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Ibidem,
4 Questa tendenza dissociativa è alla base della sociazione stessa secondo Simmel, poiché occorre la polarità
delle istanze associativa e dissociativa per poter far sì che si costituisca la società stessa, e al contempo essa
alimenta tale dinamica polare.
5 p. 34.
Ibidem,
6 p. 31.
Ibidem, 5
rimane nella trasparenza, in una dimensione controllabile. Rinunciando così in parte all’affettività,
la quale invece si colloca nella profondità della psiche ed è dunque meno consapevole.
La metropoli rispecchia quel carattere peculiare della cultura moderna, che secondo Simmel
è costituita dalla «preponderanza di ciò che si può chiamare lo “spirito oggettivo” sullo “spirito
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soggettivo”» . Tale cultura si è formata, in altri termini, attraverso un progresso di oggettivazione
delle qualità dell’uomo, il quale attraverso i progressi della tecnica si è via via alienato dalle sue
caratteristiche qualitative, vivendo in un mondo in cui per lo più si dà valore all’aspetto quantitativo
e oggettivo della realtà. Certamente i progressi della tecnologia e delle scienze hanno comportato
notevoli vantaggi e una migliore qualità di vita, nonché una maggiore libertà. Tuttavia il risultato è
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per l’essere umano il «deperimento della sua personalità complessiva» , che produce esiti disastrosi
per la soggettività:
«Il singolo si trova ridotto a entità insignificante, come un granello di sabbia posto di fronte
a una sterminata organizzazione di cose e di forze che lo privano di tutti i progressi, delle
spiritualità e dei valori, trasferiti via via dalla loro forma soggettiva a quella di una vita
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puramente oggettiva.»
Tutto questo produce anche l’evidente difficoltà di affermare la propria personalità, di
recuperare quegli aspetti qualitativi e individuali propri del soggetto, che gli permettono di
distinguersi dagli altri e dalla massa. Tale situazione può sfociare in un’insoddisfazione che deve
trovare una valvola di sfogo all’interno della società stessa. Simmel in questo caso delinea una
possibile modalità con la quale il singolo possa riscattare la propria individualità: la moda, a cui egli
dedica un saggio datato 1911. Tramite essa «si fa appello alla particolarizzazione qualitativa per
poter attirare su di sé […] l’attenzione della propria cerchia sociale. Ciò sfocia nell’adozione delle
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più arbitrarie stravaganze» . In un contesto in cui è sempre più difficile farsi notare, quando tutti
sono nevroticamente occupati da una serie incalzanti di stimolazioni nervose che ottundono la
nostra capacità di distinguere, la moda ci offre una modalità estetica per attirare l’attenzione sulla
nostra peculiare singolarità, pur conformandoci a una pratica sociale collettiva.
È proprio questa tensione ambivalente tra conformismo e distinzione la caratteristica
peculiare del fenomeno della moda. Essa da un lato riconduce l’individuo a un modello conforme a
un certo gruppo sociale, in modo tale che egli provi un senso di appartenenza per esso: questo gli
consente anche molteplici vantaggi, poiché il conformismo porta il singolo a seguire le norme e le
7 p. 40.
Ibidem,
8 p. 41.
Ibidem,
9 p. 41.
Ibidem,
10 p. 18.
Ibidem, 6
peculiarità estetiche del gruppo a cui appartiene; in tal modo egli è esonerato dalla scelta, che viene
compiuta dalla collettività, mentre l’individuo non deve fare altro che seguire ciò che essa impone.
Ciò produce anche una fondamentale deresponsabilizzazione, poiché non è più il singolo a essere
responsabile delle proprie azioni: responsabile è la collettività, mentre l’individuo si sente protetto
da questo senso di appartenenza, che lo protegge anche dal senso di vergogna che proverebbe a
compiere le stesse azioni individualmente. Inoltre tale fenomeno esonera anche dal problema
dell’identità, creando maschere preconfezionate che l’individuo non deve fare altro che indossare.
Tuttavia, se la moda fosse costituita solamente da questa tendenza al conformismo, essa non
potrebbe sussistere. Essa necessita anche dell’istanza opposta, ovvero quella della distinzione.
Insieme al bisogno di un senso di appartenenza, l’individuo infatti ha anche necessità di distinguersi
in quanto singolo, all’interno della massa e del gruppo sociale di cui fa parte. Il soggetto sente la
necessità di riacquistare il proprio valore di individuo, la propria peculiarità qualitativa
differenziandosi dagli altri. Senza differenziazione non vi sarebbe moda, afferma Simmel, così
come non deve prevalere soltanto questa caratteristica distintiva per far sì che essa continui a
sussistere in quanto tale. Così come l’abito da lutto non può diventare di moda, poiché possiede una
funzione collettiva specifica che non ha come intento la differenziazione individuale di chi lo
indossa, allo stesso modo un contesto in cui tutti si vestono in modo stravagante e arbitrario non
rientra nel fenomeno della moda, poiché in quel caso prevale la pura individuazione senza però
mantenere l’aspetto di appartenenza a una collettività. La moda tiene insieme entrambe queste
tendenze propriamente umane e costituisce in tal modo un fenomeno antropologico, che plasma
continuamente la società e la stessa esistenza umana.
Proprio per questi motivi la moda è un fenomeno ambiguo, effimero, non possiede alcuna
sostanzialità se non la propria essenziale precarietà. Essa tiene insieme «il fascino della novità e
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quello della caducità» ed «è contemporaneamente essere e non essere» , proprio perché destinata
a dissolversi. La moda è in continuo mutamento, gli equilibri che stabilisce sono equilibri precari e
di breve durata, destinati ad essere modificati in ogni momento senza preavviso. Non vi è in essa
alcuna finalità, ma soltanto un senso effimero che può essere interpretato soltanto in chiave estetica.
Tuttavia essa è un importante fenomeno sociale che va compreso e tematizzato seriamente, poiché
permette di capire in modo più preciso la società in cui viviamo e la nostra stessa soggettività.
11 p. 13.
Ibidem,
12 p. 13.
Ibidem, 7
III. La prospettiva di Benjamin: aura, choc e tecnica
Benjamin tratta della soggettività all’interno della metropoli impostando il discorso in un
13
saggio del 1939 intitolato , dedicato per l’appunto allo scrittore
Su alcuni motivi in Baudelaire
francese. Prima di approdare al discorso sull’autore de tuttavia, è utile operare una
Le fleurs du mal,
prima contrapposizione: la distinzione tra memoria volontaria e memoria involontaria. Si tratta, in
sostanza, di un confronto fra Bergson e Proust. Senza entrare nel dettaglio di tale questione, ci basti
ricordare che secondo Bergson la memoria è volontaria, nel senso che è controllabile dal soggetto e
completamente incentrata su di esso, sul lato soggettivo dell’esperienza, prescindendo
dall’oggettività e dalla sua determinazione storica; per Proust, al contrario, questo tipo di memoria è
solo l’aspetto superficiale, consapevole della coscienza, che però non attinge alla profondità della
psiche in cui opera un tipo di memoria del tutto inconsapevole, sulla quale il soggetto non ha alcun
controllo. Questa è determinata storicamente e, allo stesso tempo, determina
mémoire involontaire
la nostra esperienza indipendentemente dalla nostra volontà. Ciò significa che noi non siamo titolari
della nostra esperienza. Questo concetto è analogo alla nozione di inconscio elaborato da Freud, il
quale afferma che tale dimensione costituisce la profondità autentica della psiche e si distingue
dall’aspetto superficiale e conscio della mente.
Ora, nella prospettiva di Benjamin, che riprende Proust e Freud, la funzione dello strato
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conscio della mente è quella di «servire da protezione contro gli stimoli» esterni. Ogni
stimolazione nervosa infatti consuma energia psichica, come già aveva affermato Simmel, e se il
soggetto viene sovrastimolato incorre in una minaccia di choc. Questo non è altro che un effetto
traumatico che avverrebbe nel soggetto qualora non fosse in grado di difendere la sua mente dagli
impulsi eccessivi. Se pensiamo alla vita metropolitana, possiamo ben vedere che l’individuo si trova
costantemente sotto minaccia di choc. Questo fa sì che la coscienza sia «continuamente all’erta
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nell’interesse della difesa degli stimoli» e le sue energie psichiche sono completamente esaurite
dal tentativo di proteggersi. Ciò ha come conseguenza un’indebolimento dell’esperienza, che
16 , ovvero consapevole, ma non costituisce l’esperienza più
diventa mera «esperienza vissuta»
autentica, che attinge direttamente dalla profondità della memoria involontaria. In ciò consiste
l’intellettualismo della vita metropolitana: il barricarsi in una dimensione conscia, trasparente,
intellettuale e tuttavia superficiale, allontanandosi dall’esperienza più profonda.
13 W. Benjamin, in Id., Einaudi, Torino, 2012.
Su alcuni motivi in Baudelaire, Aura e choc,
14 W. Benjamin, Einaudi, Torino, 2012, p. 168.
Aura e choc,
15 p.170.
Ibidem,
16 p. 170.
Ibidem, 8
Tutto ciò produce un’indebolimento del soggetto e della sua aura, secondo Benjamin. L’aura
di un oggetto costituisce la sua peculiare unicità, la sua essenza individuale che gli permette di
distinguersi da tutto il resto, di non ridursi ad altro, ma di affermarsi nella propria particolarità. Essa
attinge la sua forza direttamente dalla memoria involontaria, da quelle corrispondenze profonde con
la genuinità dell’esperienza che tessono la trama della realtà. L’aura è ciò che non riduce l’oggetto a
quantità, non lo considera secondo il valore di scambio, ma al contrario riguarda il valore d’uso e
dunque il suo aspetto intrinsecamente qualitativo, non mercificabile. Posta la questione in questi
termini, è evidente che nella metropoli ogni ente individuale ha perso la sua aura. Così come gli
oggetti sono ridotti a merce, anche il soggetto ha perso il suo carattere qualitativo, la sua
connessione con l’esperienza profonda. Continuamente impegnato nel difendersi dalle stimolazioni
nervose caotiche che provengono dall’ambiente l’individuo si fossilizza sul