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Sembrerebbe di immediata risposta di senso che io debba fare qualcosa di diverso
rispetto la ripetizione. Tenere un diario è ripetizione. Non è l’introduzione di una
novità assoluta. A fronte di una ripetizione che utilizza il tempo, il diario 41…Per
Kafka il diario non coincide con la vita ma il punto dove il tempo non è dato, come
la rivelazione di una ripetizione che non è il fare la stessa cosa. La ripetizione del
lavoro, dei gg, impegni, non significa smettere di lavorare e inizio a fare lo
scrittore, perché anche questo avrà una sua ripetizione. C’è materiale ripetuto e
intenzione di ripetizione. Il dolore mi mette nella casella tempo e nella ripetizione,
in cui c’è un tempo, ma non è qualcosa che devo risolvere ma comprenderne
l’esperienza del tedio, della noia quale parte essenziale della perdita del tempo.
Non si può nemmeno amare senza l’esperienza del tempo. L’esperienza d’amore
non è la costante ricerca della novità, ma si è nell’ordine della ripetizione, creare
un’abitudine, quindi c’è anche tedio. Non è la vanità che è vana quanto il ripetersi
a fronte del fatto che esso non è qualcosa di eliminabile. Il tempo della vita è un
tempo ripetuto; non è un fuori uscire dalla ripetizione ma coglierne la portata, la
vanità (l’aspetto vano) della ripetizione. Noi cerchiamo di significare
continuamente ciò che facciamo ma l’esperienza ci da senso di delusione perché è
finita, l’ho realizzata. La realizzazione comporta la delusione; ti pone davanti alla
domanda : ora cosa faccio? Ti porta al bisogno di fare dell’altro. Il punto della
felicita è breve, perché sono costantemente ripreso a significare ciò che devo fare.
Entrare vivi nella morte significa entrare vivi in qualcosa che non può realizzarsi,
la realizzazione è nell’ordine della morte. La realizzazione è sempre nell’ordine
della delusione. Dunque la delusione dell’esperienza d’amore è nell’ordine della
storia d’amore, vuol dire che sono impegnato a trovare lati dell’altro che non mi
portino alla delusione. Porta con sé un fondo di sofferenza che mette in moto un
movimento di conoscenza. La felicità è nell’ordine della non conoscenza. B. :”è
una forclusione dell’avventura, ciò che mi avviene, non è la decisione, la scelta,
ma come nella sofferenza che la ripetizione mi dice, qualcosa mi avviene. Questo
non significa che si può vivere senza realizzazioni, ma mentre vivo per
raggiungerle, forcludo l’avventura.
• L’avvenimento: sopraggiungere per intaccare ance dolorosamente questo
paesaggio che diventa troppo familiare. Mette in atto la tensione che ci spinge a
capire cosa si sta facendo, che si è all’interno di una ripetizione. L’esperienza del
lutto è “il mezzo della mia vita dove sono portato a scegliere la mia ultima vita ma
la mia ultima vita è una vita nuova”. Se scopro la morte nella vita entro nell’ultima
casella con una vita nuova, come entrare vivi nella morte, vivi nella vita. Come far
si che questa esperienza del lutto possa far entrare vivi nella morte. Questa
esperienza del lutto, questa evidenza dell’aspetto reale della morte, dà la svolta a
questo entrare vivi nella morte, e che ha a che fare col tedio, con l’acedia (chi non
ha più voglia di far nulla), che è l’impotenza di amare. Non si tratta di uscire dalla
ripetizione ma di capire che tipo di piega ha questa ripetizione. L’acedia mette in
evidenza la vaghezza dell’anima, mentre noi cerchiamo di motivarla, di
ottimizzarla, perdendo la portata essenziale di come l’amare sia legato alla sua
impotenza. Come far si che l’amare rimanga nell’esperienza della sua impotenza,
di come l’amore sia impotente.
Barthes concentrato nel dare un cambio alla propria vita, nel mezzo del cammin. Le
due evidenze dell’esperienza dolorosa che pare mettere le due evidenze in luce, come
la nostra vita fosse sempre tagliata e attraversata da questa esperienza che la rovescia
in se stessa e quindi l’introdurre un programma di vita nuova è una finzione. Il
problema del nuovo è portarci in un punto in cui si ha un’esperienza che rivela come
la vita è attraversata nel mezzo e proprio in questa esperienza pare un barlume di
conoscenza in cui si insinua dall’esperienza una vita nuova. Decido di cambiare vita
facendo un’esperienza nuova. Il problema per B. è trovare-incontrare l’esperienza in
quel punto in cui la vita è vita nova, quindi il programma di vita non è fatto dei
contenuti di ciò che è programmata. Il problema non è di volere una vita nova, non è
il riappropriarsi della propria vita, bensì il fantasma su cui è strutturata la nostra vita,
di essere vivi in ciò che ci accade. Si deve far emergere il nostro desiderio inaugurale
di amare. In un programma di vita nova che non significa dire “non voglio più fare il
professore”. Il cambiamento non è soltanto nel concetto negativo. Come se
l’esperienza del dolore (lutto madre) permettesse di vedermi, come il regista della
mia vita, e nel desiderio di ritornare attore, ingaggiato nell’aspetto inaugurale…11
Non è un discorso di fede perché essa è in rapporto con la morte. Vuol dire
trasformare il fantasma in fantasma possibile, che è un’esperienza reale in quanto
esperienza virtuale. Non è una fantasia solo che il virtuale permette di avere un uso
del fantasma. Non è quindi un discorso di esser stanco e di aprirsi alla speranza ma la
possibilità di introdurre un programma, che va oltre, verso la fine, che è sempre
qualcosa che pensa oltre la morte ma necessita di passare oltre la morte, nel
mantenersi vivo nella morte. Perché ogni giorno della vita è attraversato dal mezzo
del cammin. Quindi B. dice orientarmi nell’ordine della scoperta che gioca sempre
con l’intelligenza, il tentativo paranoico di creare una scena come quella. B.:“non
faccio più il professore, non mi occupo più dei testi di Proust ma scopro una nuova
pratica di scrittura, in modo che questa che rompa quelle pratiche intellettuali, e la
scrittura si deve allontanare dalla gestione dell’impeto passato. C’è una interruzione
dell’esperienza intellettuale. Non possiamo pensare di rompere un’esperienza
precedente introducendone una nuova. C’è qualcosa che mi allontana dalla capacita
di aver compreso di saper gestire ciò che so fare. L’esperienza del lutto mette in crisi
la mia capacita di permanere i ciò che so fare, rompere l’abito come l’impeto che ho
imparato a gestire. Siamo nell’ordine dell’impegno professionale, c’è un impeto che
spinge alla conoscenza, il quale devo imparare a gestirlo e quando l’ho fatto non
posso che tendere nella ripetizione, dove ciò che cambia è l’io. L’esperienza del
dolore interviene a rivelarmi un’esperienza nella gestione dell’impeto, trasmettere
qualcosa di nuovo, conosciuto. Insegnare è trasmettere qualcosa di nuovo. Nel
momento in cui so gestire sono in una esperienza non solo di morte ma di
trasmissione di sapere acquisito. Si può solo trasmettere ciò che si ha già acquisito.
Come è possibile che nel momento in cui prendo la parola, ciò che dico non è
soltanto ciò che dico, perché ciò che dico non è nell’ordine della conoscenza. Barhes:
“Il sogg. scrivente subisce una pressione sociale, il quale vuole portarlo a ridurlo a
gestirsi da se”. Ogni gestione è una delusione. Ovvero io so gestire l’impeto della
conoscenza, delle pratiche intellettuali, quindi sono sogg. che si esprime cosi come
scrive, e la mia autonomia nel gestirmi è tale per cui non solo ciò che dico deve esser
tale per cui dovrebbe allo stesso modo un altro ma è indifferente chi mai ascolta
perché deve imparare a dire allo stesso modo ciò che sto dicendo. Ciò che ho
imparato possa essere detta in modo tale che chi ascolta possa imparare come l’ho
acquisita io. dare strumenti di autonomia è dare strumenti per potersi gestire da se.
Non può che ripetere la propria opera. E’ questo tran-tran che deve essere interrotto.
B. : il punto di interruzione dovrebbe restituire l’esperienza della capacita di amare.
Rispetto alla mia gestione autonoma, dov’è il momento inaugurale del mio impeto?
…Non resta che il compito di annullarlo…Si ha come l’esperienza è stata fatta,
concludendo ciò che si doveva fare, l’universo è silenzioso ed e solo la forza di essere
io. Non c’è una parola per dire quel punto compiuto come se pe ala vita immanente ci
fosse una casella capace di contemplazione del compimento e l’opera rimane
incompiuta. Una casella vuota che fa si che l’opera tenta di fare. Il fantasma del
cambiamento si colloca li, il punto inaugurale dell’opera è quello dove l’opera aspetta
il suo autore. E’ trovare modo di essere vivi nella morte, trovare il momento
inaugurale. Per B. dare peso, lasciare spazio alla vocazione, tutta una vita una
vocazione. La vocazione ha un riferimento immanente, è l’avventura ovvero ciò che
avviene, uno stile che non è il contenuto della mia vocazione. Nel momento in cui si
sostanzia, come i miei amori, sono destinati alla loro costruzione, alla loro verità,
quindi può cambiare l’oggetto della mia vocazione. La vocazione è quel punto
inaugurale di essere chiamati all’avventura, a sentirsi vivi. Non è qualcosa che può
essere sostanziato. Da origine a qualcosa. Non è che diventa chiaro cosa mi sta
spingendo a cambiare. Sento questa tensione finche non si evidenzia che cosa.
L’effimero è qualcosa dell’esperienza che sfugge al suo contenuto, il fantasma è
sempre effimero e ciò porta a provare a riempirlo immediatamente. Il fantasma non è
virtuale ma reale, che intacca il soggetto e lo ricatta in quanto fantasma fondamentale.
L’idea è di sublimarlo nell’arte. Un mondo dove si ha la capacita di rispondere e un
modo dove esistono le mie fantasie. Questa dicotomia intacca ciò che siamo. Quel
punto che a noi interessa perché li si crea l’incontro con l’altro. C’è qualcosa di
effimero nella vita, che accade una volta e svanisce, non si può trattenere e fare
proprio, è evanescente, come il fantasma. Dimens