrali, elementi che grazie alla tessitura di relazioni danno luogo a differenziazione
del territorio. In questa prospettiva la geografia non è più concepita nei termini
proposti da Vidal de la Blache, cioè come scienza dei luoghi, ma piuttosto come la
scienza della differenziazione spaziale. L'idea di territorio viene così sostituita dall'idea
di spazio. Il concetto di territorio infatti si riferisce alle forme concrete della superficie
terrestre; al contrario il concetto di spazio costruisce una visione astratta del territorio.
I geografi tra gli anni 50 e 70 si sono dedicati a discutere quali differenze esistano tra
lo spazio assoluto cioè lo spazio in sé e lo spazio relazionale cioè la superficie terrestre
caratterizzata dalla tessitura degli elementi, fisici e umani. La conclusione di questo
discorso era scontata: lo spazio assoluto è stato considerato estraneo alla geografia e
il campo di interesse di quest'ultima è stato individuato nello spazio relazionale.
Dunque per la geografia strutturalista il territorio si può soltanto riflettere nella
rappresentazione quindi dà luogo a un prodotto poco scientifico perché non spiega
l'ordine che il territorio nasconde. Al contrario il territorio inteso come spazio è una
rappresentazione geometrizzata, che spiega la realtà invece di rifletterla e quindi
rientra a pieno diritto nella scienza.
Alla fine dell'800 la società moderna stava attraversando una svolta di notevole
portata. In quel momento debuttò una carta geografica speciale; era la carta dei fusi
orari. La prima caratteristica consiste nel modo relativistico di concepire il rapporto tra
spazio e tempo. La suddivisione della superficie terrestre in intervalli di 15° di
longitudine era infatti una condizione necessaria ma non sufficiente per rappresentare
il tempo su lunghe distanze. Per rendere lo schema utilizzabile occorreva identificare
anche un meridiano di partenza quindi un fuso orario basilare. Assumendo il meridiano
di Greenwich come meridiano fondamentale fu soddisfatta questa seconda condizione
perché si poté assumere il tempo r