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IL DIRITTO DI SCIOPERO E LE ALTRE FORME DI LOTTA
Non c’è una risposta univoca e definitiva circa la nozione e la disciplina del diritto di sciopero. È
una costatazione di fatto, dato che non esiste una giurisprudenza unanime.
Salvo qualche isolato dissenso, l’art.40 Cost. venne considerato subito immediatamente
precettivo. Il che volle dire riformulare e scomporre quel testo come se contenesse un duplice
disposto:
ꟷ Il diritto di sciopero è riconosciuto;
ꟷ Il diritto di sciopero deve essere esercitato nell’ambito delle leggi che lo regolano.
Secondo un giudizio tipizzato, il riconoscimento del diritto di sciopero troverebbe fondamento
nell’essere questo strumento idoneo a realizzare, già nel suo svolgimento, l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Si assume come punto di partenza quello che vede il diritto di sciopero come diritto soggettivo,
cioè come un potere attribuito ad un soggetto per il soddisfacimento di un interesse, suo o anche
suo.
Niente aggiunge a questo l’art. 28 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE.
Titolarità del diritto
Secondo un modello ormai tradizionale, il diritto di sciopero viene ricostruito come un diritto
individuale quanto al titolare, ma collettivo quanto all’esercizio. Questo vuol dire che un
abbandono del lavoro assurge ad esercizio del diritto di sciopero, solo se ed in quanto attuato da
un numero più o meno consistente di prestatori per un fine comune. Tanto che è la stessa legge
che, senza toccare la titolarità individuale, viene a riconoscere non solo come opportuna, ma
necessaria, una disciplina collettiva volta ad introdurre i limiti dell’esercizio di sciopero,
delineando una rete di regole sempre più fitte e restrittive sino a tutelare forme di mero disagio
degli utenti.
Per un determinato orientamento, tale diritto è ricollegabile all’art. 3, 2° comma Cost.,
qualificabile come un diritto di libertà, configurabile come un diritto a titolarità individuale e ad un
esercizio collettivo, ma stabilito questo, rimane da capire il suo esatto ambito.
Il carattere del rapporto, pubblico o privato che sia, è ritenuto irrilevante. Inoltre, anche il tipo di
rapporto, fonte in passato di qualche problema, è considerato privo di rilievo.
È senza dubbio titolare del diritto di sciopero pure l’apprendista, il lavoratore in prova, il lavoratore
a tempo determinato, quello a tempo parziale, il lavoratore interinale, il dirigente, nonché lo
stesso lavoratore a domicilio.
Il diritto di sciopero spetta al dipendente pubblico quanto a quello privato. Tanto che viene
introdotto un nuovo soggetto, l’addetto a funzioni o servizi pubblici essenziali, che può essere
pubblico o privato, dopo la c.d. privatizzazione del pubblico impiego.
Non è titolare di diritto di sciopero, però, né militare né poliziotto: il primo gode soltanto di un
mero meccanismo rappresentativo; il secondo si vede riconosciuto un peculiare sistema
sindacale, che, però, comprende un esplicito divieto di sciopero.
Più impegnativo, invece, risulta il discorso riguardo un vero e proprio diritto di sciopero di un
lavoro autonomo. È obbligatorio, qui, richiamare un processo espansivo a favore del lavoratore
c.d. para-subordinato. Un processo che riconosce lo stesso diritto anche ai medici convenzionati
con l’INAM. La Corte Costituzionale ha comunque fatto ricadere sotto la tutela dell’art. 40 anche la
chiusura dei rispettivi esercizi da parte di piccoli commercianti privi di lavoratori subordinati, per
protesta contro fatti o provvedimenti incidenti sulla loro attività economica. Vent’anni dopo, la
stessa Corte estende le regole della legge anche alle astensioni dall’attività giudiziaria degli
avvocati.
I modi attuativi
Se l’attenzione prioritaria è rimasta a lungo concentrata sugli scopi dello sciopero, essa si è poi
spostata sui modi attuativi.
Volendo semplificare, è bene scegliere un’impostazione “cronologica”, ricalcata sulla sequenza di
un’astensione dal lavoro tipica:
Fase preliminare:
costituita dalla definizione e presentazione della piattaforma, dalla richiesta e dall’eventuale
apertura di una trattativa, dalla deliberazione e proclamazione delle lotte. Non è, però, una fase
necessaria, né di fatto, né di diritto. Secondo l’opinione espressa dalla Corte Costituzionale, la
legge può ben introdurre modalità riguardanti, ad esempio, il momento deliberativo dello sciopero
e l’obbligo di preavviso al datore, ecc., ma una legge generale in tal senso non esiste tutt’oggi.
Non c’è, dunque, da rispettare sempre e comunque l’obbligo di dare e osservare un congruo
preavviso, in quanto vale solo se previsto direttamente o indirettamente.
Direttamente: in una specifica disposizione legislativa che lo contempli direttamente;
Indirettamente: come contenuto di un codice di autoregolamentazione, di un accordo collettivo, o
in forza di una specifica situazione che rende l’astensione dal lavoro improvvisa e non
preavvertita rischiosa e lesiva.
Sciopero in senso proprio che si diversifica in base a:
ꟷ Durata:
la distinzione classica passa fra lo
sciopero ad oltranza (progettato e proseguito fino al successo o al
- fallimento finale) e può durare per settimane o mesi.
sciopero a tempo programmato e condotto per un certo tempo fatto di
- giornate, mezze giornate, ore.
ꟷ Estensione:
esso può essere a portata generale oppure no.
Lo sciopero potenzialmente esteso all’intero universo del lavoro subordinato di un paese, di
un grande settore produttivo, può essere lo strumento più incisivo utilizzabile dal
movimento sindacale nel suo confronto col potere politico e col fronte confederale
patronale.
Meno incisivo, ma più connaturato dell’essenza stessa dell’esperienza sindacale è la figura
dello sciopero di lavoratori appartenenti ad una certa categoria industriale.
ꟷ Articolazione:
è la caratteristica attuale più significativa, per cui l’astensione collettiva viene
programmata in modo da non risolversi in una contemporanea e continua interruzione della
prestazione, ma articolarsi secondo una precisa combinazione spaziale e/o temporale.
“sciopero articolato”
L’ipotesi dello può essere:
A singhiozzo, cioè costituito da un susseguirsi di brevi interruzioni e riprese del
- lavoro da parte di tutti i lavoratori interessati;
A scacchiera, dato da un alternarsi di interruzioni di lavoro, volta per volta da
- parte di determinati lavoratori in determinati reparti, gruppi o profili professionali.
Lo sciopero articolato è ormai considerato legittimo, a patto che rispetti i limiti “esterni”,
ricollegabili all’esigenza di salvaguardare un altro diritto sovra-ordinato o pari-ordinato
rispetto a quello garantito dall’art. 40 Cost. Questo, però, deve essere valutato alla luce di
un ulteriore duplice aspetto:
1. Il primo è dato dal fatto che viene contestualmente ridisegnato l’ambito stesso dei
limiti “esterni” e viene incluso un limite coniato recentemente, come quello dettato
dalla necessità di tutelare l’impresa come “organizzazione istituzionale” (c.d.
produttività aziendale);
2. Il secondo è dato dal fatto che, nella sostanza, non viene rovesciato il preesistente
indirizzo riguardo il potere del datore di lavoro di non accettare e retribuire il lavoro
offerto negli intervalli di uno sciopero a singhiozzo, nei reparti volta a volta non
coinvolti da uno sciopero a scacchiera, nei tempi di riavvio dell’impianto di
lavorazioni a ciclo continuo o integrale interessate da uno sciopero.
A conti fatti, il recupero di un concetto legale di sciopero così largo da farlo coincidere con quello
comune, avviene secondo un certo processo. Se questo, da un lato, vuol dire un ovvio
ridimensionamento dei limiti interni, cioè il divieto di qualsiasi tipo di lotta che non si esprima con
un’astensione, semplice o articolata; dall’altro finisce per essere accompagnato da un contestuale
approfondimento dei limiti esterni. Tale approfondimento procede secondo un duplice passaggio:
1. Occorre accertare quale altro diritto costituzionalmente garantito sia sovra-ordinato o pari
al diritto di sciopero, tale da giustificarne un qualche limite;
2. C’è da verificare che tale limite sia ammissibile, assoluto o relativo.
L’esistenza di più diritti costituzionalmente protetti, prospetta una duplice questione: quali sono i
diritti sovra o pari-ordinati al diritto di sciopero, tanto da imporre limiti, e quali sono i limiti che si
possono imporre.
Tali diritti sono:
a) Secondo l’opinione unanime, i diritti inerenti alla vita e all’integrità fisio-psichica
dell’individuo, che non possono essere esposti a rischi o danni da eventuali abbandoni del
lavoro;
b) Secondo l’opinione maggioritaria, ma abbastanza contestata, i diritti relativi alla libertà del
singolo dipendente, non aderente ad uno sciopero, di raggiungere il posto di lavoro o
comunque di svolgere il lavoro, nonché alla libertà del singolo imprenditore, di fronte ad
uno sciopero, di disporre degli impianti e dei beni aziendali;
c) Secondo l’opinione della Corte Costituzionale “i diritti ed i poteri nei quali si esprime
direttamente o indirettamente la sovranità popolare;
d) Secondo l’opinione della Cassazione, l’impresa come organizzazione istituzionale e non
gestionale, cioè la produttività e non la produzione aziendale.
Nel legittimare qualsiasi astensione al lavoro, semplice o articolata, la Corte aggiungeva
anche la salvaguardia della stessa sopravvivenza dell’impresa.
Gli scopi
La normativa principale di cui agli artt. 502 e seguenti del codice penale, seppur assai ampia ed
articolata, ruota sostanzialmente intorno ad una distinzione di base tra divieto di sciopero
contrattuale e non contrattuale, a cui risulta riconducibile, oltre a quello a fine politico (art. 503),
anche quello di coazione della pubblica autorità (art. 504) e di solidarietà o di protesta (art. 505).
La Corte decide di intraprendere la via gradualista di una soppressione selettiva e parziale della
disciplina in parola, secondo una significativa evoluzione, per niente in sintonia con la crescita
economica, sociale, culturale, politica e sindacale del paese.
Secondo il dettato del 502, 2° comma, cod. pen., lo sciopero a fine contrattuale sarebbe quello
attuato allo scopo di premere sul datore di lavoro per ottenere un comportamento migliore
(offensivo) o evitarne uno peggiore (difensivo), rispetto a quello pattuito o applicato