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CAPITOLO SECONDO

L’espressione lotta per il riconoscimento sono utilizzate nel dibattito contemporaneo per segnalare

la novità della nuova politica dell’identità/differenza. Le rivendicazioni della differenza di gruppo si

sono fatte più rilevanti fino a rilegare in secondo piano le rivendicazioni di eguaglianza sociale.

L’espressione politica del riconoscimento è stata introdotta per la prima volta da Taylor che

sostiene che la nostra identità è in parte forgiata dalla presenza o dall’assenza di riconoscimento

altrui.

I temi centrali della sua filosofia sono lo sviluppo di una concezione intersoggettiva dell’identità

basata su un modello dialogico e la rivisitazione della filosofia della soggettività moderna alla luce

delle rivendicazioni di pari dignità e autenticità.

I diritti individuali a un’autentica espressione di sé non procedono necessariamente di pari passo

con le aspirazioni collettive al riconoscimento culturale. Autonomia diritto alla pari dignità, fonda il

diritto all’autenticità, diritto di essere riconosciuto per la propria unica identità.

Una società con forti obiettivi collettivi può essere liberale a condizione che sia in grado di

rispettare la diversità e di poter offrire adeguate tutele dei diritti fondamentali.

L’individuo ha diritto al riconoscimento da parte di altri interlocutori soltanto se si ammette che ogni

individui si degno di eguale trattamento e rispetto. L’individualità è egualmente degna di rispetto

nel perseguimento della sua autorelizzazione. Il perseguimento della differenza collettiva comporta

un sistema che poggi sul presupposto della parità tra gli individui.

Kymlicka sostiene che i principi del liberalismo possono fondere diritti di minoranza solo nella

misura in cui questi ultimi siano coerenti con il rispetto della libertà e dell’autonomia degli individui.

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I liberali dovrebbero sostenere le protezioni esterne, quelle che I membri di un gruppo indirizzano

contro la società più vasta, laddove queste promuovano l’equità tra i gruppi.

Kymlicka propone di concentrare l’attenzione su ciò che egli chiama una cultura societaria, la

quale provvede I suoi membri di stili di vita dotati di senso, abbracciando sia la sfera pubblica sia

quella privata. Queste culture tendono a essere territorialmente circoscritte e a poggiare su una

lingua condivisa. Tali culture societarie però non esistono. Egli vuole che si punti a garantire che

tutti I gruppi nazionali abbiano l’opportunità di conservarsi come cultura distinta. I diritti degli

immigrati a un eguale accesso a una cultura societaria possono venire soddisfatti mettendo gli

immigrati in grado di integrarsi nelle culture dominanti fornendo una formazione linguistica e

metodi di lotta contro le discriminazione e il pregiudizio.

I gruppi etnici sono libere associazioni di immigrati volontari e non sono nazioni. Essi godono di

meno diritti culturali perchè hanno accettato volontariamente l’immigrazione e l’integrazione

in una società più vasta. Secondo Kymlicka la libertà individuale è la capacità di esaminare e

modificare gli stili di vita che la nostra cultura societaria ci rende disponibile. Al fine di garantire la

libertà e la parità tra I cittadini, le istituzioni e le politiche pubbliche dovrebbero dare a ciascuno

eguali condizioni di appartenenza e accesso alle opportunità messe a disposizione dalla cultura

societaria. L’interpretazione della cultura di Kymlicka si presenta notevolmente statica e

conservazionista, mentre il diritto all’appartenenza culturale comporta il diritto di opporsi alle varie

proposte culturali inscritte nell’educazione ricevuta.

In Taylor e Kymlicka l’argomento culturale sortirà esiti illiberali:

1. L’indicazione di confini troppo rigidi e netti tra le identità culturali;

2. Ammissione della necessità di sorvegliarli allo scopo di disciplinare appartenenza interna

e autentiche forme di vita;

3. Privilegio accordato alla continuità e conservazione delle culture;

Fraser

• Paradigma della redistribuzione si incentra sulle ingiustizie socioeconomiche quali lo

sfruttamento, marginalizzazione economica, povertà;

• Paradigma del riconoscimento punta alle ingiustizie culturali;

La trasformazione della condizione culturale di gruppi disconosciuti può portare a un

miglioramento delle loro sorti socioeconomiche.

La politica del riconoscimento può avviare il dialogo e la riflessione critica proprio sull’identità della

collettività stessa. La politica del dialogo culturale complesso esige la ricostruzione dei confini della

società attraverso il riconoscimento delle rivendicazioni dei gruppi che hanno subito un trattamento

ingiusto.

La politica del dialogo culturale complesso afferma che nella sfera pubblica le categorie di

identificazione debbano essere tanto complesse e diversificate quanto lo è la realtà sociale. Il

censimento dovrebbe basarsi su procedure di autoidentificazione.

Essere definito categoria separata non equivale a essere riconosciuto come classe protetta ai fini

dell’adempimento dei diritti civili o all’essere ufficialmente designato come gruppo etnico. Il

riconoscimento politico pubblico di certi diritti di gruppo ai fini della classificazione non è affatto

sufficiente per capire come queste categorie incidano sulla vita personale degli individui.

Narrazioni di autoidentificazione risultino fattori maggiormente determinanti dello stato individuale

di quanto non siano indicatori e indici imposti all’individuo dai altri.

CAPITOLO TERZO

Coleman raccoglie casi di utilizzo di prove culturali a giustificazione della condotta altrimenti

criminale, prova culturale. La condanna si presenta come un trattamento dispari di individui e

l’utilizzo da parte dei tribunali di norme che sviliscono donne e bambini e tollerano il trattamento da

essi subito mina aspetti della stessa agenda multiculturalista. L’obiettivo dell’introduzione della

difesa culturale nelle cause penali è di rendere giustizia all’imputato contestualizzandone le azioni

alla luce del suo bagaglio culturale. Tuttavia si commette un’ingiustizia nei confronti delle vittime

appartenenti alla medesima cultura.

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Pluralismo giuridico ammissione che la giurisdizione su certi aspetti delle azioni può competere a

comunità culturali diverse dallo stato nazionale in materia di matrimoni, divorzi, alimenti, custodia

dei minori, eredità.

Gli assetti istituzionali multiculturali e i compromessi giuridici operino molto spesso a scapito delle

donne. La maggior parte delle culture sono patriarcali, molte delle quali sono minoranze che

rivendicano diritti di gruppo.

L’autrice sostiene la reazione e l’ampliamento degli spazi discorsivi multiculturali deliberativi nelle

democrazie liberali. In contrapposizione, il liberalismo difensivo si propone di mantenere la

distinzione tra privato e pubblico situando le questioni multiculturali sul fronte privato.

CAPITOLO QUARTO

La democrazia va intesa come un modello di organizzazione dell’esercizio collettivo e pubblico del

potere sulla base del principio secondo cui le decisioni sul benessere di una collettività

costituiscono l’esito di una procedura di deliberazione tra individui considerati eguali sul piano

morale e politico. Benhabib predilige un modello di democrazia deliberativa ma non implica che la

prosperità economica, l’efficienza istituzionale e la stabilità culturale non sia rilevanti, anch’essa

vanno soddisfatte affinché le democrazia funzionino nel tempo.

Il fondamento della legittimità democratica va ricondotto all’assunto per cui le decisioni

delle istituzioni rappresentano il punto di vista degli interessi di tutti. Questo principio può

trovare compimento laddove le decisioni siano aperte ad appropriati processi di deliberazione

pubblica.

Il modello deliberativo consiste in un approccio binario alla politica, da una parte si concentra sulle

istituzioni legislative e giudiziarie, dall’altra focalizza l’attenzione sulle attività e le lotte politiche di

movimenti sociali e associazioni della società civile. E’ all’interno della società civile che le lotte

multiculturali trovano la propria sede e l’apprendimento morale e la trasformazione dei valori hanno

luogo.

I discorsi non costituiscono un modello per le istituzioni ma possono aiutare a valutare gli assetti

istituzionali esistenti. Il presupposto fondamentale dell’etica del discorso presuppone i principi di

rispetto morale universale, che esige che si riconosca il diritto di tutti gli essere capaci di scarso e

azione a partecipare alla conversazione morale, e della reciprocità egualitaria, che stabilisce che

nel discorso ciascuno debba avere lo stesso diritto a intraprendere nuovi argomenti.

Il modello di Rawls a differenza di quello deliberativo, limita l’esercizio della ragione pubblica alla

deliberazione riguardo questioni concernenti i fondamenti costituzionali e i problemi di giustizia

fondamentale. A parere di Rawls la sfera pubblica non si situa nella società civile bensì nello stato

e nelle suo organizzazioni, prime fra tutte la sfera giuridica. Il consenso per intersezione per Rawls

è la possibilità di trovare valori politici (non religiosi o morali) di base che possano fornire istituzioni

comuni. Un modo di intendere il consenso per intersezione in una società multiculturale,

pluriconfessionale e multietnica è di sostenere che fintanto che gruppi differenti difendono

pubblicamente l’autonomia delle persone, il fatto che nelle loro pratiche private questi stessi gruppi

possano opprimere tale autonomia non sarebbe considerato in contraddizione con il liberalismo

politico. La separazione tra cultura di base e cultura politica pubblica (che in quanto concerne tutti

deve venire regolata nel comune interesse attraverso il consenso per intersezione) è precaria e

insostenibile in quanto vi sono troppi contrasti con fondamenti costituzionali delle democrazie

liberali quali la parità sessuale, l’integrità fisica, la libertà della persona e l’educazione dei minori. In

secondo luogo le minoranze culturali avanzeranno rivendicazioni di trattamento pari o differenziale.

In alcuni casi l’imparzialità può esigere un trattamento differenziale. Il liberalismo del consenso per

intersezione non offre alcun aiuto quando si tratta di capire come possa essere ristabilito il

consenso nell’evenienza di contrasti di questo tipo tra i fondamento costituzionali e le pratiche di

alcuni gruppi culturali.

Riconoscendo questi dilemmi, Barry ha elaborato una risposta più esauriente alle questioni<

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze storiche, filosofiche, pedagogiche e psicologiche M-FIL/01 Filosofia teoretica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher sara.tresoldi01 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Filosofia del dialogo interculturale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Cattolica del "Sacro Cuore" o del prof Gomarasca Paolo.