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Per quanto riguarda le macchine, esse sono create ad immagine e somiglianza degli uomini, per
poter essere impiegate. Sono user friendly. Poi, però, il rispecchiamento si rovescia: il padrone è
asservito al servo. Il modello non siamo più noi, ma la macchina, che è perfetta. Si diffondono
tentativi umani di trasformarsi in automi e di uniformarsi a procedure standard.
Qui l’indifferenza lessicale non è solo un sintomo, ma un imperativo. Non si plasma la macchina
a nostro uso e consumo, bensì ci uniformiamo sempre di più al suo operare. Ma l’uomo si è sempre
adattato agli strumenti tecnici che ha creato, e lo stesso accade con gli strumenti tecnologici. Come
quando si compra un cellulare nuovo e si trova difficoltà ad usarlo.
3. Agire delle macchine e agire umano
È un dato di fatto che esistono apparati che agiscono, entro una certa misura, autonomamente. Ciò
comporta l’estensione dell’etica al di là dell’agire umano.
Cosa significa “agire” per una macchina? Il termine “agire” è una parola-ombrello, racchiude in
sé vari significati. È corretta usarla per le macchine, ma ha bisogno di un chiarimento specifico.
Quelle delle macchine sono forme dell’agire proprie anche dell’essere umano. Vi è anzitutto l’agire
inteso come produzione di effetti. Per essere effettivo, efficace ed efficiente questo agire si configura
in una procedura ben definita, programmabile e ripetibile, con una serie di regole più o meno rigide.
Queste regole sono l’elemento di mediazione che consente alla procedura di estendersi in casi
ritenuti simili. È possibile un’interazione con l’ambiente e c’è un’apertura a tutto ciò che non era
previsto in anticipo. Per garantire la gestione degli imprevisti si effettuano calcoli delle probabilità
che si possono effettuare, per metterle in dei parametri e poterle governare.
Quindi, l’etica delle macchine è connessa ad una modalità di agire che ha una prospettiva
consequenzialista, ricollegandosi al vasto universo dell’utilitarismo.
quando si deve stabilire chi è che valuta i criteri dell’agire della macchina.
Il problema sorge
Nell’agire umano esiste chi valuta “dall’esterno”, ma anche “dall’interno”, ovvero lo stesso agente.
Nelle macchine chi valuta sono i programmatori e i costruttori, quindi vengono imposti solo
dall’esterno.
In realtà i costruttori hanno dei limiti, dovuti al livello di sviluppo tecnologico in un determinato
tempo storico. C’è anche qui un vincolo intrinseco su ciò che è buono. Un tagliaerba agisce bene nella
misura in cui realizza efficacemente il risultato per cui è stato progettato.
Vi è inoltre il giudizio di valore espresso nel merito dell’utilizzatore, che riguardo il modo in cui
viene considerato l’operato della macchina.
Emerge un motivo di differenziazione tra l’agire umano e l’agire artificiale. L’agente umano può
prendere distanza da ciò che fa, può interrogarsi in base ad una serie di etiche. Questo la macchina
non lo può fare.
L’etica non coincide solo con un comportamento adottato in quanto tale, un costume (ethos)
stabilito in una determinata struttura. Nella storia dell’etica emerge anche un altro atteggiamento,
mediante il quale il soggetto si distacca dai comportamenti prescritti, mettendo in questione
criticamente lo stesso contesto sociale in cui agisce.
il significato del verbo “agire”. Non c’è il solo agire che si compie seguendo una regola.
Cambia
C’è anche la possibilità di formare un giudizio su questa regola, aprendo la possibilità di cambiarla.
È un agire che si compie “sapendo” di agire.
Qui “agire” significa “essere e mettere in opera relazioni”, con l’altro e con sé.
La riflessione sull’agire nella storia dell’etica amplia la portata di questo verbo, che richiede che
– come “dovere”, “libertà” e “senso” –
venga collegato ad altre nozioni che sembrano specificamente
umane, non utilizzabili per un’etica delle macchine. Le macchine non hanno la capacità di prendere
le distanze da ciò che fanno. Le macchine “decidono” in altro modo.
Il nodo da sciogliere è quello dell’autonomia delle macchine. Le macchine possono essere
considerate autonome, cioè capaci, da sole, di “decidere”? O anche qui si ha un’analogia di
linguaggio? Secondo Floridi e Sanders il carattere dell’etica riguarda entità che compiono tre
in maniera indipendente; adattano l’agire al
processi: reagiscono a stimoli esterni; fanno azioni
contesto. Si ha “autonomia” e “responsabilità” con il soddisfacimento di tali criteri. Ma come si
rintracciano nell’agire delle macchine?
L’autonomia delle macchine
4. Anche e macchine hanno relazioni con il proprio contesto e ambiente, con esseri umani o altre
macchine diverse. Hanno anche relazioni con se stesse in modo retroattivo. Poi ci sono le relazioni
tra essere umano e macchine, sia come semplice utilizzo, sia come programmatore.
l’autonomia di cui le macchine possono dare prova? Già abbiamo
Ma qual è, più precisamente,
parlato di apparati in grado di “apprendere” dal contesto. Pensiamo a Google car, per esempio. Ma
che principî usano?
Sono, anzitutto, principî stabiliti dal programmatore nel contesto lavorativo, ma anche nella vita.
Sono principî con cui costruiscono la macchina tenendo conto dei limiti tecnologici di un dato
momento storico. Sono principî propri della macchina stessa, in base ai quali è stata organizzata la
sua capacità d’azione. Sono che rendono possibile la capacità d’interazione con l’ambiente e
principî
altri essere, artificiali e non.
In questo contesto una macchina è capace di auto-regolare i propri processi, ma non è capace di
Non è in grado di “scegliere”
auto-regolamentarli. i criteri e principî con cui si relaziona con
l’ambiente. L’autonomia riguarda il modo in cui la macchina segue la procedura, anticipa scenari
possibili e risponde a essi. È un’autonomia “relativa”.
L’autonomia delle macchine concerne solo ai rapporti “orizzontali”, quelli che riguardano le
interazioni con l’ambiente. Le macchine si adattano, ma solo perché questo adattamento è il risultato
di un calcolo delle probabilità.
Tuttavia seguire una regola non significa applicarla. L’applicazione comporta la gestione
dell’imprevisto, sia quello che si prospetta di fronte all’agire, sia quello che viene generato dall’agire
stesso. Il giudizio non si risolve solo adottando una regola, ma anche valutandola. Ecco perché, allo
stato attuale, l’operare di una macchina non può essere paragonato all’operare umano.
L’essere umano di fronte all’agire delle macchine
5. Nel rapporto tra umano e macchine emerge un ulteriore significato dell’espressione “etica delle
macchine”: quello oggettivo del soggettivo.
dell’essere umano con le macchine, soprattutto se professionale, riguarda un approccio
Il rapporto
deontologico e normativo, con il quale frequentemente viene sviluppata un’etica delle macchine.
Si tratta di regolamentare il comportamento di costruttori, programmatori e utilizzatori. Lo stesso
approccio si usa per regolamentare l’agire artificiale. Tuttavia questa visione non considera ancora
l’autonomia che è propria dell’operare delle macchine, e non è dunque in grado di regolamentarla
adeguatamente. un’etica che riguarda il legame tra umani e macchine partendo dal
È possibile sviluppare
presupposto che si tratti di una relazione tra forme di comportamento differenti. L’agire delle
macchine, come si è visto, ha un’autonomia “relativa”. L’agire degli umani interagisce invece con
questo sfondo etico. L’agire della macchina ha sempre un obiettivo, ma solo perché è programmata
per farlo. Può anche autodistruggersi, se programmata per farlo. L’essere umano può interagire e
retroagire anche contro la sua stessa natura. L’essere umano può essere nichilista, la macchina no.
Proprio perché si tratta di una relazione, l’etica di cui parlo dev’essere conforme a quelli che sono
dell’agire relazionale, che rimanda ad un unico criterio generale, ovvero il criterio
i criteri e i principî
in cui una relazione è buona se è in grado di essere feconda, produttiva, promotrice di sempre nuove
relazioni. dell’oggettività della
Etica delle immagini, spectatorship e la questione ingenua
rappresentazione (Giovanni Scarafile)
di un’etica delle immagini
1. Plausibilità
Nonostante i molti studi internazionali, un pregiudizio vorrebbe negare alla filosofia morale di
occuparsi delle immagini, studio riservato all’estetica. Esistono invece questioni attinenti alle
immagini alle quali un filosofo non può astenersi.
In questo scritto esaminerò il nesso tra immagini e oggettività, in riferimento alla rappresentazione
fotografica.
Si consideri l’immagine che circolò in rete dopo gli attentati di Parigi del novembre 2015.
Mostrano la città
immediatamente dopo gli
attacchi, risultando plausibili
alle nostre attese, visto che le
strade sembrano deserte dopo
un tale avvenimento.
Implicitamente e
contestualmente si afferma in
noi che ciò che vediamo sia
vero, oggettivo. La didascalia
rinforza tale credenza.
Ritengo che sia utile e non credenza dell’immediata oggettività della rappresentazione
scontato ragionare sulla ingenua
fotografica. La posta in gioco è alta ed è introdotta dalla tesi (A):
(A). Più una comunicazione visuale è esatta, più essa può considerarsi etica.
Nel caso, “esatto” sta per conforme al vero. È etica quella comunicazione visuale che sia in grado
di riprodurre il più efficacemente possibile il messaggio da essa stessa veicolato.
1.1. Etica e/o efficacia?
Chiariamo il nesso tra etica e efficacia.
Generalmente l’idea di efficacia nella comunicazione coincide con l’effettività del messaggio
veicolato. Così si disgiunge però l’etica e l’efficacia, come se fossero separate. Ma la loro differenza
proviene da un approccio errato.
Perché l’efficacia comunicativa diventi un obiettivo perseguibile senza se