I limiti che la legge statutaria incontra nel disciplinare gli
oggetti a essa affidati sono dati dall’armonia con la
Costituzione, dai principi dell’ordinamento giuridico della
Repubblica e dalle specifiche disposizioni relative alla
forma di governo.
Le norme di attuazione
2. La norma di attuazione, denominata anche decreto
legislativo di attuazione degli statuti speciali è un decreto
legislativo che trasferisce funzioni amministrative, uffici e
personale dallo Stato alla regione speciale, serve a
specificare, a dare attuazione appunto, a qualunque altra
disposizione dello statuto e in particolare a concretizzare
le competenze legislative statutarie. Le norme di
attuazione sono fonti atipiche che, pur avendo la forma
del decreto legislativo adottato dal governo e quindi
appartenendo al tipo decreto legislativo, divergono
rispetto a esso sia per procedimento di formazione sia per
forza e per posizione occupata nel sistema delle fonti. La
fonte sulla produzione delle norme di attuazione è lo
statuto speciale: ciò significa che ciascuno statuto speciale
detta il procedimento di formazione delle norme di
attuazione. In primo luogo, per emanare una norma di
attuazione non è necessaria una legge delega, sussistendo
una delega permanente contenuta una tantum nello
statuto. Le norme di attuazione, pertanto, non sono
soggette ai tre limiti di oggetto, tempo, principi e criteri
direttivi previsti dall’art. 76. In secondo luogo, per
approvare una norma di attuazione serve che la proposta
di decreto legislativo sia redatta da una commissione
paritetica Stato-Regioni. Tale organo è composto in modo
paritario da rappresentanti della regione e dello Stato che
normalmente vengono rinnovati a ogni legislatura. Le
commissioni paritetiche siciliana e sarda hanno due
componenti statali e due regionali; quelle della Valle
d’Aosta e del Friuli-Venezia Giulia hanno tre componenti
statali e tre regionali; la commissione paritetica del
Trentino-Alto Adige ha sei componenti statali e sei
regionali. Esse possono essere qualificate quali fonti
subcostituzionali, dotata di una forza superiore rispetto
alle normali fonti primarie, capaci anche di definire
competenze praeter statutum cioè al di là oltre lo statuto.
Nate principalmente per operare il trasferimento delle
funzioni amministrative le norme di attuazione sono
divenute nel tempo elementi centrali della specialità tanto
che i poteri reali di una regione speciale spesso dipendono
proprio dall’uso di tale strumento. Questo perché
attraverso le norme di attuazione oltre che operare
trasferimenti di funzioni amministrative si possono
specificare e integrare i contenuti, spesso generici, delle
materie legislative statutarie.
Le potestà legislative e amministrative nel sistema degli
3. statuti
Le leggi delle regioni speciali, analogamente a quelle delle
regioni ordinarie, sono approvate di rispettivi consigli
regionali e sono fonti primarie. La potestà legislativa e
riconosciuta a tutte le regioni speciali, nonché alle due
province autonome di Trento e di Bolzano, che possono
emanare leggi provinciali. Gli statuti contengono le liste di
materie nelle quali le regioni speciali e le due province di
Trento e di Bolzano possono legiferare. Queste liste sono
articolate in tre tipi di potestà legislativa che si
differenziano per i limiti che ciascuna incontra. La potestà
legislativa primaria, denominata in alcuni statuti anche
piena o esclusiva è quella esercitabile dalle regioni a
prescindere da una legge di principio o cornice statale.
Essa è soggetta ai seguenti limiti: i principi generali
dell’ordinamento giuridico della Repubblica; le norme
fondamentali di grande riforma economico-sociale; gli
obblighi internazionali dello Stato; l’interesse nazionale. I
principi generali dell’ordinamento della Repubblica sono
stati definiti dalla Corte costituzionale come quegli
orientamenti e quelle direttive di carattere generale e
fondamentale che si possono desumere dalla connessione
sistematica, dal coordinamento e dall’intima razionalità
delle norme che concorrono a formare, in un dato
momento storico, il tessuto dell’ordinamento vigente. Il
limite delle norme fondamentali di riforma
economico-sociale comporta che le leggi delle regioni
speciali non possano contrastare con quelle leggi nazionali
che intendono realizzare grandi processi riformatori. Il
limite degli obblighi internazionali dello Stato si riferisce
alle norme internazionali pattizie e trova la sua ratio nel
fatto che la violazione di una norma internazionale da
parte della regione implicherebbe la responsabilità dello
Stato a livello internazionale. L’art. 118 Cost., novellato
dalla riforma del Titolo V, prevede che le funzioni
amministrative spettino ai comuni e individua nella
sussidiarietà il principio preposto a governare il riparto di
tali funzioni. Da un punto di vista formale, la risposta è in
senso negativo: l’art. 118 non si applica alle regioni
speciali perché, a differenza delle regioni ordinarie, questa
hanno la competenza esclusiva interna in tema di
ordinamento locale e hanno quindi la facoltà di decidere la
titolarità delle funzioni amministrative in capo a province e
comuni o di conservarla in capo alla regione senza dover
osservare il principio di sussidiarietà. Ciò ovviamente non
significa che nelle regioni speciali tutte le funzioni
amministrative siano esercitate dalla regione, né che le
regioni speciali non debbano rispettare il nucleo essenziale
dell’autonomia locale. Nelle regioni speciali, dunque,
continua ad applicarsi il principio contenuto negli statuti
che è quello del parallelismo tra funzioni legislative e
amministrative e che valeva anche nelle regioni ordinarie
prima della modifica del Titolo V. In base a tale principio, le
regioni speciali sono titolari delle funzioni amministrative
in cui hanno anche potestà legislativa. Per quanto
concerne la collaborazione tra regioni speciali ed enti
locali, questa prima del Titolo V avveniva per il tramite di
conferenze regione-enti locali. Dopo il Titolo V quasi tutte
le regioni speciali hanno istituito dei consigli delle
autonomie locali.
La finanza
4. Oltre a ciò, quasi tutti gli enti ad autonomia differenziata
beneficiano di contributi speciali a carico del bilancio dello
Stato: per far fronte all’arretratezza del contesto sociale
ed economico e al deficit infrastrutturale (Sicilia), per
sostenere un programma di sviluppo economico
(Sardegna), per provvedere a scopi determinati che non
rientrano nelle funzioni normali (Friuli-Venezia Giulia e
Valle d’Aosta). Sul versante della potestà tributaria, le
forme e condizioni particolari di autonomia di cui
dispongono le regioni a statuto speciale consistono in una
maggiore indipendenza rispetto ai vincoli di
coordinamento imposti dal legislatore statale e in una più
ampia libertà di adeguare la tassazione alle esigenze delle
collettività amministrate. Gli statuti consentono loro di
istituire con proprie leggi tributi e di disciplinarne gli
elementi fondamentali osservando i principi
dell’ordinamento tributario vigente o in armonia con i
principi del sistema tributario dello Stato. Vale, quindi,
anche per queste regioni l’esigenza che l’obbligazione
tributaria si ricolleghi a un sistema unitario, fondato sui
principi di capacità contributiva e progressività. Sul
versante dell’autonomia di spesa, anche le regioni speciali
sono soggette ai limiti derivanti dalla normativa statale di
coordinamento del sistema finanziario. Secondo la
giurisprudenza costituzionale la specialità dell’autonomia
deve riflettersi anche sul piano finanziario ma questa
esigenza non può giustificare la pretesa di essere
esonerate dal partecipare, insieme alle regioni a statuto
ordinario, al processo di risanamento della finanza
pubblica. La legge dello Stato, nell’ambito di manovre di
finanza pubblica, può ridurre anche le risorse destinate
alle regioni a statuto speciale, purché i tagli non siano tali
da produrre uno squilibrio incompatibile con le esigenze
complessive della spesa regionale. Le differenze formali
tra sistemi finanziari ordinari e speciali si sono
notevolmente attenuate, in quanto adesso entrambi i
modelli di finanziamento risultano sostanzialmente
imperniati su entrate derivanti da tributi propri,
compartecipazioni al gettito dei tributi erariali.
Permangono tuttavia significative differenze sostanziali
relative alla natura e alla qualità dei trasferimenti statali
(posto che sia le regioni ordinarie sia quelle speciali hanno
diritto a percepire le risorse aggiuntive di cui all’art. 119.5,
per il resto alle prime possono essere assegnati solo
contributi perequativi, mentre le seconde ricevono
trasferimenti di vario genere, talvolta vincolati);
all’ampiezza della potestà tributaria; alla dotazione di
risorse finanziarie. Riguardo a quest’ultimo aspetto è
piuttosto diffusa la convinzione che gli enti a statuto
speciale dispongano di risorse eccessive, sproporzionate
rispetto alle reali esigenze, e che questo privilegio non sia
più giustificabile alla luce del sostanziale livellamento
delle competenze istituzionali fra tutte le regioni. L’altro
aspetto particolarmente controverso dei regimi finanziari
delle regioni speciali concerne la partecipazione al sistema
della perequazione. La legge 42/2009 prevede che anche
le regioni speciali contribuiscano al conseguimento degli
obiettivi di solidarietà dell’ordinamento e all’esercizio dei
diritti e doveri da essi derivanti. Ma a tal fine, a differenza
delle regioni ordinarie, le autonomie differenziate non
devono necessariamente cedere una parte del proprio
gettito tributario: possono anche scegliere di contribuire
assumendo a carico dei propri bilanci gli oneri relativi a
funzioni che attualmente vengono finanziate dallo Stato, o
tramite altre misure finalizzate a consentire risparmi per il
bilancio statale. Le regioni speciali con minore capacità
fiscale potranno beneficiare delle risorse perequative, ma
dovranno progressivamente adeguarsi al nuovo sistema
basato sui costi standard e di conseguenza potranno
percepire trasferimenti proporzionali alle spese necessarie
per garantire un esercizio efficiente delle funzioni loro
attribuite.
Le regioni speciali e la riforma costituzionale del 2001
5. Si pensi al rapporto tra la funzione legislativa e
amministrativa: come sopra detto, negli statuti speciali
tale rapporto è tuttora retto dal principio di parallelismo
tra
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