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I PRODOTTI DELLA RICERCA:
I brani musicali registrati sul campo, accompagnati dalle
- relative schede che il ricercatore ha compilato all’atto della
raccolta dei dati contestuali;
la successiva elaborazione, “a tavolino” e “in laboratorio”,
- dei dati raccolti sul campo può avere come esiti una serie di
pubblicazioni destinate alla comunità scientifica e/o a un
pubblico più vasto (monografie su specifiche culture musicali
o su singoli aspetti, antologie e raccolte di canti e brani
strumentali relativi a una determinata società o area
folklorica, analisi puntuali su singoli aspetti di una data
produzione musicale). Tali studi possono essere presentati
sotto forma di testi scritti (libri, saggi, articoli) o servirsi del
supporto sonoro (disco, cassetta, CD), ma sono possibili
anche soluzioni del tipo libro+disco, libro+musicassetta, etc.
Negli ultimi anni si è inoltre intensificata una produzione
documentaria audiovisiva (sviluppata grazie alla maggiore
facilità d’impiego e ai minori costi di edizione);
Infine, alla terza fase, quello della comparazione e
- generalizzazione dei dati, si collocano non solo manuali e
testi di carattere generale, ma anche e soprattutto studi
transculturali su particolari argomenti musicologici.
Gli universalia e la trasfor mazione del concetto
occidentale di musica
È ormai chiaro che lo scopo principale dell’etnomusicologia è
quello di interpretare ogni fenomeno musicale in rapporto alla
particolare cultura che lo ha prodotto adottando strumenti e
categorie di portata e validità universali.
In passato si pensava che la musica costituisse un unicum
indivisibile e che le varietà di forme in cui essa si presentava nelle
diverse società e culture via via esplorate potesse e dovesse essere
ricondotta a dei tratti universali, per cui il problema era quello di
individuarne le costanti. la questione degli “universalia”
(caratteristiche costanti in ogni cultura musicale) fu al centro delle
preoccupazioni dei primi ricercatori per molti decenni.
Questi etnomusicologi nella fase iniziale della comparazione
prendevano come punto di partenza il sistema armonico della
musica d’Occidente.
Pertanto, erano considerati musicali tutti quei fenomeni che, nelle
altre società e culture, rivelavano analogie formali con la musica
occidentale. Ma un tale procedimento analogico-deduttivo era
destinato a scontrarsi con la realtà delle cose.
L’inganno delle forme
Cosa è musica e cosa non lo è?
Esempio: confronto tra due brani apparentemente simili in quanto
entrambi caratterizzati da un’imitazione fra voce e tamburo:
nel primo, dell’Africa subsahariana, alcune formule intonate
- da una voce maschile vengono riprese da un tamburo in
grado di produrre suoni di altezza diversa;
nel secondo, altre formule eseguite in rapida successione da
- una voce maschile sono immediatamente riprodotte sul tabla,
la nota coppia di tamburi della tradizione musicale classica
del Nord-India.
Il primo brano non ha nulla di musicale perché queste percussioni
a intonazione multipla venivano impiegate anche per trasmettere
messaggi linguistici, riproducendo le diverse altezze dei suoni
delle lingue bantù, le quali in molte varianti sono appunto lingue
‘a toni’.
Il secondo brano, invece, rinvia a una dimensione musicale poiché
è l’esemplificazione da parte di un maestro percussionista indiano
di un sistema di “solfeggio” ritmico adoperato dai suonatori di
tabla, nel quale ogni tipo di colpo sui tamburi viene denominato
con un diverso monosillabo (chiamato “bol”).
Altro esempio. Esaminiamo 3 brani differenti tra loro:
“Gioco vocale” degli Inuit del Canada eseguito da due donne
1) che, poste una di fronte all’altra, eseguono rispettando un
canone, alcune formule melodico-ritmiche caratterizzare da
una mescolanza di suoni sonori-sordi ed espirati-inspirati fino
a quando una delle due sbaglia, resta senza fiato o ride
perdendo così la sfida.
“Invito alla preghiera” (Adhan) di un muezzin di Damasco
2) rivolto ai fedeli dalla cima di un minareto (=torre adiacente
alla moschea dalla quale il muezzin ripete l’appello alla
preghiera ai credenti musulmani) caratterizzato da
un’esecuzione vocale piena di fioriture e melismi .
2
Questo è l’esempio non musicale della serie: infatti secondo
i dettami della religione islamica, la preghiera e il nome di
2 ornamentazioni melodiche
Allah non possono in alcun modo essere associati a una
pratica profana (qual è quella musicale).
Finale di “Continuo” di Bruno Maderna (1957),
3) composizione per suoni elettronici che fa impiego di rumori e
timbri estremamente aspri e concreti.
Risultato di queste esperienze è quello di riconoscere come
musica la non-musica degli altri e di disconoscere il prodotto di
musicisti appartenenti alla propria cultura contemporanea se
ascoltato fuori dal contesto che le è proprio (sala da concerto o
programma radiofonico) e senza possedere in anticipo
informazioni sulla natura dell’evento: tutto questo per dire che
la forma in molti casi non è sufficiente a garantire la
musicalità se non si conoscono i codici grammaticali e
culturali che la determinano.
In relazione a tali codici va anche rivista e ridimensionata la
“questione degli universalia” musicali.
Dalla musica alle musiche
Il termine “MUSICA” è utilizzato per:
Designare un ambito di attività e di comportamento (la
- musica come particolare forma di espressione);
Definire i prodotti di tali attività e comportamenti (una
- musica o le musiche);
Differenziare l’esecuzione strumentale da quella vocale (es:
- “so cantare ma non so fare musica”);
Distinguere la teoria dalle diverse pratiche vocali e
- strumentali;
In senso metaforico (“cambia musica” o “senti che musica
- fanno gli uccelli”);
La mancanza di sinonimi e la conseguente polisemia del
termine sono sintomi di come la sfera dei comportamenti
musicali appaia ai più alla stregua di un’unica nebulosa dai
contorni incerti.
Jean-Jacques Rousseau (1768) intende la musica come
“l’arte di combinare suoni in modo gradevole all’orecchio”,
mentre altri la definiscono come “l’arte di combinare suoni
secondo determinate regole”.
Le imprecise definizioni di musica derivano dalla concezione di
musica “colta” e sono il risultato di “un restringimento e di una
specificazione del campo musicale” connesse all’evoluzione
della nostra musica “d’arte”. Esse ci riconducono agli inizi del
Medioevo, quando la musica, collocata tra le arti liberali ,
3
assunse la fisionomia di una scienza dei suoni autonoma.
Era inevitabile che l’impatto con le culture extra-occidentali e
con la loro diversità mettesse in crisi anche il concetto
occidentale: non solo facendo crollare le illusioni
sull’universalità, la naturalità e l’immortalità dell’arte delle
Muse, ma ponendo anche seri dubbi sulla validità dei tratti fino
ad allora considerati distintivi delle forme e dei comportamenti
musicali. Analoghe conseguenze derivarono da uno studio
sempre più attento e rigoroso della musica folklorica europea.
Dopo l’ingresso dell’etnomusicologia negli ambiti istituzionali
e accademici la conoscenza delle diversità musicali si diffonde
al livello comune e si assiste a rapide e significative mutazioni
vedi per esempio nel dizionario Zingarelli che alle nona
edizione ha trasformato la definizione: “l’arte di combinare più
suoni in base a regole definite, diverse a seconda dei luoghi e
delle epoche”.
3 quelle che innalzavano l’uomo – dei Greci e dei Romani
Le tappe di evoluzione del progetto etnomusicologico
La storia dell’etnomusicologia di oltre 100 anni può essere letta
come la cronaca del passaggio da una definizione “a priori” di
musica – basata sull’esperienza e le categorie cognitive
occidentali – a una nuova griglia interpretativa in grado di
spiegare “a posteriori” le profonde e reciproche diversità
musicali delle diverse culture.
Le fasi principali sono le seguenti:
Periodo della “MUSICOLOGIA COMPARATA” (1900-1940):
1.
dal nome che i pionieri della Scuola di Berlino attribuirono
inizialmente alla disciplina.
Fu caratterizzato dal tentativo di individuare costanti e fasi
evolutive universali della musica.
L’ipotesi era che i fenomeni musicali si fossero sviluppati da
forme più elementari e indifferenziate a forme più complesse. Si
trattava di datare perciò la nascita di forme, strumenti e usi
musicali e anche di stabilire se avessero avuto una nascita plurima
e indipendente (evoluzionisti) o se invece si fossero irradiati da
4
singoli punti d’origine (diffusionisti).
Periodo dell’“ETNOMUSICOLOGIA PROPRIAMENTE
2.
DETTA” (anni ’40-’50): anche in base a considerazioni di urgent
anthropology, si cominciarono ad effettuare numerose ricerche
“sul campo” e studi sistematici sulle diverse culture musicali.
Questa fase fu influenzata soprattutto dai funzionalismi
antropologici che contrapponevano ad uno studio ‘diacronico’ –
5
tipico dell’evoluzionismo e del diffusionismo – uno studio
4 Diffusi, emanati
5 Nel suo sviluppo, processo e trasformazione
‘sincronico’ dei fatti culturali considerati nelle loro relazioni
6
all’interno delle diverse società.
Il nome del periodo è coniato da Kunst nel 1950 ed è
contraddistinto da un accantonamento del problema degli
universalia e da una ricchissima produzione documentaria
(bibliografica, sonora, filmica) sui “sistemi” e le “culture”
musicali dei diversi continenti.
(L’attuale) periodo dell’“ANTROPOLOGIA DELLA
3.
MUSICA” (anni ’60): torna alla ribalta il problema degli
universalia però non più su basi aprioristiche, ma sulla base di dati
empirici forniti dalle ricerche sul campo.
È inoltre caratterizzata dal convergere di varietà di approcci
(linguistici, semiologici, psicologici…) nel tentativo di dare
fondamento unitario allo studio della musica in quanto specifico
comportamento umano.
Tornando alle origini, anche la storia dell’etnomusicologia ha una
sua PREISTORIA ma essa non va cercata in un’evoluzione
interna agli studi mus