Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
Scarica il documento per vederlo tutto.
vuoi
o PayPal
tutte le volte che vuoi
ONTOLOGIA ED ERMENEUTICA: HEIDEGGER E
GADAMER
Il tema dell’Essere e del fondamento viene approcciato dalla
filosofia ermeneutica in modo tale da lasciarlo manifestare
nella sua originarietà.
Heidegger è stato l’iniziatore di questo nuovo
“atteggiamento”, ponendosi dinanzi al tema dell’Essere in
maniera sempre aperta: l’Essere stesso per Heidegger è
apertura e il filosofo deve porsi dinanzi a questa apertura
attraverso un interrogare fondamentale. Per fare questo è
necessario per il filosofo compiere un significativo “passo
indietro”, cioè un ritorno al fondamento originario da cui la
metafisica trae il suo orientamento (FONDAMENTO DEL
PENSARE). Tale fondamento è l’Essere originario. Proprio
per questo la verità, secondo Heidegger, è un lasciar
essere.
Per Gadamer, allievo di Heidegger, l’Essere è
fondamentalmente linguistico, e il linguaggio costituisce la
“casa dell’Essere”, il luogo cioè dove il senso prende forma.
È evidente dunque come la ricerca del senso dell’Essere
riconduce all’Essere stesso come fondamento. Pensare
significa pensare l’Essere come fondamento.
CAPITOLO II
L’ESSENZA TEORETICA DELLA DISCIPLINA PRATICA
La parola ETICA, dal greco ethos, significa letteralmente “il
luogo di vivere”, ma trova anche molteplici significati, come
“inizio”, “disposizione”, “comportamento”, “apparire”, “modi”.
Ma il significato più generico del termine ETICA, viene
riferito alla filosofia della pratica, che vuol assumere
l’operare umano nella volontà. Si distinguono l’ETICA
SOGGETTIVA e l’ETICA OGGETTIVA, denominata anche
INTERSOGGETTIVITA’. Si può dire che l’etica si
concretizza in due sensi che corrispondono ai suoi due
profili, e coincidono con il dualismo di MORALE (etica
soggettiva) e DIRITTO (etica intersoggettiva). La morale
riguarda l’azione umana, nel valore che ne costituisce
l’anima. La morale dunque riguarda l’azione, cioè
l’atteggiamento umano in quanto tale, il comportamento
dell’uomo in sé e nel mondo rispetto alle cose e agli altri. La
natura dell’etica dipende dalla maniera in cui viene intesa
ed interpretata l’ importanza del suo principio.
ELEMENTI ETICI DELL’ONTOLOGIA ANTICA: ERACLITO
E PLATONE A CONFRONTO
In Eraclito si nota la corrispondenza tra UTILITA’ e
SAGGEZZA. La portata teoretica del termine “speranza”,
induce alla consapevolezza del Principio, attribuendogli la
funzione di giudice supremo. Da ciò deriva che l’azione
umana, in quanto parte del tutto, viene governata dal
Principio, quindi permessa e resa possibile da ciò che la
fonda.
Anche in Platone l’etica è determinata dal suo pensiero
ontologico. In lui infatti il Bene in sé (l’Idea) rappresenta il
fondamento di tutto ciò che rientra nella sfera dell’umano
vivere nel mondo e fonda la conoscenza. Con Platone non
si ha una scissione tra il dispiegarsi del Bene e il pensiero
volto al Bene, come accade invece con Aristotele, che
scinde teoria e pratica. In Platone le questioni etiche sono
all’interno del filosofare teoretico in vista dell’Idea. Secondo
Heidegger l’etica compare per la prima volta, insieme alla
“logica” e alla “fisica” nella scuola di Platone. Queste
discipline nascono al tempo in cui il pensiero fa filosofia, la
filosofia si fa scienza e la scienza diviene una pratica
scolastica. Attraverso la filosofia così intesa, nasce la
scienza e perisce il pensiero. Il pensiero di Heidegger è di
portata teoretica, si focalizza totalmente tanto sul
fondamento quasi da perdere di vista l’ente.
LA METAFISICA ARISTOTELICA E LA FONDAZIONE
AUTONOMA DELLA DISCIPLINA ETICA
La metafisica aristotelica si discosta notevolmente
dall’ontologia di tipo platonico e con ciò anche l’etica
assume un carattere diverso. Aristotele è certo che l’Idea
platonica del Bene, in quanto separata dalla realtà, non è
operabile dall’uomo. Il venir meno della centralità
dell’argomento ontologico in Aristotele ha indotto
all’esigenza di esporre un sistema etico di valori inerenti
all’uomo in quanto ente e non in quanto ciò che dell’Essere
ci si rende presente. Aristotele chiama “politica” o “filosofia
delle cose dell’uomo” la scienza dell’attività morale degli
uomini sia come singoli sia come cittadini; poi suddivide
questa “politica” rispettivamente in “etica” e in “politica”
propriamente detta. L’essenza in Aristotele è legata alla
determinazione dell’ente.
La virtù greca è una disposizione dell’animo volta al
raggiungimento del bene. All’interno della classificazione
aristotelica delle virtù, si nota un loro raggruppamento e una
successiva suddivisione in virtù etiche, pertinenti all’attività
pratica dell’uomo; e le virtù dianoetiche, inerenti all’anima
conoscitiva e discorsiva. La determinazione delle virtù
etiche è condizionata dal criterio della giusta proporzione tra
gli eccessi: sono classificabili secondo il criterio del giusto
mezzo. La GIUSTIZIA viene definita da Aristotele la virtù più
alta. Le virtù dianoetiche sono invece suddivisibili in virtù
che colgono solo ciò di cui si fa esperienza e virtù che si
riferiscono a ciò che necessariamente rientra nella
definizione della “cosa”. La saggezza si distingue dalla
sapienza: la prima è una disposizione pratica e indica ciò
che bene e ciò che è male per l’uomo; la seconda si pone
sul piano più alto della prima in quanto è insieme scienza ed
intelletto delle cose più eccelse per natura.
KANT E LA RIDUZIONE DEL PRINCIPIO ALLA
FORMALITA’ DELL’IMPERATIVO CATEGORICO
Kant compie una ricerca del fondamento del conoscere
umano, dove il soggetto coglie una non-verità che tuttavia
costituisce l’autenticità più alta del criticismo stesso,
consapevole di poter conoscere solo ciò che si rende
evidente. La filosofia kantiana, dunque, rimane ancorata alle
categorie immanenti del pensare. Questo è motivo
principale del passaggio dalla CRITICA DELLA RAGION
PURA alla CRITICA DELLA RAGION PRATICA. L’etica
kantiana presuppone un Principio al di là del quale non si
risale e di cui non si possono dare giustificazioni ulteriori: la
LEGGE MORALE è espressa nel modo seguente: <<agisci
solo secondo quella massima che tu puoi volere, al tempo
stesso, che divenga una legge universale>>. Questo
principio è inteso come fondamento stesso dell’agire etico in
Kant, è ciò che si pone come IMPERATIVO CATEGORICO
del fare e del vivere etici, e quindi come universalità e
possibilità di applicazione all’atteggiamento umano in
quanto tale. La LEGGE MORALE rientra dunque
nell’imperativo categorico. L’imperativo categorico assume
dunque il carattere universale, ma la sua formalità lo
discosta dall’evidenza di un concreto, risulta cioè privo di
contenuto. Hegel infatti sente l’esigenza di una scissione tra
pensiero teorico e dimensione pratica dell’agire. L’esigenza
quindi di pensare l’etica.
L’ONTOLOGIA DEL FONDAMENTO E IL SUO RAPPORTO
CON LA DISCIPLINA ETICA IN HEIDEGGER
Le vicende storiche dell’epoca contemporanea, hanno
messo in luce l’esigenza di un discorso etico sull’agire
umano e sul rapporto con l’altro da sé. In questo contesto
risulta incisivo il rifiuto da parte di Heidegger di una
disciplina che si occupi in modo esclusivo della sfera pratica
del pensare filosofico; sarà dunque preso in considerazione
il suo pensiero teoretico. Egli definisce metafisica ogni
interpretazione dell’ente senza porre la questione della
verità dell’Essere: nota infatti nella metafisica di Aristotele il
distacco dal filosofare in vista dell’Essere. C’è dunque il
bisogno di un’etica, in quanto c’è un impoverimento della
portata teoretica dell’agire umano, che rende l’uomo
spaesato. In Heidegger l’agire umano viene
ontologicamente radicato in ciò che si pone come
condizione necessaria dell’ e-xistere; Heidegger definisce il
mondo come “apertura dell’essere”, in quanto l’essere si
manifesta grazie all’esistenza. L’etica dunque in Heidegger
rimane ancorata al pensiero teoretico, avente come
argomento la VERITA’ DELL’ESSERE in vista di cui essa, in
quanto disciplina, viene affermata e strutturata.
CAPITOLO III
LINEE E TEMI DELL’ESTETICA
La parola “estetica” deriva dal greco “aisthesis” e si riferisce
a tutto ciò che viene percepito con i sensi. Il primo a parlare
di estetica fu Baumgarten ed intitolò il proprio libro
AESTHETICA , nel 1750. Egli usa questo termine per
analizzare la dottrina della sensitività, grado più basso della
conoscenza, ma la colloca nel sistema conoscitivo come
cognizione propria ed è quindi in grado di fornire dati
autentici. Fin dall'antichità, si credeva, invece, che la
percezione sensibile portava ad una comprensione
ingannevole del reale, legata ad impressioni non ben
definite.
Baumgarten:” l'estetica è la scienza della conoscenza
sensibile. Il suo fine è la perfezione della conoscenza
sensibile e questa è la bellezza”
Successivamente fu Kant a parlare di estetica, nella Critica
della ragion pura(1781), nella sezione Estetica
trascendentale: ritiene che l'estetica è la prima facoltà
conoscitiva dell'uomo, infatti le impressioni materiali sono
date dalle forme dello spazio e del tempo, tipiche della
sensibilità. Nel 1790 con la Critica del giudizio, Kant si
spinge oltre e affronta lo studio del bello naturale e del bello
artistico: natura e arte sono valutate secondo una facoltà
specifica dell'uomo: il gusto che esprime il gradimento di un
piacere che non è né solo sensibile nè solo intellettuale.
Per molti pensatori l'arte e l'esperienza del bello è stata una
via privilegiata per conoscere la realtà. L'arte è l'espressione
unica di una dimensione spirituale che, secondo
l'