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NON CONCORRENZIALE
Certe azioni non competitive incidono sulla possibilità di creare vantaggio competitivo.
È sempre stata analizzata la dimensione concorrenziale del vantaggio competitivo
(Giochi win-lose a somma zero ) logica porteriana: uno vince e uno perde perché c’è
la presenza di conflitto di interessi tra gli attori.
Recentemente ci si è occupati di strategie messe in atti con altri competitors per
(Giochi win-win a somma fissa),
ottenere molti vantaggi cooperazione si stabilisce
prima quanto cooperare. giochi win-win a somma variabile.
Ray Norda coniò il termine cooperation (anni ’90)
Oggi sempre più importante:
Parziale convergenza di interessi
Visione olistica
Minore incertezza
Maggiore velocità nello sviluppo del produttore
Affermazione economie di scala, ma possibilità di spionaggio delle
conoscenze.
Relazioni di cooperazione:
Deboli:
1. mancanza di strutture formali, solo interessi comuni Assemblee
incrociate, associazioni di categoria e alleanze.
a) Presenza incrociata di amministratori negli organi di governo di due
imprese per ottenere risorse
Associazioni di categoria:
b) tendono a definire gli standard di prodotti.
All’interno di un settore si formano società senza scopo di lucro e con
l’obiettivo di raccogliere e distribuire informazioni, costruendo una
piattaforma per azioni di lobbying verso le autorità governative e
l’opinione pubblica. 23
Alleanza:
c) rapporto di cooperazione su base contrattuale (non vi sono
legami azionari tra imprese. Si tratta di natura tecnologica e natura di
mercato (ex co-branding, Fruttolo Smarties: i due leader di mercato
associano i brand per creare valore congiuntamente).
2. Mezzo:
Network stabili:
a) accordi realizzati lungo la filiera per ottimizzare le
operazioni di acquisto o di vendita. In Italia vi sono i distretti industriali:
aggregazione sul base locale di piccole e medie imprese dalle produzioni
simili o complementari, creando vere e proprie aree di specializzazione (si
creano cooperazioni stabili nel tempo).
Forti:
3. i partecipanti sono legati da strutture formali
Consorzi:
a) creazioni di nuove società create attraverso l’apporto di
capitale da parte di una serie di imprese.
Joint Ventures:
b) due imprese realizzano una terza iniziativa apportandovi
capitali e risorse per scopi comuni.
È diverso dal consorzio perché ci sono solo due imprese e l’apporto è
rilevante.
Gli estremi sono il puro scambio in caso di relazioni deboli e
acquisizioni/fusioni in caso di relazioni forti.
Per identificare le strategie tra imprese, si confrontano le due catene del valore di
Porter confronto gli elementi compatibili.
Motivazioni della cooperazione :
1. Ottenimento delle risorse
Creare input fondamentali per la propria attività
Forma piu’ radicale: acquisto dell’impresa ma nella maggior parte dei casi
un’impresa è interessata solo ad alcune risorse del partner
2. Difesa di risorse e competenze
Possibilità di difendere elementi cruciali (es. grazie alla cooperazione le risorse
umane di ricerca e sviluppo restano attivi e sono incentivati a restare).
Le risorse coinvolte nella cooperazione sono proprietarie e basate sulla
concorrenza sono le piu’ difficili da difendere ed è difficile escludere il partner
dal loro utilizzo.
Entrambe le imprese apportano risorse proprietarie o basate sulle conoscenze
forme deboli
Risorse proprietarie: facilmente difendibili
Risorse conoscenza: rischioso investire molto capitale
Se un’impresa porta più risorse proprietarie e più conoscenza forme forti
Tutela della parte più vulnerabile mediante il capitale apportato.
Come ottenerle: fonti del vantaggio competitivo relazionale
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1. Investimento del partner nella relazione: maggiore durata e intensità nella
relazione maggiore possibilità di supportare il vantaggio competitivo.
2. Presenza di meccanismi di apprendimento: capacità di generare e
apprendere nuove conoscenze (“capacità di assorbimento”: dipende
dall’allineamento degli obiettivi delle controparti)
3. Complementarità nelle risorse: si riferisce al tema delle “sinergie” usando
risorse complementari in combinazione si rende il potenziale della
combinazione superiore alla somma delle singole risorse non combinate.
4. Presenza di meccanismi di governance delle relazioni: sia i contratti sia i
meccanismi self en forcing come la fiducia e la reputazione possono limitare
i comportamenti opportunistici tra le parti.
5. Cavaliere bianco: una terza parte (impresa amica) acquista una quota
significativa del target con l’impegno di non cederla all’aspirante acquirente.
6. Golden parachutes: clausole che garantiscono ingenti indennizzi in caso di
interruzione al manager del rapporto di lavoro.
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CAPITOLO 11 – RUOLO E SIGNIFICATO DELLA CORPORATE
GOVERNANCE
11.1 IL PROBLEMA DELL’AGENZIA
Fino all’inizio degli anni ’30 l’organizzazione combinava risorse e produceva beni e
servizi in vista di un obiettivo di profitto. Fin dalla metà dell’800 nei paesi più
sviluppati si era imposto il modello della S.p.A., in cui la proprietà era suddivisa fra più
investitori. Grazie a Berle e Means (1932) si riuscì a separare proprietà e controllo e il
rapporto tra proprietà e management veniva descritto come rapporto di agenzia
(Ross 1973); l’agente svolge un’attività nell’interesse di un altro soggetto, il principale
che ricorre all’agente quando è privo delle conoscenze che occorrono per svolgere una
certa attività in prima persona. Il rapporto di agenzia ha alcuni tratti tipici: 1. L’agente
gode di discrezionalità, ossia della facoltà di stabilire in modo indipendente come
perseguire l’interesse del principale; 2. L’agente gode di un’asimmetria informativa,
ossia ha più informazioni del principale circa il modo in cui sta eseguendo il proprio
compito e gli altri fatti rilevanti. Spesso, come nel rapporto fra medico e paziente, è
l’agente che informa il principale. In impresa il management ha il vantaggio
informativo; 3. La remunerazione dell’agente almeno in parte non dipende dal
risultato. Un rapporto simile conferma le preoccupazioni di Berle e Means riguardo a
un possibile tentativo del management di perseguire interessi diversi da quelli degli
azionisti. Infatti, in tale rapporto c’è il rischio che il manager usi la discrezionalità per
realizzare fini che non sono quelli loro assegnati e sfruttino l’asimmetria informativa.
Ciò, in realtà non è avverato perché comunque il management è sottoposto a un
sistema di controlli che può offrire agli azionisti una protezione forse non perfetta,
ma robusta. Con corporate governance si intende proprio il sistema di norme e di
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vincoli che disciplinano i rapporti fra azionisti e management, e assicurano che
l’impresa sia gestita nell’interesse dei primi.
11.2 IL RAPPORTO FRA MANAGEMENT E AZIONISTI
La S.p.A. prevede l’esistenza di almeno due organi giuridici: 1. L’assemblea degli
azionisti, cui spettano poteri di nominare e revocare i consiglieri di amministrazione,
di approvare il bilancio e di decidere su certe materie importanti (aumenti di capitale,
fusione, liquidazione del patrimonio ecc..) 2. Il consiglio di amministrazione (CdA),
che riunisce i consiglierI, i quali hanno il compito di stabilire una linea strategica e
sorvegliare sulla buona realizzazione; inoltre, esprime il management, nominando o
scegliendo un amministratore delegato o un comitato esecutivo. Dove la proprietà è
frammentata (Es. imprese quotate in Borsa), altri meccanismi devono entrare in gioco
per disciplinare il comportamento del manager.
11.3 IL RUOLO DEGLI ALTRI STAKEHOLDER
Gli interessi degli azionisti non sono gli unici che dipendono dalle decisioni del
manager. Si considerino innanzitutto i creditori, che prestano fondi all’impresa,
ricevendo in cambio una remunerazione e la promessa di restituzione a una data
scadenza. Anche i creditori si trovano in una situazione di agenzia rispetto al
management. La differenza tra creditori e azionisti è che se l’impresa effettua un
investimento molto rischioso, gli azionisti soffrono il rischio che in caso di esito
negativo gli utili possano scendere, ma sanno che nell’eventualità contraria
beneficeranno di utili più alti. I creditori, invece, non avranno nessun beneficio del
successo di questo investimento perché hanno un rendimento fisso (interesse). Anche
i dipendenti si trovano con il management in un rapporto di agenzia. Essi si
aspettano dall’impresa il soddisfacimento di certi bisogni (reddito adeguato alla
necessità della vita). Lo stesso discorso si potrebbe fare con i clienti dell’impresa, i
fornitori ecc..
11.4 IL MERCATO DI CAPITALI
Per comprendere i meccanismi e i sistemi di corporate governance occorre tenere
conto che i rapporti fra azionisti e management sono in parte mediati dal mercato di
capitali. Il mercato dei capitali è articolato in numerose parti (Perrini 1999): 1.
Mercati diretti, in cui le parti negoziano lo scambio finanziario in modo diretto e
individualizzato. Il tipico mercato diretto è quello creditizio, in cui le banche da una
parte raccolgono il risparmio dai risparmiatori e dall’altra prestano denaro a imprese o
individui; 2. Mercati aperti, in cui sono scambiati titoli o altre attività standardizzate;
lo scambio avviene secondo regole prestabilite e in modo impersonale. Essi si
mercati primari
suddividono in (sottoscrizione di titoli di nuova emissione) e
secondari (titoli già emessi sono scambiati fra gli operatori). Le S.p.A. hanno la
proprietà rappresentata da titoli (azioni) che hanno i tratti necessari per essere
scambiati sui mercati aperti; il possessore può liberalmente cedere le azioni; per
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questo motivo, le azioni hanno sempre alimentato un’importante mercato (mercato
azionario). Le S.p.A. possono emettere anche titoli di debito, le obbligazioni, che sono
scambiate nel mercato obbligazionario. Il tipo più importante di mercato secondario è
dato dalle Borse valori, che sono luoghi istituzionalizzati di scambio di titoli. Le Borse
svolgono diverse funzioni: a. Stabilire quali titoli sono ammessi alle contrattazioni; b.
Garantire l’accesso degli investitori alle transazioni, direttamente o per i