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LA POSITIVIZZAZIONE DEL LIMITE DELL’INTERESSE NAZIONALE:

L’elencazione dei limiti che incontra la potestà legislativa concorrente delle Regioni dovrebbe considerarsi esaurita, ma

così non è. Il nuovo testo dell’art. 117, non contempla più il limite dell’interesse nazionale, puntando invece, a

positivizzarne il contenuto, al fine di rendere più esplicita e limitata la portata --> il vecchio limite si trova così trasfuso in

quelle disposizioni che riservano allo Stato alcune competenze esclusive. In realtà, tali competenze, mal si presentano

per rappresentare il principio di esclusività, in quanto finisco per integrarsi con le discipline dettate dalle leggi regionali

nei diversi settori di loro competenza, fungendo da limiti ulteriori a queste ultime.

LA CHIAMATA IN SUSSIDIARIETA’:

Nella stessa direzione si muove anche la sentenza n. 303/2003. Essa ha ad oggetto la legge obiettivo sulle grandi

infrastrutture impugnata da più regioni in quanto ritenuta lesiva dalla loro competenza residuale in materia di lavori

pubblici. Il disegno riformatore, sembra impostare il riparto della funzione legislativa rispetto a quelle delle funzioni

amministrative: il primo ispirato ad un principio di separazione, il secondo ispirato ad un principio più flessibile, quale

quello della sussidiarietà e dell’adeguatezza.

IL PRINCIPIO DI PREVALENZA:

L’applicazione del principio di sussidiarietà rappresenta uno strumento per dare flessibilità ad un modello di riparto delle

competenze normative tra Stato e Regioni, basato su distinti elenchi di materie. Allo stesso scopo, il principio di

prevalenza, viene utilizzato dalla Corte costituzionale. Ad esso, la Corte fa ricorso quando la disciplina sottoposta al

controllo di costituzionalità incide contemporaneamente su una pluralità di materie. In questo caso si tratta di stabilire se

il nucleo essenziale di tale disciplina appartenga ad una materia piuttosto che ad un’altra e quindi alla competenza dello

Stato o delle Regioni --> di qui, l’applicazione del principio di prevalenza. Principio già utilizzato dalla Corte quando un

certo ambito normativo non è qualificabile come materia, ma presenta aspetti diversi e suscettibili di essere ricondotti a

competenze legislative diverse, ora dello Stato, ora delle Regioni.

I LIMITI DELLA LEGGE REGIONALE RISPETTO ALLA POTESTA’ NORMATIVA DEGLI ENTI LOCALI:

I limiti sin qui descritti che incontra la legge regionale attengono ai suoi rapporti verso l’alto, ossia in relazione ad altre

fonti interne come la Costituzione o la legge dello Stato o a fonti interne od esterne all’ordinamento. In seguito alla

riforma del Titolo V, a tale elencazione va aggiunto anche un limite che opera verso il basso nei rapporti tra legge

regionale e fonti degli enti locali. Non a caso, ai sensi dell’art. 114. 1 Cost, i Comuni, le Province le città metropolitane,

sono enti autonomi con propri Statuti poteri e funzioni secondo principi fissati dalla Costituzione stessa: poteri che,

quanto alla potestà regolamentare, si specificano in quanto disposto dall’art. 117.6 Cost, il quale prevede che Comuni,

Province Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello

svolgimento delle funzioni a loro attribuite. Quest’ultima disposizione ha costituzionalizzato non solo un potere normativo

che già in passato gli enti locali esercitavano, ma sembrerebbe aver inteso disporre anche una sorta di riserva

regolamentare in ordine a determinati oggetti. Posto che le Regioni come lo Stato sono chiamati dall’art. 118 cOST. ad

attribuire funzioni agli enti locali secondo i principi di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, ne risulta che le leggi

regionali che provvedono a questo compito si trovano a confrontarsi con la riserva di competenza stabilita a favore dei

regolamenti degli enti locali. Nasce così il problema di dover stabilire fino a dove possano spingersi le leggi regionali

attributive di funzioni a fronte di questo nuovo limite e secondo quali criteri debbano regolarsi i rapporti tra le due fonti

normative. Un problema di difficile soluzione, risolto in una maniera poco chiara anche dalla legge 131/2003 che al punto

4.4 stabilisce che la disciplina dell’organizzazione, dello svolgimento, della gestione della funzioni dei Comuni, delle

Province e delle Città metropolitane è riservata alla potestà regolamentare dell’ente locale, nell’ambito della legislazione

dello Stato o della Regione, che ne assicura i requisiti minimi di uniformità. Nell’incertezza creata dal dato normativo, la

dottrina si è divisa tra coloro a favore nella ricostruzione dei rapporti tra regolamento dell’ente locale e la legge regionale

in termini di separazione e chi invece a puntato su una ricostruzione di quel rapporto in termini di mera preferenza per il

regolamento dell’ente con la conseguenza di lasciare uno spazio alla legge regionale in applicazione dei principi di

sussidiarietà ed adeguatezza. Al di la delle differenti adottate in dottrina, conviene richiamare a tal proposito le soluzioni

che si rintracciano in alcuni dei nuovi Statuti regionali. Ad esempio, nello Statuto della Toscana, l’art. 63.2 stabilisce che

la legge regionale, nei casi in cui risultino specifiche esigenze unitarie, può disciplinare l’organizzazione e lo svolgimento

delle funzioni conferite per assicurare requisiti essenziali di uniformità. La disposizione è stata impugnata dal Governo

per violazione del disposto del richiamato art. 117.6, oltre che all’art. 114 Cost, sulla base dell’assunto per cui in

presenza di esigenze unitarie, alla Regione si apre la strada del mantenimento di determinate funzioni amministrative in

capo all’amministrazione regionale e non quella per invadere la sfera di competenza normativa dell’ente locale.

Potestà legislativa residuale:

La disposizione fondamentale giacente alla potestà legislativa residuale è l’art. 117.4 Cost, posto che, anziché introdurre

un terzo elenco di materie, il legislatore di revisione costituzionale ha preferito alludere ad ogni altra materia non

espressamente riservata alla legislazione dello Stato. Una formulazione che intende riferirsi ai settori che residuano al di

là di quelli espressamente enumerati.

Le materie:

Cos’ concepita, questa potestà legislativa si presenta senza un oggetto determinato e non facilmente determinabile.

Questo elemento ha generato l’impressione che questa novità avesse più un significato formale, simbolico, ma di poca

portata pratica, anche con gli innumerevoli rapporti con materie e submaterie. Tuttavia, un tentativo di isolare alcuni

settori riconducibili alla potestà residuale si possono fare, quanto meno con riferimento a quelle materie già di

competenza concorrente delle Regioni ad oggi non più ricomprese nell’elenco di cui all’art. 117.3. Sul problema

dell’individuazione delle materie innominate è intervenuto il giudice delle leggi, il quale si è orientato verso

un’interpretazione diversa da quella offerta da alcuni commentatori a prima lettura. Il fatto che una materia non figuri nei

due elenchi di cui agli artt. 117.2 e 117.3 non consente, secondo la Corte, di ricondurla automaticamente a quelle di

competenza residuale: la Corte contesta l’idea secondo la quale, in assenza di una disciplina legislativa di certi fenomeni

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sociali, alle Regioni debbano riconoscersi poteri illimitati di legiferare. Così operando, la potestà residuale è stata

riconosciuta solo in ambiti interstiziali: tuttavia, di recente si è assistito ad un progressivo allargamento del novero delle

materie riconducibile alla potestà legislativa:

- materia dell’istruzione e formazione professionale: istruzione e formazione che possono essere impartite sia negli

istituti scolastici a ciò destinati sia in strutture che le singole Regioni possono approntare in relazione alle peculiarità

della realtà locale.

- artigianato: considerato come materia di competenza residuale, il che abilita le Regioni ad adottare misure di sviluppo

e sostegno del settore

- trasporto pubblico locale

- disciplina delle Comunità montane: riguarda la legislazione elettorale.

I limiti:

Le leggi regionali adottate nell’esercizio della potestà residuale incontrano solo i limiti che ogni legge regionale, senza

distinzione di tipologia, deve rispettare:

- limite costituzionale

- limite territoriale

- limite degli obblighi internazionali e comunitari

- competenze esclusive trasversali dello Stato

- chiamata in sussidiarietà

Questi due ultimi limiti inducono ad escludere che si possa parlare di una competenza esclusiva in senso stretto, bensì

di una potestà residuale che in determinate ipotesi può incontrare dei limiti anche in leggi dello Stato.

Potestà legislativa integrativa:

In virtù della Riforma del Titolo V, si è sostenuto che la potestà legislativa regionale facoltativa-integrativa doveva

considerarsi soppressa. Secondo questa opinione, la mancata previsione della disposizione contenuta nel testo

originario dell’art. 117, avrebbe dovuto portare a questa conclusione, tanto più che lo stesso art. 117 consente allo Stato,

di delegare alle Regioni la relativa potestà regolamentare. Questa tesi non pare del tutto convincente. Non vi sono

ragioni per ritenere che lo Stato non possa realizzare tale coinvolgimento delle Regioni anche sul piano della

legislazione. Va però ricordato che il fatto che alcuni Statuti speciali prevedessero questo tipo di potestà legislativa

regionale, non a impedito di ritenere che essa potesse essere esercitata da tutte le Regioni ad autonomia differenziata.

Inoltre, in un sistema di riparto della funzione legislativa tra Stato e Regioni che in realtà presenta continue e forti

interconnessioni, appare più ragionevole ritenere che in alcuni casi il rapporto tra i due interventi legislativi possa essere

ricostruito in termini analoghi a quello proprio della potestà legislativa integrativa. Una conferma viene anche fornita dalla

giurisprudenza costituzionale. In materia di tutela dei dati personali ad esempio, la Corte, pur riconoscendo la materia

dell’ordinamento civile, riconosce anche un ruolo normativo per i soggetti pubblici chiamati a trattare dati personali.

IL CONTROLLO:

Il controllo sulle leggi regionali:

Ai sensi dell’art. 127.1 Cost. il controllo sul rispetto dei limiti imposti alla legge regionale o provinciale è esercitato dallo

Stato attraverso lo strumento dell’impugnazione in via diretta alla Corte costituzionale della legge regionale che ecceda

la sfera di competenza della Regione. L’impugnazione può avvenire entro il termine di 60 giorni dalla pubblicazione della

legge stessa. Si tr

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze giuridiche IUS/10 Diritto amministrativo

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher vanespe di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto regionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Crivelli Elisabetta.