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L'EPOCA MODERNA: RIDEFINIZIONE DEI RAPPORTI TRA MORALE E POLITICA

Morale e politica

Per il nostro senso comune, la morale e la politica individuano due ambiti di riflessione, entrambi relativi all'agire dell'uomo (ethos, praxis), ma comunque distinti e separati.

  • La morale individua la sfera individuale e privata; ha anche a che fare con la condotta di ciascun individuo preso singolarmente.
  • La politica riguarda la sfera pubblica, collettiva; ha a che fare con il bene comune e si interessa delle relazioni tra individuo e individuo, tra la società e lo Stato, e delle relazioni tra Stati.

Questa distinzione non è alcunché di "naturale" o "ovvio", ma è il prodotto di una storia. Questa distinzione ha senso in funzione del contesto storico che l'ha partorita: appartiene all'epoca moderna, e ha il suo inizio con il Rinascimento (XV sec.).

Pensiero antico

Nel pensiero classico (→ Platone) la riflessione morale e politica era strettamente intrecciata. La politica era considerata come l'arte di governare la città, ma questa arte non poteva essere separata dalla virtù morale. Il buon governante doveva essere un uomo virtuoso, in grado di agire secondo la giustizia e il bene comune. La politica era quindi una forma di etica applicata, e la virtù morale era il fondamento della buona politica.

quella poli ca procedevano di pari passo, rispondevano aimedesimi principi e perseguivano la medesima finalità, ossia l’emancipazione umana. Nel mondo Greco antico, nonera concepibile un “bene per me” che non includesse e non si armonizzasse necessariamente anche con il “bene pergli altri” ovvero il “bene di tutti”. Questo, perché la stessa individualità umana non aveva senso che all’interno dellatotalità della polis. Fuori dalla polis, isolato cioè dalle relazioni razionalmente ordinate con gli altri uomini, l’individuoperde la propria specificità, non è altro che un elemento dell’ordine della natura, un ingranaggio di un ordine superiorefunzionale al mantenimento di quest’ultimo.

Pensiero medievaleNel pensiero cristiano medievale domina la teologia (espressione della legge divina), rispetto alla quale tutte le scienze(inclusa la filosofia) sono subordinate. Si assiste

quindi alla graduale subordinazione della politica alla morale. Sul piano teorico, la legge dello Stato è concepita come un analogon della Legge di Dio. Sul piano pratico, quest'idea si traduce nella convinzione della superiorità dell'autorità papale sull'autorità civile (imperatore). Quest'idea ha generato costanti conflitti (→ lo a per le investiture). Risultato: indebolimento sia del potere papale sia del potere imperiale. Pensiero moderno La separazione di morale e politica matura in età moderna. Questo processo si inscrive in un contesto più ampio: - Sul piano storico: fine del sogno medievale di restaurazione dell'Impero romano. Nascono gli Stati nazionali moderni che, per legittimare la propria indipendenza dal potere temporale del Papa, elaborano teorie nuove sulla nascita dello Stato, teorie senza fondamenti teologici. - Sul piano teologico-politico: riforma protestante. Si afferma l'autonomia del

Potere laico e la separazione tra politica e religione.

Sul piano teorico: nascita delle scienze moderne che si staccano dalla teologia. Nuove forme di razionalità, che esprimono nuove immagini dell'uomo.

L'uomo rinascimentale

Nella sua forma rinascimentale, la modernità si esprime:

  • nella ripresa del modello antico, che pone al centro della riflessione filosofica l'uomo e le sue capacità conoscitive;
  • nell'affermazione di un primato dell'iniziativa umana ("capacità di dare liberamente a se stessa, a tutta la propria vita, regole fondate sulla ragione");
  • nel rifiuto della concezione teocentrica (e teologica) dei saperi.

Si tratta di una nuova concezione, che sostituisce alla fede medievale in Dio la fede nella ragione scientifica: l'unica forma di conoscenza alla luce della quale l'uomo può rivendicare a sé la possibilità di poter determinare le condizioni per la costruzione di un mondo.

fatto dall'uomo per se stesso.

Reazione anti-teologica

La separazione tra politica e morale si inscrive nel processo di emancipazione dei saperi dal dominio della teologia. La politica rifiuta di basarsi su fondamenti teologici (creazione divina, grazia ecc.): cerca nuovi fondamenti di tipo esclusivamente razionale, che non implichino il ricorso alla teologia e che valorizzino la libera iniziativa umana.

In passato...

La riflessione politica veniva sviluppata a partire da saperi e teorie di altro genere. In Platone, ad esempio, la suddivisione delle classi sociali che compongono la sua "città ideale" ricalca la tripartizione dell'anima (concupiscibile, irascibile, razionale). Nel Medioevo, la legge dello Stato era concepita come un analogon della Legge di Dio, e per questo doveva esserne il calco.

La politica rivendica la sua autonomia

La riflessione politica:

  • vuole dare maggiore centralità alla libera iniziativa umana;
  • rifiuta di muovere da
verità eterne e universali (→ teologia); si parte dall’osservazione empirica dei comportamenti concreti dell’uomo nella storia. Il dato di fatto da cui la riflessione politica moderna muove è dunque la constatazione che l’uomo non è tutto e solo “ragione”; ma è una realtà complessa, dominata da passioni e da vizi. Compito della politica è contenere queste spinte degenerative. Si comprende allora la necessità di uno Stato che abbia per scopo la salvaguardia degli uomini. Lo Stato non è istituito per volontà divina, ma per iniziativa umana (→ contraualismo): è il frutto di un calcolo razionale. Alcune conseguenze: il problema del male Per la politica moderna la presenza del male nell’uomo è un dato di fatto. Se gli uomini fossero buoni, non ci sarebbe bisogno di uno Stato e delle leggi, e la concordia sociale non sarebbe un problema. Non importa quale spiegazione si intenda.

dare all'origine del male; la politica si limita a registrare la presenza dei conflitti, ne fa il suo punto di partenza (→ riflessione sulla guerra). Alla forza del male, la politica contrappone la forza della ragione e dello Stato, il cui compito è di ricomporre razionalmente i conflitti.

NICCOLÒ MACCHIAVELLI (1469-1527)

È il fautore dell'autonomia della riflessione politica rispetto alle prescrizioni della morale. In realtà, la principale preoccupazione di Machiavelli non riguarda tanto la giustificazione teorica della separazione tra politica e morale. La separazione è solo una conseguenza che scaturisce dall'analisi della situazione politica italiana del suo tempo.

Politico o filosofo?

Machiavelli non è un filosofo di professione, bensì un politico e un diplomatico fiorentino. Il suo obiettivo è creare una comunità politica unitaria italiana. L'interesse di Machiavelli è prevalentemente politico.

Ma la sua è una politica "colta", nutrita dallo studio dei classici latini. Nel XV secolo l'Italia è ormai terra di conquista degli Stati nazionali europei. La sua decadenza, testimoniata dal frazionamento politico, è evidente. Come uscirne? Conoscenza storica e "verità effettuale". Per uscire dalla decadenza è inutile vagheggiare governi "ideali" e "immaginari". Una guida più efficace è piuttosto data dalla conoscenza della storia d'Italia. La storia fornisce modelli all'agire politico, e indicazioni circa i punti di forza e limiti di quegli stessi modelli. La riflessione filosofica di Machiavelli scaturisce dunque dall'intreccio dell'osservazione portata alla realtà politica del suo tempo, e dell'interesse verso la storia (e la Repubblica romana, in particolare). Su questa base si consuma la separazione tra morale e politica (→ rifiuto di astratte teorie etiche), e si afferma la necessità di adattare l'azione politica alle circostanze concrete, senza lasciarsi condizionare da ideali astratti. La politica diventa quindi l'arte di governare, basata sulla conoscenza della storia e delle dinamiche del potere.

ezza): la morale, che pretende di ispirarsi alla conoscenza di valori universali ed eterni, si trova ad essere soppiantata dalla conoscenza storica e dall'attenzione alla verità effettuale.

Il soggetto politico

Nella prospettiva della nuova riflessione politica, il soggetto dell'azione non è più il semplice individuo, bensì il politico.

Il suo agire non persegue scopi meramente individuali ma collettivi: agisce ed è chiamato a decidere in vista del "bene collettivo" (res publica), cioè dello Stato.

L'interesse dei singoli individui è subordinato all'interesse dello Stato (sua autoconservazione): lo Stato è ciò che rende l'individuo soggetto dotato di diritti. La difesa degli interessi dello Stato è dunque anche difesa degli interessi dell'individuo, in quanto cittadino o suddito. Ma l'azione dell'uomo di Stato non può essere subordinata alle prescrizioni della

riflessione morale: l'azione dell'uomo di Stato dev'essere oggetto di una riflessione di altro tipo. Il Principe (1513) Amante della cultura latina, Machiavelli scrive l'opera Il Principe. Riprende e rinnova un genere letterario molto diffuso all'epoca, in cui l'autore, con lo scopo di "educare" il principe, dispensa consigli e suggerimenti su quali comportamenti e decisioni siano le più adeguate al suo ruolo istituzionale. Diritto alla "verità effettuale" Machiavelli individua nella Repubblica romana un valido esempio di governo fondato sulla libertà e sui buoni costumi. Data la situazione politica italiana del XV secolo, Machiavelli considera più realistica e auspicabile la creazione di un Principato. Ma quali caratteristiche deve avere il nuovo Principe? Politica ed esperienza La politica nasce dall'esigenza di ricondurre gli uomini a una forma (si spera, libera e) ordinata di convivenza. Il

futuroPrincipe deve sicuramente avere conoscenza della natura umana, che per questo motivo non deve essere idealizzata. Se il Principe fosse "buono" andrebbe incontro a rovina certa: sarebbe sopraffatto dalla moltitudine di uomini che non lo sono. Realisticamente, dunque, il Principe dovrebbe al contrario essere educato a non essere buono e a dispensare bontà e cattiveria in funzione delle situazioni concrete che richiedano l'uso dell'una o dell'altra, secondo convenienza.

Questa visione disincantata riposa su una concezione antropologica negativa: poiché gli uomini sono "ingrati, volubili fuggitori de' pericoli, cupidi di guadagno", è opportuno che il Principe sappia gestire queste dinamiche, mostrandosi capace di entrare nel male, se necessario, e saperlo gestire in difesa del bene comune...

Non basta dunque far uso di leggi per contenere la natura umana, sempre pronta a degenerare; deve anche sapere che vi è una

Volpe, forte come il Leone. Deve saper utilizzare entrambe le caratteristiche per governare con successo. La politica deve essere autonoma e indipendente da influenze esterne, ma allo stesso tempo deve saper utilizzare la forza e l'astuzia per raggiungere i propri obiettivi. Il Principe deve essere in grado di manipolare le situazioni a suo vantaggio, ma deve anche essere in grado di prendere decisioni coraggiose e di agire con fermezza quando necessario. Solo così potrà governare con successo e mantenere il potere.
Dettagli
Publisher
A.A. 2020-2021
30 pagine
SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/03 Filosofia morale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher a_21 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia morale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Ferrara o del prof Formisano Roberto.