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L'uomo e la ricerca dell'unità divina secondo Agostino
L'uomo, per Agostino, è naturalmente spinto a cercare l'unitas che è Dio-Trinità, perché è naturalmente spinto a compiere la propria immagine trina. Ogni autonomia, ogni assoluta identificazione dell'interiorità si rivela, pertanto, impossibile, proprio in quanto la memoria nasce dalla differenza e diviene soltanto attraverso la differenza. L'oblio della memoria si rivela come volontà d'oblio della memoria, peccato, perversa volontà di nascondimento della coscienza a se stessa, in idoli di conoscenza puramente esteriore. L'anamnesi agostiniana è opera della grazia di Dio, non è affatto un atto riflessivo, un autoidentificarsi della coscienza. La consapevolezza che, eventualmente, la memoria può attingere, è comunque, un riprendersi attraverso l'insuperabilità del mistero della sua origine, che è apertura sul mistero immemorabile dell'assoluta.
alterità di Diocreatore. Per Agostino Cristo è Salvatore in quanto mediator, identificato con il Padre per natura e con l'uomo per amore, quindi capace di riconciliare con Dio l'uomo eletto/alienato dal peccato. Considerata la sistematica, tecnica d'utilizzazione dei generi sommi platonici, Agostino si rivela perfettamente consapevole di come Cristo sia la sintesi ipostatica e, quindi, il paradossale sconvolgimento della dialettica filosofica. L'incarnazione è dialettica identità e differenza tra un atto essenziale o trinitario e un effetto personale o individuale; il che provoca una radicalizzazione della distinzione delle Persone e un'evidente temporalizzazione all'interno della Trinità eterna. Cristo è Verbum Homo, unione personale senza mescolanza tra Dio vero e vero uomo, ove Agostino sottolinea la presenza, nel Verbo incarnato, di un'anima razionale. Cristologicamente, come trinitariamente, Dio è.assoluto nell'essere atto onnipotente capace di tollerare, d'identificare l'alterità, la contraddizione della sua stessa assolutezza, nella sua intima natura, sino all'identità personale. L'ambito escatologico trascende, compie, corregge, persino, l'ambito della creazione, rivelando la paradossale sporgenza di Dio nei confronti di se stesso, l'ulteriorità dell'ordine dell'amore rispetto all'ordine ontologico creato e, infine, la non universalità dell'ulteriore rivelazione di grazia. Il dato scritturistico e dogmatico della finale risurrezione della carne è interpretato come indebita elargizione al corpo umano di una virtus naturalmente impossibile. Agostino ne ipotizza l'escatologica perfezione, realizzata, come quella dei bambini prematuramente. In De Civitate Dei prospettando la risurrezione come una nuova perfetta creazione, Agostino si spinge sino al paragone di Dio con
l'artista che, rifondendo la materia di una statua dotata di una forma imperfetta, la riplasma perfetta. Rasentando il dualismo gnostico, Agostino concepisce la ricreazione escatologica come correzione della creazione naturale, corrotta dal peccato dell'uomo. Agostino ribadisce, comunque, che gli infanti morti non battezzati sono dannati. L'inaccettabile, scandalosa durezza di quest'incrollabile opzione teologica è denunciata dallo stesso correre a precisare la levità della loro mitissima pena. Affrontando il tema della visione beatifica, Agostino prosegue inesorabilmente la sua sistematica interpretazione delle realtà soprannaturali come realtà paradossali, secondo un procedere logico sempre più totalizzante e coerente, che concepisce l'ambito dello spirituale come ambito della gratuita potenza ricreatrice di Dio, capace di relativizzare qualsiasi limite ontologico creato. Agostino afferma il paradosso di un'ubiqua visione di Dio.al tempo stesso spirituale e corporea, eternizzante e temporalmentediveniente. La visione degli angeli sembrerebbe trascendere la stessa visione che Dio ha di Cristouomo, in quanto questi è personalmente legato alla temporalità del suo corpo localizzato ediveniente, mentre quelli, assolutamente spirituali, trascendono spazio e tempo. La civitasescatologica è infine la realizzazione collettiva dell'antropologia della grazia agostiniana, essendo lavolontà di ogni creatura del tutto liberata, redenta, governata dalla grazia irresistibile eassolutamente unificante in Dio. Il rapporto della teologia cristiana con la metafisica platonica,culmine della theologia naturalis , è quindi di assunzione e di superamento, di continuità e dicorrezione, appunto di retractatio, di Aufhebung. Il dono indebito dello Spiritus, non essendouniversale, presuppone un discernimento predestinato, che, del tutto paradossalmente, rivelal'Idipsum di Dio come
Essentia unitaria, trinitariamente identica ad un Verbum che è Voluntas in sestessa non unitaria.
Il De Spiritu littera e gli scritti antipelagiani: Gratia ultra doctrinam
Il De Spiritu littera è un trattato di ermeneutica teologica di portata rivoluzionaria, capace dimettere perfettamente a fuoco la nuova ermeneutica della grazia, elaborata, a partire da AdSimplicianum I,2 e delle Confessiones in alternativa al De doctrina christiana-a. Proprio inriferimento alla dimensione eminentemente ermeneutica del De Spiritu Littera, è opportuno rilevarecome esso rimandi ad una fondamentale topos tecnico retorico- giuridico: la questione del rapportotra intentio e scriptum della lex. Per Agostino, la littera è la relazione dialettica tra uomo e Dioinstaurata dalla lex. Quest’ultima strappa l’uomo dall’innocenza immediata, dargli la coscienza disé e del suo rapporto con l’Assoluto, rivelandogli appunto la ius-titia, le legge ontoteologica.
che impone la subordinazione morale al sommo Bene, all'Essere supremo, al retto ordine, nel quale ogni creatura è già ontologicamente inserita. Se la lex è la cognitio dell'alienazione che separa l'uomo da Dio, la littera è l'esito del tentativo che la voluntas dell'uomo compie per implere autonomamente la lex: l'uomo cerca di superare la scissione ontologica e morale in cui è gettato, di riconciliarsi con la perfezione assoluta che la cognitio divinatatis gli svela. Il giudeo può constatare l'impraticabilità della lex, la necessità della sua praevaricatio, riconoscendo la perfezione divina come assolutamente separata, alienata rispetto alla propria voluntas. Altrimenti il giudeo può pretendere di implere il comandamento, di far coincidere autonomamente la propria voluntas con il dovere assoluto, di produrre opere giuste, di riconciliarsi con Dio. La rivoluzionaria novità delDeSpiritu Littera nella storia del pensiero occidentale sta nel suo sospettare la metafisica, fattadipendere da un’intentio idolatrica, reificante, operante all’interno di quello che sembrerebbe essereun retto desiderio del divino. L’ultima incarnazione della littera occidens è il pelagianesimo, cheagli occhi di Agostino presenta una teologia ed un’antropologia sostanzialmente identiche a quelledel giudaismo e del platonismo. La “naturalizzazione” pelagiana della rivelazione è spinta sino allariduzione della stessa redenzione di Cristo a mera doctrina christiana, Agostino notapolemicamente come, per i pelagiani, non sia affatto necessaria la mediazione del sacrificio diCristo per implere la lex giustificarsi e riconciliarsi con Dio: Cristo non può agire interiormente allalibertà dell’individuo, in sé integra e autonoma; dunque si può concludere che egli è superfluo.Cristo non ècosì un Salvator, ma un magister doctrinae, un doctor, che aiuta a riscoprire il desiderio di santità che l'uomo aveva intiepidito, offuscato ma non del tutto perduto. Pelagio specifica come grazia di Dio anche la remissione dei peccati, ma limitatamente a quelli passati, sì che questa grazia rimetta l'uomo al pieno esercizio della sua libertà, alla responsabilità delle sue scelte coscienti, pienamente volute. Come già in De Spiritu et littera, anche questo rapido excursus tra le opere antipelagiane successive ha dimostrato come la gratia di Dio sia da Pelagio sostanzialmente ridotta a rivelazione della doctrina del retto vivere, della lex; non vi è quindi differenza qualitativa, ma soltanto grado maggiore di evidenza, tra la rivelazione della natura, quella della lex e quella della gratia cristiana, sì che questi tre.termini possono essere sostanzialmente identificati. Per Agostino, al contrario, la cognitio metafisica della natura rivela un ordine ontologico che, in realtà, è sconvolto da un disordine, che contraddice enigmaticamente, annientandolo, l'essere derivato.
Molto ambiguamente la natura decaduta universale è un bene, creato da Dio, che il peccato creaturale contraddice e consuma universalmente: è la scandalosa, paradossale realtà di una perversione, di un annullamento. La grazia è l'unico atto ontologicamente redentivo; la natura è, quindi, un bene corrotto che dev'essere ricreato, riconvertito all'Essere, al Vero, al Bene; ma la non universalità dell'azione ontologicamente redentiva della grazia. Per i pelagiani, invece, la relatività del peccato adamitico deriva dalla relatività della piaga che attraversa la natura umana: il nulla è addomesticato in limite contingente, in
imperfezione naturale. Il nulla non è, per i pelagiani, l'enigmatica presenza del disordine nell'ordine divino, ma la cifra della finitezza umana, l'imperfezione che la Provvidenza di Dio supererà, premiando l'impegno morale dell'uomo. La libertà dell'uomo decaduto è in sé e per sé, assoluta rispetto a qualunque agire divino, il quale è, tutt'al più, concausa secondaria del suo agire: per l'intentio lapsa, la rivelazione personale dell'Altro è soltanto contingente, essendo l'Altro già naturalmente inscritto nella stessa struttura ontologica dell'io, come perfezione necessaria della natura. Nella relazione intrinseca dello Spiritus, la dialettica tra uomo e Dio si costituisce realmente come reciproco riconoscimento e desiderio dell'Altro, come identificazione dei due termini nella vita dell'amore, che li mantiene come altri: il sé passa nell'Altro,
Perché l'Altro passa nel sé. Il cor carneum è una dimensione dialettica, in quanto l'interiorità dell'uomo non è identità, ma relazione ad Altro. La iustitia è l'essere fuori di sé dell'uomo, divenuto altro nell'amore.