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C
Questa riduzione degli scambi porta ad una riduzione del surplus sociale, definito come
somma degli extra-profitti e del surplus del consumatore.
Il sistema monopolista danneggia i consumatori perché riduce il loro surplus e avvantaggia
l’impresa perché genera extra-profitti.
Fino ad ora abbiamo analizzato situazioni in cui le funzioni di costo medio e marginale
erano costanti, ovvero situazioni in cui il monopolio era dovuto a interventi pubblici.
Analizziamo ora il monopolio naturale, ovvero una situazione in cui i rendimenti di scala
sono crescenti e le funzioni di costo medio e marginale sono decrescenti.
La rappresentazione grafica del monopolio naturale è la seguente:
* *
Dove la quantità ottimale da produrre per il monopolista è Y ed il prezzo ottimale è p .
Come si può notare non esistono a livello grafico differenze rilevanti tra il monopolio
naturale con rendimenti di scala crescenti e il monopolio normale con rendimenti costanti.
Dal punto di vista del benessere dei consumatori però le implicazioni sono differenti.
Con rendimenti crescenti, se il sistema fosse concorrenziale la produzione del bene Y
sarebbe parcellizzata tra un numero molto elevato di imprese di piccola dimensione. In una
economia di scala tanto più numerose e piccole sono le imprese, quanto più i costi e quindi i
prezzi del prodotto sono elevati. Per questa ragione non esiste nessuna garanzia che il
prezzo di equilibrio di un mercato concorrenziale in un settore caratterizzato da rendimenti
fissato da un’unica impresa
crescenti di scala sarà più basso del prezzo che sarebbe
monopolistica. Per questa ragione un eventuale intervento pubblico in questi settori a
rendimenti crescenti dovrebbe prendere altre forme che non quella di cercare di rendere il
settore concorrenziale.
Come abbiamo detto il mercato monopolistico ha conseguenze poco desiderabili
socialmente. Come può intervenire lo Stato per impedire che il monopolio procuri effetti
nefasti sul sistema economico?
Nel caso del monopolio naturale, la via intrapresa dai governi fino agli anni ’70, era quella
della nazionalizzazione, cioè i settori caratterizzati da rendimenti di scala crescenti erano
gestiti non più da imprenditori privati, ma direttamente dallo Stato.
A differenza delle imprese private, che hanno l’obiettivo di massimizzare i profitti, lo Stato
ha l’obiettivo di massimizzare la produzione, quindi di massimizzare le vendite, sotto
vincolo di profitti non negativi, quindi con π = 0. Per cui lo Stato fissa un livello di
produzione e vendita del bene o servizio tale che p(Y) = AC(Y).
nel caso di gestione privata dell’impresa, che massimizza i profitti ponendo MR =
* *
MC, si ottengono p e Y ;
nel caso dell’impresa pubblica, che massimizza le vendite ponendo p = AC, si
S S
ottengono p e Y .
È evidente che la gestione pubblica porta necessariamente ad un prezzo più basso e ad una
quantità scambiata più elevata. Fino agli anni ’70 fu la strada giusta, ma poi gran parte delle
imprese pubbliche operanti nei paesi industrializzati sono state privatizzate.
Questo accadde per il fenomeno noto come “inefficienza della gestione pubblica delle
o “inefficienza
imprese” X”, ovvero per il fatto che le imprese pubbliche a causa del
“lassismo organizzativo” e di altri fattori, sono generalmente meno efficienti di quelle
private e questa inefficienza provoca uno spostamento verso l’alto delle curve di costo
medio e marginale provocando un aumento dei costi unitari.
Come si vede in figura:
L’inefficienza provoca un aumento della curva di costo medio (ma anche di costo
marginale) verso l’alto. La curva passa da AC a AC . Il costo dell’impresa pubblica p
X X però
sarebbe ancora più basso di quello dell’impresa privata *
p . Ma non esistono ragione per cui
portare l’impresa pubblica ad
il risultato sia questo, infatti una forte inefficienza potrebbe
, e a quel punto l’impresa dovrebbe uscire dal mercato, ma se il
X
avere una nuova curva AC1
bene deve essere necessariamente prodotto allora l’impresa opererebbe in perdita e le
Per questa ragione si è preferito “privatizzare”
perdite dovrebbero essere coperte dallo Stato.
le imprese.
Per concludere: sarebbe opportuno che i settori con rendimenti di scala crescenti fossero
gestiti dallo Stato, ma se lo Stato è troppo inefficiente può essere conveniente tornare al
monopolio privato.
Ovviamente lo Stato può intervenire per regolare il monopolio con altre modalità:
può lasciare l’impresa monopolista in mano ai privati ma fissare dei prezzi massimi;
può obbligare l’impresa monopolistica a produrre una certa quantità del bene;
può costringere un’impresa monopolistica a dividersi in diverse imprese, con la
speranza che poi queste si facciano concorrenza tra loro.
Ci sono casi invece in cui il monopolio non trova la causa della sua esistenza in rendimenti
piuttosto proprio nell’intervento pubblico. Questo accade perché si
di scala crescenti, ma
ritiene che i “danni” alla collettività causati dal monopolio siano più che compensati dai
benefici che la collettività ottiene.
Nel caso di monopolio naturale il mercato lasciato libero a sé stesso porta però ad un esito
inefficiente, nel senso che la produzione dell’impresa monopolista è più bassa di quella
ottimale da un punto di vista dell’intera società e quindi il surplus sociale è più basso. Il
monopolio naturale è una delle cause del fallimento di mercato.
La discriminazione di prezzo
Per discriminazione di prezzo si intende una situazione in cui non vale più l’ipotesi che lo
stesso bene sia acquistato da tutti i consumatori allo stesso prezzo, ma che il prezzo sia
differenziato tra categorie di consumatori.
Se l’impresa fosse in grado di far pagare prezzi differenziati ai propri clienti, potrebbe
fissare prezzi più elevati per i clienti disposti a pagare di più e prezzi più bassi per i clienti
disposti a pagare di meno. La figura seguente riporta un esempio grafico:
L’equilibrio del monopolista è tale per cui la sua scelta ottimale ricadrà su Y * *
e p , ottenendo
profitti pari a π = (p , cioè l’area in grigio chiaro.
* *
- AC)Y Supponiamo ora che il
monopolista riesca a vendere al prezzo p’ il suo bene ad una parte dei consumatori, cioè
quelli disposti a pagare per il bene una somma pari o superiore a p’. In questo caso
venderebbe una quantità Y’ al prezzo p’. Ovviamente i suoi profitti sarebbero più alto e
corrisponderebbero alla parte in grigio scuro più la parte in grigio chiaro.
Il monopolista però dovrebbe essere in grado di riconoscere quali consumatori sono disposti
a pagare p’, altrimenti tutti acquisterebbero al prezzo p *
.
Il monopolista otterrebbe profitti massimi se riuscisse a vendere il bene ad ogni
consumatore al prezzo massimo che il consumatore è disposto a pagare. Questo prezzo
massimo definito prezzo di riserva.
Supponiamo che il monopolista riesca a differenziare perfettamente i prezzi tra i vari
consumatori del bene, cioè che riesca a conoscere il prezzo di riserva di ognuno dei clienti.
In questo caso:
venderebbe al primo cliente, quello più “ricco” (con il prezzo di riserva più alto) al
prezzo p ;
1
venderebbe al secondo cliente al prezzo p ;
2
e così via;
continuerebbe a vendere il bene fino a quando trova consumatori disposti a pagare un
prezzo superiore e al limite uguale al costo marginale;
*
pertanto produrre una quantità Y , che si noti è quella che sarebbe prodotta in
concorrenza perfetta sul lungo periodo.
Riuscirebbe cioè ad ottenere un profitto pari all’area in grigio, dove il surplus del
consumatore è pari a zero, perché ognuno ha pagato la somma massimo che è disposto a
pagare per il bene. Ciononostante, il surplus sociale è pari a quello della concorrenza
perfetta con la differenza che in concorrenza perfetta tutto il surplus sociale è appannaggio
dei consumatori e i profitti sono pari a zero, mentre in monopolio con discriminazione
di prezzo il surplus sociale è il profitto dell’impresa monopolista e il surplus dei
perfetta
consumatori è pari a zero.
Ma come abbiamo visto per poter attuare questo l’impresa deve conoscere il prezzo di
riserva di ogni consumatore e questo di solito non è possibile.
Esistono però situazioni in cui un bene è venduto a prezzi diversi per categorie differenti di
compratori. Ad esempio beni sono venduti a prezzi diversi a famiglie, imprese, studenti,
pensionati ecc. cioè il bene è venduto a prezzi diversi a seconda delle caratteristiche
personali di colui che compra il bene. Questa politica è indirizzata al raggiungimento della
massimizzazione del profitto.
Consideriamo due diverse categorie di acquirenti, gli studenti con una domanda più elastica
al prezzo e gli “altri” con una domanda più rigida al prezzo:
Un dato aumento del prezzo farà ridurre di molto la quantità domandata da parte degli
studenti e di poco la quantità domandata da parte di “altri”.
Quindi in generale, i clienti caratterizzati da una funzione di domanda più rigida saranno
anche quelli che pagheranno un prezzo di vendita più alto per il bene o servizio venduto
dall’impresa monopolistica.
Per poter applicare la discriminazione in un mercato quindi occorre che:
le differenti tipologie di clienti siano riconoscibili;
che non esista un mercato “secondario” dove poter rivendere i prodotti.
Specialmente per la fornitura di servizi però, è sempre più frequente che le imprese offrano
contratti dove il consumatore paga un fisso e può poi utilizzare il servizio per tutto il tempo
che vuole. Questo strumento, tipico della discriminazione di prezzo in monopolio, è
chiamato tariffa fissa.
La tariffa fissa è utilizzata dalle imprese del settore per ottenere profitti più elevati che non
la tariffa a tempo. Infatti, attraverso lo strumento della tariffa fissa le imprese cercano di
estrarre tutto il surplus del consumatore, semplicemente perché fanno pagare una tariffa che
tendenzialmente è pari all’importo del surplus.
Consideriamo infatti la figura:
Sarebbe del tutto razionale chiedere al consumatore di pagare una tariffa pari a tutto il
triangolo più scuro (nelle differenti tonalità) e un costo di utilizzo del servizio p