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JASPERS
Dalla psichiatria alla filosofia
Lo sviluppo storico della psichiatria in Germania tra otto e novecento
È certo che la psichiatria e la psicopatologia nacquero in Germania dove trovarono le condizioni culturali e sociali per
svilupparsi come scienze autonome. In Germania la situazione era più complessa rispetto agli altri paesi però, in
quanto il malato mentale veniva tenuto in condizioni disumane, come se fosse un indemoniato, da isolare dal mondo
esterno, da curare anche con le più inaudite vessazioni fisiche. Negli altri paesi già dal XIX secolo con la “grande
riforma psichiatrica” il malato veniva trattato con maggiore umanità, venne liberato e fatto oggetto di una sorta di
trattamento morale, segno di una iniziale presa di coscienza terapeutica. Questa attenzione verso il malato e verso un
migliore trattamento non trovò però uguale segno in Germania. Sin dall’inizio la psichiatria mostrò una scissione, un
contrasto destinato a durare a lungo: da una parte si schierarono i somaticisti, che guardavano solo al corpo, quindi si
preoccupavano dell’indagine puramente medica e delle manifestazioni somatiche del disturbo mentale, dall’altra gli
psicogenisti tesi a salvaguardare l’unità psicosomatica del malato attraverso analisi psicologiche sulle manifestazioni
comportamentali e sulle espressioni soggettive dell’individuo abnorme. Il prevalere dell’uno o dell’altro indirizzo
dipese dalle condizioni sociali e culturali del paese in cui la psichiatria si trovava ad operare, cosicché in Germania
con lo sviluppo delle scienze naturali si assegnò il primato alla tendenza somaticista. Questa eliminò ogni
intromissione psicologica dal campo della ricerca psichiatrica perché puntava a chiarire attraverso conoscenze
mediche e spiegare così il comportamento anormale dei malati analizzando esclusivamente e oggettivamente i sintomi
somatici per capire come da questi derivasse la malattia. Il malato era ridotto a sintomi oggettivi da studiare.
Rappresentante di questa mentalità scientifica fu sicuramente Griesinger un geniale ricercatore di anatomia
patologica e di malattie mentali il quale affermò che determinati disturbi psichici si dovevano attribuire a precise zone
celebrali, celebre è la sua asserzione: “Le malattie mentali sono malattie del cervello.” Contrapposto a Griesinger
troviamo Schühle il quale invece sottolineò l’esigenza di salvaguardare l’unità della persona abnorme, sottoposta in
quel momento a venir analizzata parzialmente, ridotta a un insieme di meri reperti istologici. La sua celebre formula
“le malattie mentali sono malattie della personalità” fu il frutto di una straordinaria esperienza a contatto quotidiano
con i malati mentali. Come abbiamo detto prevalse però l’indirizzo somaticista, i ricercatori così isolavano
descrivevano, catalogavano con minuziosi dettagli le molteplici entità morbose. Finirono in questo modo per creare
una disciplina scientifica sempre più ricca di dati oggettivi, ma certamente più impersonale, più insensibile di fronte
all’individuo psichicamente malato dimostrandosi incapace di indagarne la personalità vista nel suo insieme di
reazioni, di espressioni e di comportamenti. In tale clima di ricerche sperimentali promosse anche dalla diffusione del
positivismo, la psichiatria ricercava l’affermazione del modello medico della malattia mentale. Basandosi sulla
convinzione che la l’alienazione mentale è una malattia come tutte le altre, ossia determinata da una alterazione
organica, gli psichiatri pensarono fosse indispensabile individuare le cosiddette “entità anatomico-cliniche” capaci di
correlare il sintomo psichiatrico ad una precisa alterazione organica. Questa concezione somaticista la ritroviamo
anche in Kraepelin, assertore del modello biologico per lo studio delle malattie mentale, famoso anche per aver
suddiviso le malattie in due gruppi: demenza precoce e psicosi maniaco depressiva. Egli divenne il maestro indiscusso
di una diagnostica sistematica fondata sulla sintomatologia clinica, sul decorso e sull’evoluzione finale della malattia,
dimostrando ripetutamente l’importanza di utilizzare in psichiatria le osservazioni dettagliate, le descrizioni minuziose
e una precisa organizzazione dei dati. L’indirizzo somaticista raggiunse così il suo massimo sviluppo e il celebre
manuale di Kraepelin “kompendium der psichiatrie” costituì senza dubbio la bibbia di ogni psichiatra moderno. La
psichiatria però, elevando nelle sue indagini la neurofisiologia a protagonista assoluta e unica garante del suo statuto
scientifico, pareva aver dimenticato il malato che non può essere visto soltanto come corpo in quanto il malato
mentale è un uomo che non è un essere puramente somatico, ma psicosomatico, anima e corpo e per questo bisognava
trovare nuovi metodi teorici per comprendere questa complessità.
2. Orientamenti psichiatrici ai primi del 900
Il sistema empirico naturalista perseguito da Kraepelin continuava a dominare l’atmosfera scientifica della Germania,
in questo contesto si differenzia Gaupp il quale approfondendo le indagini sulla paranoia, capì che questa doveva
essere compresa in relazione al carattere del paziente, alla sua esperienza, all’ambiente che lo circonda. Noto per il
suo spirito critico nei confronti delle degenerazioni organicistiche degli studi psichiatrici, fu uno dei primi a
riconoscere la necessità di rivedere lo statuto metodologico della psichiatria. Contemporaneamente in altri paesi si
assisteva a una spinta a ripsicologizzare la psichiatria. Obiettivo perseguito da Bleuler convinto assertore di una
necessaria evoluzione della psichiatria, per troppo tempo irrigidita su schemi descrittivo-nosologici che ha
dimenticato la complessità della persona abnorme. Egli era convinto della necessità di indagare non solo alla luce di
risultati fisiopatologici ma anche nel prendere in considerazione altri fattori scatenanti, fattori della personalità del
malato. Fu lui tra i primi a tentare indagini psicopatologiche in cui aspirava a stabilire un contatto emotivo col malato,
il solo rapporto che poteva colmare l’abisso di incomprensibilità che ogni volta si instaurava nelle sedute terapeutiche.
Di fondamentale importanza fu anche la nascita della psicoanalisi ad opera di Freud che provocò un certo scalpore nel
mondo psichiatrico. La psichiatria tedesca, fedele al modello organicista sembrò rifiutare le teorie di Freud
accusandole più o meno espressamente di fantasia speculativa o quanto meno ponendosi di fronte a esse con un
atteggiamento di scetticismo critico. Questa era la situazione nel 900, tante teorie diverse, tante terminologie, ma non
esisteva nessuna comune psichiatria scientifica che tenesse uniti gli studiosi e valesse per tutti. Al di la dei suoi
risultati oggettivamente dimostrabili, la psicologia continuava a essere considerata priva di uno statuto epistemologico
come se fosse una delle tante teorie speculative che ben poco avevano a che fare con il progredire scientifico della
psichiatria.
3. Il clima scientifico della clinica psichiatrica di Heidelberg
È in questo panorama scientifico così variegato che Jaspers dopo aver ottenuto la laurea in medicina decise di
specializzarsi proprio in psichiatria. Egli inizialmente scelse la facoltà di Giurisprudenza, spinto dal desiderio di
immergersi nella vita pratica, ma restò deluso dalle astrazioni del diritto. Così passò alla medicina che ha ad oggetto la
totalità delle scienze naturali e l’uomo mirando a conoscere la realtà effettiva. Una volta laureato iniziò il praticantato
nella clinica psichiatrica di Heidelberg per iniziare i propri studi di perfezionamento ed ottenere in tal modo il titolo
professionale di psichiatra. Prima svolse un anno di tirocinio e poi divenne assistente volontario. Per le sue precarie
condizioni di salute (a 18 anni gli fu diagnosticata una ectasia bronchiale e una insufficienza cardiaca che ricordiamo,
lo portarono a vivere una vita di solitudine, lontano dal normale divertimento che caratterizza la giovinezza) Jaspers
non era in grado di svolgere regolarmente il lavoro di assistenza clinica, perciò fu destinato essenzialmente alla ricerca
e all’espletamento di perizie giudiziarie. La clinica diretta da Nissl era considerata il centro più importante della
ricerca psichiatrica tedesca e costituiva il punto di riferimento scientifico più credibile dell’indirizzo organicista
inaugurato da Kraepelin. Perciò ad Heidelberg le indagini erano così strutturate: si studiava il decorso della malattia
del paziente, soffermandosi sulle possibili cause che l’avevano originata, sulle tappe e sulle fasi che si susseguivano.
Si chiariva ogni singolo sintomo somatico classificandolo come appartenente a una sindrome patologica oppure ad
un’altra. Insomma l’importante era chiarire semplicisticamente alcuni sintomi oggettivi, affidando solo a questi la
spiegazione della malattia mentale, arrivando così a una diagnosi precisa.
4. Jaspers e la fondazione epistemologica della psicopatologia
La scienza psichiatrica mostrava una sua interna debolezza, le teorie continuavano a moltiplicarsi, vi era una enorme
confusione metodologica, tanto che spesso psichiatri di scuole diverse parlavano linguaggi differenti. La psichiatria
aveva più che mai bisogno di una propria autonomia scientifica, capace di garantire al suo interno una solida struttura
unitaria, e per questo era indispensabile che si provvedesse a formulare una credibile impostazione epistemologica,
necessaria a fornire solide fondamenta teoriche. Secondo Jaspers, la psicopatologia, una disciplina rimasta in
Germania ai margini dell’indagine psichiatrica, pareva offrire l’impalcatura teorica necessaria per sistematizzare i vari
indirizzi psichiatrici, diventare la sua guida teorica, non prima di aver ottenuto essa stessa una debita chiarificazione
su come andava intesa. Per Jaspers bisognava cioè in primo luogo determinare scientificamente la psicopatologia,
fissarne il metodo, l’ambito, l’oggetto, i confini. Egli è convinto che la psicopatologia non è solo lo studio specifico
del sintomo della malattia psichica, ma è lo studio che deve farci entrare nella storia e nel mondo del malato dandogli
la possibilità di raccontare la vicenda della propria malattia. La psicopatologia non dovrà accogliere allora solo i
sintomi oggettivi (registrabili e misurabili) quindi le manifestazioni esteriori e visibili della malattia, ma anche quei
sintomi soggettivi, ossia le esperienze interne che venivano realmente vissute dal soggetto. In Germania però si
continuava ad attribuire una esclusiva importanza solo ai sintomi oggettivamente osservabili in quanto si pensava che
i sintomi soggettivi erano destinati alla particolare interpretazione