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Dunque internet è uno strumento d'interazione capace di offrire un menu potenzialmente infinito di
connessioni, informazioni, rimandi. E' tanto ricco da richiedere un ulteriore strumento capace di orientare la
ricerca: un “motore” che ormai siamo abituati ad usare senza domandarci quali siano i criteri secondo i quali
la sua ricerca viene appunto condotta e con risultati raggiunti in un tempo sempre più veloce. Da qualche
anno, all'interazione già possibile si e affiancata una nuova condivisione di pensieri, di contenuti, di
immagini, di emozioni. E' il mondo del web 2.0, quello che ha a che fare con applicazioni user friendly e di
cui sono famosissimi esempi il social network Facebook e l'enciclopedia on line Wikipedia In questo ambito
il compito etico che va assunto è quello di scegliere nel contesto tradizionale del web 2.0, gli atteggiamenti
in grado di promuovere altre relazioni, non già di distruggerle. Per usufruire dell'ampliata libertà attraverso
il moltiplicarne delle relazioni che ne rendono possibile l'esercizio bisogna accettare regole ben precise.
Con queste riflessioni su internet come spazio delle scelte, sulle condizioni per esercitare quella libertà
responsabile che la rete consente di sviluppare, sulle forme di comunità promosse dai social network, sulle
applicazioni fornite dai palmari, siamo passati dall'etica di internet all'etica in internet: quell'insieme di
comportamenti che bisogna adottare quando si utilizzano le possibilità del web e quando si naviga in rete.
Anche nel caso della rete sono nati dei codici di autoregolamentazione che coinvolgono sia gli operatori del
settore sia le aziende erogatrici dei servizi, e per ora riguardano soprattutto la salvaguardia di specifiche
categorie di utenti come i minori. Sempre nell'ambito della tutela degli utenti si è incominciato a parlare di
accessibilità e usabilità, in particolare quando si è capito il potenziale di internet nel rapporto fra cittadini e
Pubblica Amministrazione. Il problema che riguarda qualsiasi codice venga adottato è la mancanza di un
moderatore unico per tutto il web in grado di sanzionare le trasgressioni. In questo caso e il singolo utente a
venire chiamato ad assumersi le proprie responsabilità. Anche dal punto di vista penale vi sono leggi che
puniscono certe pratiche commesse in rete, ma nella misura in cui internet non è delimitato all'interno di
precisi confini geografici è difficile applicare leggi valide entro la giurisdizione degli Stati nazionali.
Per regolare i comportamenti all'interno della rete non bastano i codici o le sanzioni da essi previste. Bisogna
invece fornire le motivazioni, indicare il perché sia giusto compiere determinati atti invece che altri. Questo
è ciò che è chiamata a fare l'etica in internet. Per giustificare l'adozione di certi comportamenti l'etica in
internet deve essere collocata nel contesto più generale delle problematiche della rete e degli aspetti etici che
esse coinvolgono: l'etica di internet. A partire da qui poi debbono essere esibiti quei principi generali ai quali
di volta in volta l'utente si richiama nelle sue scelte concrete. Fondare tali principi, in maniera adeguata, e
compito dell'etica generale.
Capitolo 5. Etica e comunicazione pubblicitaria
La pubblicità è uno dei principali motori dell'economia e condiziona la vita di tutti i mezzi di comunicazione
di massa che poggiano sulla sua capacità di influenzare i nostri pensieri e comportamenti. Il termine
pubblicità deriva dal latino pubblicare, che significa “far conoscere”, rendere a tutti noto un qualcosa. La
pubblicità può essere classificata in base al fine per il quale è stata ideata: se per scopi puramente economici,
commerciali, oppure senza finalità di lucro. Esistono vari tipi di pubblicità:
• La propaganda politica, volta a formare nel pubblico certe idee o ideologie proprie di un partito o di
una corrente politica.
• La pubblicità sociale (o no profit advertising), con l'intento di sensibilizzare un determinato
pubblico relativamente a tematiche di interesse generale e potenzialmente universali, richiamando
valori umanitari, civili e solidaristici.
• La pubblicità pubblica (istituzionale), impiegata dallo Stato e dalle Pubbliche Amministrazioni per
comunicare i servizi offerti, i diritti e i doveri dei cittadini.
• L'advocacy advertising, volta a promuovere un consenso relativamente a tematiche su cui esiste una
divergenza di opinioni.
• La pubblicità commerciale, una forma di comunicazione che l'azienda produttrice di un bene o di un
servizio pone in essere utilizzando (pagandoli) canali che siano raggiungibili da un pubblico
tendenzialmente corrispondente all'intera collettività con il fine di guidare le scelte degli individui, la
loro “propensione all'acquisto”, o anche migliorare l'immagine del bene o del servizio pubblicizzato,
oltre che contrastare le iniziative di aziende concorrenti.
Le prime pubblicità hanno origini antiche, risalgono addirittura all'antica Roma, con insegne dipinte o a
mosaico collocate fuori dai negozi per attirare i clienti. Iscrizioni e immagini simboliche altamente
comprensibili talvolta apposte dai produttori anche sul bene. Nel Medioevo le insegne si arricchiscono di
decorazioni, spesso realizzate da celebri artisti, che rappresentano i prodotti in vendita. La forma
pubblicitaria più diffusa però era quella dei venditori ambulanti che, nei pressi delle loro bancarelle,
descrivevano le merci in vendita. E' nella seconda meta del quattrocento, con la diffusione della stampa a
caratteri mobili di Gutemberg, che nasce la pubblicità “moderna”, con l'esigenza di valorizzare un prodotto.
Nel seicento e nel settecento a veicolare i messaggi pubblicitari sono le Gazzette, settimanali contenenti
informazioni utili e notizie spesso provenienti dall'estero. Con le gazzette nasce la reclame: in Italia si deve
attendere il 1691. Nell'ottocento si intensificano le affissioni tanto che negli Stati Uniti vengono fondate le
prime agenzie d'affari che vendono spazi pubblicitari. Sono manifesti pubblicitari di grandi dimensioni che
permettono alla pubblicità di invadere la città in posizioni strategiche. Già nel 1895 i fratelli Lumiere
avevano capito l'importanza della pubblicità e attuando un'abile operazione pubblicitaria mostrarono
un'immagine positiva dell'azienda di famiglia. Da questo momento in poi la pubblicità cinematografica
assume una notevole importanza, ulteriormente amplificata dall'introduzione del cinema a colori. Nel corso
del XX e, soprattutto del XXI secolo, la pubblicità si evolve in maniera esponenziale, di pari passo con il
nuovo scenario comunicativo: emerge il fenomeno delle riviste illustrate, fanno capolino nuove forme
pubblicitarie per la radio e la tv analogica prima, e per la tv digitale ed internet dopo. Con la radio, subito
dopo la prima guerra mondiale, la pubblicità e i suoi slogan entrano nelle abitazioni, e lo fa con ancora più
invadenza nella vita quotidiana a partire dal 1957 con la nascita di Carosello. Negli anni settanta invece
emergono nuovi tipi di campagna pubblicitaria, molto creativi ed innovativi ma a volte controversi. Nella
società contemporanea la pubblicità è divenuta la fonte di finanziamento principale dei mezzi di
comunicazione, sovente determinandone i contenuti. Una tale importanza riservata ad un messaggio volto a
persuadere il destinatario impone alcune riflessioni di natura etica incentrate sui principi e i criteri che
guidano l'ideazione, la creazione e la veicolazione del messaggio pubblicitario.
Nel corso del tempo, dalle prime forme censorie promosse dal Codice SACIS per la pubblicità televisiva in
RAI, i criteri e le regole per la regolamentazione della comunicazione pubblicitaria sono stati notevolmente
modificati. Ancora oggi questi interventi sono affidati a fonti di autodisciplina che si appellano al senso di
responsabilità di chi opera in questo stesso campo. Esistono in Italia norme che regolano la pubblicità:
• Carta dell'informazione e della programmazione a garanzia degli utenti e degli operatori del
servizio pubblico radio-televisivo, valida per le pubblicità proposte per la tv e per la radio.
• Comitato di attuazione del Codice di regolamentazione convenzionale, stipulato fra tv e associazioni
che si occupano di tutela dell'infanzia, controlla il rispetto delle norme di autoregolamentazione
attraverso monitoraggi costanti. Il codice stabilisce una fascia protetta pomeridiana dalle 16 alle 19,
durante la quale le emittenti devono porre molta attenzione affinché i programmi e la pubblicità non
contengano elementi oggettivi di pregiudizio per lo sviluppo psicofisico dei minori.
Gli spot che hanno il divieto di circolare sui canali ufficiali perché censurati, in attesa di permesso o per
scelte di marketing, finiscono per andare in rete: Internet è diventato un alleato di chi vuole protestare
creando campagne di sensibilizzazione.
In ambito pubblicitario “buono” e ciò che è efficacie, capace di raggiungere il proprio obiettivo nel modo
più diretto ed efficiente. I principi etici alla base di questa concezione possono essere numerosi, tutti però
riconducibili al criterio dell'utilità: utile per la collettività, utile per il singolo, utile per un gruppo di
individui. La pubblicità ha un ruolo sociale ben preciso: distorce la percezione della realtà creando
aspettative nel pubblico al quale si indirizza, in relazione ad un miglioramento della propria condizione di
vita. Non sempre lo scopo della pubblicità risulta persuasivo in senso negativo: basti pensare alle pubblicità
progresso, volte al cambiamento di certi comportamenti o atteggiamenti di singoli per l'innalzamento della
qualità della vita della collettività. Le problematiche di ordine etico che possono emergere nel contesto
pubblicitario sono varie e complesse:
• Occorre porre attenzione alle questioni morali relative all'utilizzo della pubblicità in sé ed alla
costruzione del messaggio da veicolare: questo primo profilo di riflessione concerne l'utilizzo della
pubblicità come mezzo di comunicazione in se, la quale altera i comportamenti degli individui
favorendo l'adozione di modelli tipici di una società consumistica. Con l'avvento e la crescita della
produzione industriale, la pubblicità si fa attiva: enfatizzando il brand del prodotto si tende a distrarre
i consumatori dalla valutazione estrinseca o intrinseca del prodotto, creando falsi bisogni e talvolta
deformando lo spirito critico dei destinatari. Non si pubblicizza più tanto l'oggetto in sé, quanto<