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LSD
la vicenda di due spietati assassini e della copertura mediatica che viene loro data. Due giorni
dopo i due fidanzati hanno cercato di emulare alcune scene del film. Infatti, salirono su un’auto
armati di una pistola calibro 38 e uccisero con due colpi di pistola un uomo e ne ferirono un
altro che rimase parzialmente paralizzato. Quest’ultimo intentò una causa contro Stone e la
casa di produzione cinematografica.
Lo stesso film è stato accusato di aver ispirato altri atti di violenza, come il massacro della
Columbine High School in Colorado avvenuto nel 1999, quando due studenti della scuola
entrarono nell’edificio e uccisero dodici loro compagni e un insegnante, ne ferirono molti altri e
infine si suicidarono.
Considerazioni simili in materia di imitazione dei comportamenti aggressivi e violenti valgono
anche per i videogiochi.
Nel 2011 un giovane neonazista norvegese dopo aver fatto saltare in aria un’autobomba nel
centro di Oslo, ha sterminato a colpi di arma da fuoco decine e decine di giovanissimi ragazzi
che erano in campeggio. È emerso che il giovane, oltre ad essere un fanatico conservatore e
razzista, era appassionato del videogioco Call of Duty, in una scena del quale degli uomini
entrano in un aeroporto sparando all’impazzata su tutte le persone che incontrano.
Il videogioco Grand Theft Auto ha scatenato un’ondata di proteste negli Stati Uniti, al punto di
vietare il commercio ai minori di 18 anni. Il videogioco consiste nella simulazione della vita
criminale di una città. Il protagonista di ogni episodio è proprio un criminale che, per
accumulare punteggio, deve scontrarsi con le gang rivali e cercare di realizzare le missioni che
gli vengono assegnate dalla banda di appartenenza. Esso coinvolge il giocatore in
atteggiamenti e crimini a sfondo razziale ed è, inoltre, caratterizzato da una spropositata
esaltazione della violenza.
L’aggressività umana sarebbe di natura sociale e culturale e sarebbe controllabile grazie alla
cultura e agli apprendimenti.
Nella specie umana l’aggressività dipenderebbe da diverse componenti: esperienze e
apprendimenti anche di tipo imitativo che si verificano a partire dall’infanzia e che sono legati
alle modalità educative e alle concezioni del mondo veicolate sia dalle diverse culture, sia dalle
migliaia di scene di violenza viste in televisione o al cinema fin dall’infanzia, che creano
nell’individuo una certa immagine della realtà; frustrazioni, delusioni, esperienze e situazioni
stressanti, esigenza di difesa.
Un’azione preventiva efficace dovrebbe puntare sull’educazione delle nuove generazioni alla
nonviolenza, all’altruismo, alla solidarietà e alla trasmissione di modelli ispirati a questi valori.
Questa concezione si scontra con quella di quanti sostengono che i comportamenti aggressivi
hanno radici biologiche o innate. Questa interpretazione è stata sostenuta soprattutto da
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Wilson e da altri biologi, che hanno cercato di spiegare i comportamenti umani alla luce della
storia evolutiva, ritenendo che essi siano orientati da una matrice istintiva.
5. L’IMITAZIONE TRA NATURA E CULTURA
Dawkins elabora la teoria della ‘memetica’. L’autore postulava l’esistenza di elementi di
cultura non genetici da lui definiti ‘memi’, che si trasmetterebbero per imitazione del
comportamento di un individuo da parte di altri individui e sottostarebbero, come i geni, a una
forma di selezione.
Un meme può essere un concetto, una teoria scientifica, un rito religioso, un’ideologia,
un’informazione, un atteggiamento, una canzone. Che le idee trasmesse dai memi siano vere o
false, giuste o sbagliate, non ha alcuna importanza; importanti, per la memetica, sono le
capacità di diffusione e di riproduzione dei memi in quanto tali.
La cultura sarebbe così il prodotto di una competizione tra memi: essi agirebbero in vista del
proprio vantaggio evolutivo e tra loro sopravviverebbero e si riprodurrebbero i più adatti, il
tutto all’insaputa degli esseri umani. I memi si trasmetterebbero da cervello a cervello,
replicandosi esattamente come i geni nel corso della riproduzione. La replicazione avverrebbe
per imitazione.
L’evoluzione culturale umana avverrebbe autonomamente da quella biologica e molto più
rapidamente di essa e, a volte, i replicatori culturali si troverebbero addirittura in contrasto con
i geni.
La mancanza di risultati sperimentali solidi ha portato alcuni studiosi a dichiarare il fallimento
di quest’area disciplinare.
Secondo la ‘sociobiologia’, gli individui sarebbero altruisti non tanto in quanto spinti da principi
etici, da empatia o da legami affettivi, ma in quanto pronti a sacrificarsi a favore di individui
con cui sono apparentati o con cui condividono dei geni. L’altruismo sarebbe un
comportamento che i geni avrebbero favorito a loro stesso vantaggio.
Molti, dissociandosi da Wilson, sono convinti che, sia pure ad un livello astratto, la logica
evolutiva conservi la sua validità nello spiegare per analogia i fenomeni sociali e culturali. Tra
questi un posto centrale è occupato dai sostenitori della ‘teoria della coevoluzione gene-
cultura’, centrata sulle relazioni tra evoluzione genetica ed evoluzione culturale.
I due tipi di evoluzione, pur essendo indipendenti, influenzano entrambi l’evoluzione umana.
Cavalli-Sforza sostiene che i geni determinano la cultura solo nel senso che controllano gli
organi che la rendono possibile. Ma la cultura rimane separata e indipendente dai geni. Lo
stretto rapporto che si è venuto a creare tra evoluzione biologica ed evoluzione culturale è tale
che la seconda sta diventando un fattore che determina il decorso della prima.
Durham rifiuta da un lato gli approcci sociobiologici che vedono nei fenomeni culturali il
risultato della selezione naturale, e dall’altro lato le teorie antropologiche che escludono i
vincoli biologici dalla formazione dei fenomeni culturali. Ritiene che l’evoluzione biologica e
l’evoluzione culturale interagiscano tra loro e che la cultura sia adattiva in senso biologico, in
quanto sarebbe il risultato di un processo di selezione culturale guidato dal processo della
selezione naturale.
Secondo Boyd e Richerson la selezione naturale avrebbe favorito l’emergere di particolari
disposizioni psicologiche che hanno reso possibile l’affiorare della cultura, ovvero un
adattamento che ha permesso all’uomo di adeguarsi a molti ambienti diversi. Secondo i due
studiosi la cultura sarebbe frutto della selezione naturale, ma allo stesso tempo essa
costituirebbe un nuovo sistema evolutivo, che può a sua volta adattarsi a nuove condizioni
ambientali.
Introducono, inoltre, il concetto di ‘trasmissione conformista’, ovvero un processo che si attua
tramite l’imitazione delle credenze condivise dalla maggioranza degli individui quando ci sono
più credenze in competizione tra loro. La trasmissione conformista sarebbe il meccanismo
tramite il quale le persone apprendono il patrimonio culturale della società in cui vivono.
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Sperber ritiene che l’evoluzione culturale obbedisca a una logica di diffusione che ricorda
quella delle epidemie, in quanto descrive e spiega la distribuzione di alcune proprietà
nell’ambito di una popolazione.
Ritiene che le idee e le rappresentazioni si diffondano da un cervello all’altro in base a una
sorta di contagio. Le idee possono essere trasmesse e, nella trasmissione da una persona
all’altra, si possono anche diffondere. Si propagano così efficacemente che, in versioni
differenti, possono finire per invadere stabilmente intere popolazioni.
6. COME LA PRESSIONE SOCIALE PUÒ INFLUIRE SUL DESIDERIO DI ESSERE
UGUALI AGLI ALTRI
Asch analizzò il fenomeno del conformismo sociale, ossia la tendenza umana a imitare gli altri
quando si è in presenza di una maggioranza di individui che condivide la stessa credenza o che
mette in atto lo stesso comportamento.
Riunì un certo numero di studenti, dicendo loro che avrebbero partecipato ad un test sulla
percezione visiva. Tutti gli studenti, tranne uno, erano complici di Asch ed erano a conoscenza
delle vere finalità dell’esperimento, ossia testare la pressione al conformismo che un gruppo
unanime può esercitare su un singolo isolato. Essi dovevano confrontare la lunghezza di alcune
linee e individuare quella della stessa lunghezza della principale. Ognuno forniva a turno la
propria risposta, ma i complici di Asch rispondevano prima dell’unico partecipante ignaro delle
vere finalità dell’esperimento. All’inizio i complici rispondevano correttamente, in seguito
iniziarono a rispondere erratamente, lo studente ignaro si conformò.
I risultati di Asch sembrerebbero fornire solidi argomenti a sostegno della tesi secondo cui la
tendenza umana al conformismo e all’imitazione degli altri dipenderebbe in gran parte dal
contesto sociale in cui di volta in volta ci si trova.
La pressione sociale all’uniformizzazione degli individui sembra agire indipendentemente dalla
validità, dalla bontà o dalla correttezza delle credenze condivise e dai comportamenti messi in
atto, proprio come se i singoli individui interessati dal fenomeno imitativo in questione non
fossero coscienti o fossero passivi di fronte ad esso.
Alla fine del secolo Tarde parlava di un ‘principio di imitazione’, secondo cui nella società
XIX
esisterebbero delle correnti di imitazione in grado di agire sugli individui a loro insaputa e
renderli simili a sonnambuli. Immaginava che l’imitazione annullasse l’autonomia dell’azione
individuale in quanto riteneva che la società altro non fosse se non un insieme di soggetti
obbligati a imitare e copiare gli altri, e che da ciò scaturissero forme diffuse di uniformità quali i
costumi e le mode.
Una simile visione è stata sostenuta da Le Bon, che in ‘Psicologia delle folle’ spiega come la
caratteristica principale di una folla fosse quella di ridurre e cancellare la coscienza degli
individui facendoli regredire a esseri primitivi, istintivi e irrazionali, facilmente manipolabili e
trasformabili in prede passive di meccanismi come imitazione, emotività e suggestionabilità.
Il fulcro del pensiero di Veblen è riconducibile ai concetti di ‘consumo ostentativo’ e di
‘emulazione’. Si interessò ai comportamenti imitativi nell’ambito della società dei consumi
dell’inizio del secolo partendo dal presupposto che gli individui non consumino per
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soddisfare dei bisogni individuali o, meglio, che una volta soddisfatti i bisogni essenziali, essi
cerchino di soddisfare i bisogni spirituali e sociali. La finalità principali del consumo sarebbero
l’ostent