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ricorrenti. LA SUA TEORIA HA VALENZA SCIENTIFICA
La teoria delle crisi di Marx è molto complessa e tuttora oggetto di varie
interpretazioni
Nella visione di Marx si intersecano due spiegazioni della crisi:
la tendenza alla caduta del saggio di profitto (legge della caduta tendeziale del
saggio di profitto)
la contraddizione tra sviluppo economico (guidato dal profitto) e il basso livello
dai consumi della classe dei lavoratori
Sulla tesi della caduta tendenziale del saggio di profitto, per Marx l’operare delle
forze di mercato tenderebbe nel tempo a ridurre il livello di profitto medio del sistema
economico. (?) Questo perché: A) i capitalisti estraggono il profitto dal lavoro degli
operai (residuo, minora salario maggior profitto al capitalista) , B) le continue
innovazioni tecniche spingono i capitalisti ad accrescere l’impiego di macchine
rispetto ai lavoratori direttamente impiegati nel processo produttivo (macchine per
risparmiare sull’uso di lavoro) . Ma se il rapporto tra lavoratori e macchine si riduce, si
ridurrà anche il profitto. La progressiva caduta del profitto determina una crisi
generale del modo di produzione capitalistico conflitto distributivo (riguardo la
distribuzione del reddito).
Per Marx il profitto= rappresenta non solo la remunerazione del capitalista ma anche
il motore dell’accumulazione/crescita. La sua progressiva diminuzione renderà a
un certo punto impossibile la riproduzione del sistema capitalistico e aprirà quindi la
via ad un’epoca di rivoluzione sociale. La concorrenza fra imprese conduce a una
continua serie di rivoluzioni tecniche e organizzative che aumentano al massimo la
produttività di ogni singolo lavoratore e al tempo stesso riducono il suo salario. Ciò
implica un divario crescente tra la capacità produttiva dei lavoratori e la capacità di
spesa degli stessi lavoratori. Questo divario può determinare un problema di sbocchi
per le merci prodotte. La conseguenza è che il processo di accumulazione dei capitali
si blocca e le imprese sono indotte a licenziare i lavoratori ma ciò aumenta
ulteriormente il divario tra capacità produttiva e capacità di spesa, per cui il sistema
rischia di avvitarsi su sé stesso fino al tracollo.
Marx contesta dunque l’idea classica di un capitalismo naturale e quindi eterno,
sostenendo invece la tesi della sua instabilità e della sua storicità. L’elemento di
maggior contraddizione del capitalismo è che la feroce competizione tra capitali da un
lato sviluppa nuove tecniche e nuove forze produttive, ma dall’altro scatena le crisi e
quindi genera tensioni nei rapporti di produzione tra le classi sociali.
La classe lavoratrice si ritrova ad essere l’artefice in ultima istanza dello sviluppo
delle forze produttive, poiché quello sviluppo avviene soprattutto in base allo
sfruttamento imposto dal comando del capitale sul lavoro. Al tempo stesso, la classe
lavoratrice risulta anche la prima vittima della disoccupazione e della crescente
povertà causata dalle ricorrenti crisi del capitalismo.
Le contraddizioni del capitalismo ricadono dunque principalmente sui lavoratori
salariati, artefici e vittime del sistema. In quest’ottica Marx giudicava il capitalismo
un sistema potente ma caotico, destinato prima o poi ad entrare in una crisi
irreversibile e ad esser quindi sostituito da un diverso sistema di organizzazione dei
rapporti economici e sociali. L’analisi marxiana potrebbe in questo senso essere
considerata una indagine sulle condizioni di riproducibilità del modo di produzione
capitalistico. Quando si dice che in Marx è fondamentale il concetto di storicità, si
intende che i sistemi economici non sono affatto eterni ma risultano storicamente
determinati, nel senso che possono cambiare nel tempo. Ad esempio, la R. Francese
ha sancito il passaggio dall’Antico regime feudale (basato sul potere dei proprietari
terrieri) al regime di produzione capitalista (in cui il potere è nelle mani dei proprietari
delle imprese). Allo stesso modo, è possibile che il capitalismo a un certo punto
imploda nelle sue contraddizioni e ceda il passo a una nuova e diversa modalità di
organizzazione dei rapporti sociali.
Marx si attendeva una svolta rivoluzionaria guidata dalla classe lavoratrice (operato
basato sullo sfruttamento), a seguito della quale potesse sorgere un sistema di tipo
socialista. Un sistema non più basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione e
sul lavoratore salariato posto sotto il comando del capitalista, ma fondato invece sulla
proprietà collettiva dei mezzi di produzione e sulla pianificazione sociale del lavoro. In
una prima fase il sistema socialista si sarebbe basato sul controllo statale sui mezzi di
produzione, sulla divisione del lavoro e sulle retribuzioni. Nel lungo periodo, a seguito
dello sviluppo delle forze produttive e della ricchezza sociale, Marx vedeva un futuro
comunista, nel quale il potere coercitivo dello Stato, la divisione del lavoro e lo stesso
concetto di salario sarebbero diventati superflui.
MATERIALISMO STORICO= contraddizione= il funzionamento capitalistico non è un
modo di produzione ch epuo essere esteso in qualsiasi contesto storico e sistema
economico, ma questo modo è instabile e condizionato dalla storicità. Naturalmente
Marx non fu il primo comunista della storia. Molti prima di lui avevano sostenuto
l’ideale superiorità di un sistema fondato sulla cooperazione sociale anziché sulla
competizione individuale, e sulla proprietà collettiva anziché privata dei mezzi di
produzione.
Marx differiva dai suoi predecessori per un motivo egli faceva poggiare la sua
prospettiva comunista non su basi etico-morali, ma su una rigorosa analisi scientifica
delle contraddizioni del capitalismo e della sua fragilità intrinseca, una analisi per
molti versi ancora attuale. Ed è proprio in questa analisi scientifica del capitalismo che
risiedeva la vera forza di Marx, una forza che prescinde dal carattere talvolta utopico
delle sue premonizioni sul comunismo. Verso la fine dell’Ottocento le tesi marxiane
divennero il punto di riferimento del movimento operaio, cioè delle organizzazioni
sindacali e politiche dei lavoratori che in quel periodo andavano sviluppandosi e
consolidandosi in molti paesi. L’analisi di Marx aveva successo nel contesto storico in
cui è stata formulata perché comunicava ai lavoratori che con le loro lotte di
emancipazione essi stavano contribuendo a modificare la Storia, accelerando la crisi
del capitalismo e creando le condizioni per una nuova e superiore organizzazione
della società. Chiaramente, per molti altri queste tesi risultavano invece scomode,
pericolose. Infatti, rimarcando l’instabilità e la storicità del modo di produzione
capitalistico, Marx rappresentava una oggettiva minaccia per i proprietari del capitale,
principali detentori del potere economico e politico
L’APPROCCIO NEOCLASSICO-MARGINALISTA= Per scongiurare le tesi di Marx
occorreva dunque sfidarlo sul terreno dell’analisi scientifica dell’economia. Occorreva
cioè proporre una chiave di lettura della realtà che fosse alternativa a quella
marxiana. Ma per far questo non si poteva tornare al pensiero dei classici. Infatti,
benché Smith e Ricardo esprimessero nella sostanza un giudizio positivo sul modo
capitalistico di produzione, le loro teorie mettevano apertamente in evidenza gli
elementi di conflitto insiti nei rapporti tra le classi sociali, e quindi somigliavano
troppo all’analisi di Marx per potersi dire del tutto estranee e alternative ad essa.
Si pose dunque il problema di elaborare una nuova teoria, che non si concentrasse sul
carattere conflittuale e instabile del modo di produzione capitalistico ma che al
contrario fornisse una convincente rappresentazione armonica del sistema
economico. Così, a partire dal 1870, nasce e trova largo seguito una nuova concezione
teorica, detta neoclassica o marginalista. La nuova impostazione viene definita
neoclassica, ma in effetti essa porta con sé poco della precedente economia classica
e marxiana. Marx e i classici indagavano sui meccanismi di funzionamento del
capitalismo, sulle cause della sua capacità di sviluppo ma anche sulla sua tendenza
alla crisi, sulle contraddizioni che lo caratterizzano e sui conflitti tra le classi sociali
che quelle contraddizioni scatenano. Marx, in particolare, sottolineava la storicità del
capitalismo e puntava a una indagine scientifica sulle condizioni di riproduzione o di
crisi del modo di produzione capitalistico. Sia i classici che Marx facevano partire le
loro analisi direttamente dallo studio delle classi sociali. Diverso è invece l’oggetto di
indagine degli economisti neoclassici I neoclassici rifiutano una analisi della società
basata sulla divisione tra le classi Ad essa contrappongono il cosiddetto
individualismo metodologico= questo metodo si basa sulla idea che qualsiasi
aggregato sociale, inclusa la classe, è in realtà costituito da singoli individui.
Secondo l’approccio neoclassico, l’analisi scientifica della società deve sempre partire
dall’analisi del comportamento del singolo. Inoltre, i neoclassici rifiutano l’idea di
doversi occupare di uno specifico modo di produzione, e in particolare del capitalismo.
Essi si propongono di elaborare una teoria molto più generale, che valga per ogni
sistema di organizzazione dei rapporti sociali e per ogni periodo storico, e che valga
anche per ogni individuo (indipendentemente dalla ricchezza che possiede o dalla
funzione economica che svolge).
I neoclassici ritengono che il problema economico fondamentale di ogni individuo e
di ogni società sia quello di impiegare al meglio i mezzi scarsi di cui dispone al fine di
accrescere più che può il proprio benessere questo problema secondo i
neoclassici è così importante che definisce in quanto tale l’oggetto stesso della
Saggio sulla natura e sul significato della scienza
scienza economica. Infatti, nel
economica del 1932, lo studioso neoclassico Lionel Robbins definì l’economia come
«che studia il comportamento umano come una relazione fra scopi
quella scienza
classificabili in ordine d’importanza e mezzi scarsi applicabili ad usi alternativi ». Pochi
anni dopo un altro economista neoclassico fornì una descrizione ancor più sintetica
Fondamenti di analisi economica
della disciplina: nel suo celebre del 1947, Paul
una funzione
Samuelson definì il nucleo di ogni problema economico come «
matematica da massimizzare sotto vincoli», dove i vincoli rappresentano le risorse
scarse disponibili e la funzione da massimizz