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Il finanziamento delle attività culturali viene visto nei legami tra sfera giuridico-politica, economica e
culturale. Per la loro frequente impossibilità a stare sul mercato, tenuto conto delle loro caratteristiche strutturali,
le attività culturali hanno bisogno di finanziamenti esterni, pubblici e privati.
Pier Luigi Belvisi - Il finanziamento delle attività culturali in un sistema sociale ‘tripartito’
1. Attività di mercato e non di mercato
Il settore culturale comprende una serie di attività tra loro alquanto eterogenee; tra queste, le arti visive (visual
arts), le arti dal vivo (performing arts), le fine arts, i beni culturali o heritage. Ad esse si aggiungono le attività che
fanno parte della cosiddetta ‘industria culturale’: editoria, stampa, cinema, Tv e, oggi, anche Internet e le
molteplici attività che hanno luogo sulla rete. In una visione più ampia, potremmo includere o, comunque,
considerare affini al settore culturale attività come quelle dell’istruzione e della ricerca, per arrivare fino alle
istituzioni religiose, o alle organizzazioni politiche. L’affinità è dovuta sia alla similarità delle tematiche trattate in
questi campi, con quelle del settore culturale, sia ad una vicinanza di collocazione nell’ambito del sistema
sociale. Si consideri, per esempio, la struttura istituzionale degli enti religiosi, prescindendo, ovviamente, dalla
peculiarità dell’attività da essi svolta. Essi presentano caratteristiche e problematiche analoghe a quelle degli enti
culturali, come vediamo più avanti trattando degli strumenti di finanziamento dell’8 ‰ e del 5 ‰. Un’importante
distinzione che possiamo fare tra le attività culturali, sia per quelle che rientrano nel settore culturale in senso
stretto che in senso lato, riguarda la loro capacità di stare autonomamente sul mercatocoprire i costi di
produzione con i ricavi derivanti dalla vendita dei beni e servizi prodotti, al pari di una comune impresa. Gran
parte delle attività culturali non è dotata di autonomia finanziaria, con i ricavi da vendita del servizio che coprono
solo una quota, spesso modesta, dei costi di produzione. La questione può essere espressa attraverso un
semplice confronto tra il prezzo (P) pagato dal consumatore per fruire di un determinato servizio culturale e il
costo medio (CMe) che l’ente culturale deve sostenere per fornire quel servizio a ciascun consumatore. Il
rapporto fra ricavi e costi fa sì che si determini una situazione del tipo P > CMe e in questo caso, abbiamo quella
che nella letteratura economica viene definita arte ‘commerciale’. Tale espressione, che si contrappone a quella
di arte ‘alta’ (attività che per le loro intrinseche caratteristiche non sono in grado di stare sul mercato, soffrendo
di uno squilibrio strutturale tra costi e ricavi), non esprime ovviamente un giudizio su tale attività, che l’analisi
economica non ha alcun titolo ad emettere, ma indica la capacità di questo tipo di attività di stare sul mercato.
L’artista di fama che si impegna in un tour può aspettarsi di operare come un’impresa e di avere, a conclusione
del tour, dei ricavi che consentono di coprire tutti i costi di produzione e di realizzare anche un significativo
margine di guadagno. È chiaro che mancano alcuni elementi tipici dell’impresa, come l’organizzazione interna, la
continuità dell’attività svolta. L’aspetto che intendiamo mettere in evidenza è che l’artista famoso che intraprende
un tour gode di un’autonomia finanziaria; egli non ha bisogno, all’inizio della sua iniziativa, di impegnarsi in
un’attività di fund raising che gli permetta di reperire sussidi e donazioni necessari per portare il bilancio in
pareggio. In ben altra situazione si trovano altre arti dal vivo come il teatro, sia per quanto riguarda la prosa, che
la lirica, il balletto o l’attività concertistica, i ricavi sono limitati rispetto ai costi. Uno dei principali limiti è la
capienza del teatro. Un grande teatro come quello dell’Opera di Roma ha una capienza massima teorica di
1.550 posti, una buona parte dei quali offre una possibilità di vedere alquanto ridotta, ed è quindi scarsamente
utilizzabile. Per raggiungere un equilibrio tra ricavi e costi, il limitato numero di posti possibili potrebbe essere
compensato da un innalzamento del prezzo del biglietto, che però può causare una flessione della domanda,
con effetti incerti sui ricavi totali (che dipendono dall’elasticità della domanda rispetto al prezzo). Inoltre, le
esigenze di equità e, più in generale, le politiche culturali oggi prevalenti portano in un direzione opposta rispetto
a tale strategia. Di fatto, le attività teatrali sono normalmente caratterizzate da una situazione in cui il prezzo
applicato allo spettatore è inferiore rispetto al costo medio sostenuto per fornirgli lo spettacolo: P < CME. Per
riuscire a coprire tutti i costi di gestione, e quindi arrivare almeno al pareggio di bilancio, tali attività devono poter
contare, in maniera permanente, sull’apporto di risorse finanziarie esterne, nella forma di sussidi, donazioni,
sponsorizzazioni, ecc.
La teoria economica individua una serie di motivi per cui il sistema sociale debba provvedere al loro
finanziamento. Ciò significa prendere parte del reddito dei cittadini, o una parte delle risorse disponibili, e
trasferirle, attraverso qualche meccanismo, agli enti che svolgono tali attività. La teoria economica ha individuato
una varietà di motivazioni per cui risulta auspicabile che si provveda a finanziare il settore culturale:
• fallimenti di mercato (nella forma di beni pubblici, esternalità, imperfezioni informative) che
caratterizzano molte attività culturali. La presenza di ‘fallimenti di mercato’ fa sì che la quantità prodotta
sia diversa da quella potenzialmente domandata; diventa necessario un intervento del soggetto pubblico,
almeno per esprimere la domanda, provvedendo al finanziamento della medesima, per riportare la
situazione in equilibrio. Nel caso di esternalità positive, l’intervento pubblico può assumere la forma di un
sussidio (in pratica, la tassazione pigouviana prevista per le esternalità negative con il segno cambiato).
• beni di merito, natura che viene generalmente riconosciuta alle attività culturali. La collettività ritiene che
sia auspicabile che gli individui consumino determinati beni e attività culturali, nella convinzione che essi
possano avere un effetto benefico sugli individui stessi. Beneficio di cui i consumatori possono non
essere pienamente consapevoli ex-ante e, talvolta, anche ex-post.
• teoria di Baumol. Riguardo alle attività teatrali, vale anche la motivazione al finanziamento costituita
dalla cosiddetta ‘malattia’ di Baumol. L’analisi di Baumol parte dal riconoscimento che nelle attività teatrali
la produttività non aumenta in seguito al progresso tecnologico, essendo una produzione a coefficienti
fissi. Invece, i salari crescono ugualmente, per imitazione rispetto a quello che avviene nel settore
manifatturiero grazie all’innovazione tecnologica e all’aumento di produttività che ne consegue.
L’asimmetria che si determina tra quantità prodotta e ricavi statici, da un lato, e costi crescenti dall’altro,
spinge le istituzioni teatrali verso una situazione di perdita e quella che Trimarchi chiama una «fragilità
finanziaria strutturale». La conclusione a cui arriva Baumol è che le istituzioni teatrali, lasciate a se stesse
vanno verso lo squilibrio finanziario e la successiva scomparsa, non a causa di cattiva amministrazione,
ma per le loro caratteristiche strutturali e le implicazioni che esse hanno.
• equità. La convinzione esistente riguardo agli effetti benefici che l’esposizione alla cultura può avere
sugli individui e sulla collettività nel suo complesso, fa sì che risulti controproducente che vi siano barriere
economiche alla fruizione di tali attività. Ciò è vero soprattutto per le persone a medio e basso reddito che
sono quelle che, probabilmente, tendono a consumare in minor misura le attività culturali, sia per la
spesa da sostenere che per le eventuali barriere informative (nella forma di scarsa abitudine e
dimestichezza a consumare beni e attività culturali, soprattutto di tipo alto).
• Le politiche culturali oggi prevalenti vanno nella direzione di ridurre e contenere, per quanto possibile, gli
ostacoli economici alla fruizione delle attività culturali, cercando di avvicinare al consumo culturale
soprattutto le fasce di popolazione che normalmente non ne fruiscono. Vanno in questa direzione
iniziative come le ‘notti bianche’ o le ‘settimane della cultura’, con la creazione di eventi e con la
possibilità di ingressi gratuiti. In un Paese come l’Italia, ma ovviamente anche in altri Paesi, un altro
importante argomento è quello della valorizzazione dei beni e delle attività culturali. Essi, oltre a generare
esternalità positive non appropriabili e, in alcuni casi, esternalità negative, producono anche esternalità
positive appropriabili. Un ristorante che si trova di fronte al Colosseo non vende soltanto i suoi servizi di
ristorazione, ma anche l’esperienza di fare un pranzo con vista su uno dei monumenti più famosi del
mondo. L’esistenza, la conservazione e lo sviluppo dei beni culturali, ma anche di iniziative ed eventi
culturali, costituiscono un input essenziale per tutta quella parte del settore turistico che svolgono
un’attività collegata al patrimonio culturale. Da questo punto di vista, il sostegno e il finanziamento delle
attività e dei beni culturali rappresenta un contributo allo sviluppo del settore turistico e, di conseguenza,
alla crescita del Paese.
Lo schema del sistema sociale tripartito, più volte ripreso nei suoi scritti da Padoa-Schioppa, può fornire utili
indicazioni sia riguardo alle motivazioni del finanziamento delle attività culturali che alle forme che esso può
assumere. Tale approccio individua nel sistema sociale 3 sfere di attività:
1. Giuridico-politicaha la funzione di regolare i rapporti tra gli individui, ossia di stabilire le norme e le regole
della convivenza sociale e di far sì che esse vengano applicate.
2. Economicacomprende tutto ciò che riguarda la produzione di beni e servizi.
3. Culturalesi occupa dello sviluppo e della manifestazione delle attitudini degli individui.
Sono al contempo autonome e interdipendenti. Per esempio, la sfera economica deve tener conto delle norme e
dei limiti giuridici che provengono dal settore giuridico-politico (come la normativa sul dir