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In merito notiamo 2 problemi:
Rapporto fra responsabilità e rappresentanza
Per stabilire quale tipo di rapporto intercorre fra questi due concetti dobbiamo prima
stabilire cosa si intende con il termine “rappresentanza”.
Possiamo intendere:
– una situazione che conferisce al rappresentante un potere che, una volta ricevuta
l’investitura, egli può esercitare liberamente
– un rapporto permanente fra elettore ed eletti
Quando la vita politica era un’esclusiva del ceto borghese ( parlamento “di notabili” ) vi era
connessione fra responsabilità-mandato imperativo e irresponsabilità-mandato libero.
Oggi invece non è così. Le scadenze elettorali ( momento in cui termina la carica istituzionale )
servono per gli elettori per controllare e constatare l’attività svolta dall’organo costituzionale e dai
suoi membri.
Il ruolo di mediazione dei partiti
Questa funzione svolta dai partiti politici ha reso sempre più evanescente e quindi invisibile
la differenza fra “rappresentanza come situazione” e “rappresentanza come rapporto”.
Infatti i partiti politici sono allo stesso tempo: situazione e rapporto permanente.
I partiti sono “situazione” in quanto la rappresentanza politica è portatrice di interessi
generali, diversi e variegati all’interno della società, e questo determina una “situazione
rappresentativa”.
I partiti sono “rapporto permanente” fra elettori ed eletti, garantendo una piena e costante
partecipazione politica di entrambe le parti.
In riferimento a questo rapporto ( rappresentanza politica e divieto mandato imperativo ) vediamo
cosa è accaduto in Germania durante la Seconda guerra mondiale.
All’interno della Costituzione del 1949 troviamo due
norme di particolare rilievo giuridico. Queste norme
sono:
Art. 38 => “I deputati sono i rappresentanti
dell’intero popolo, non sono vincolati a mandati né a
direttive e sono soggetti unicamente alla loro
coscienza”
Art. 21 => “I partiti politici sono strumento
essenziale della formazione della volontà politica del
popolo”
I partiti politici vengono riconosciuti
costituzionalmente all’interno di una democrazia
“protetta” ossia all’interno di una democrazia che ha
dei valori e dei principi che dovranno essere
rispettati.
Il Tribunale costituzione federale ha il compito di
dichiarare incostituzionali quei partiti che contrastano
i valori e principi della democrazia protetta. In tal
caso quanto stabilito dall’art. 38 passa in secondo
piano, poiché fra interesse del partito politico e
interesse dell’ordinamento giuridico costituzionale
prevale sempre il secondo.
La dichiarazione di incostituzionalità comporta la
decadenza del mandato per i deputati appartenenti al
partito colpito da questa pronuncia.
Come dobbiamo interpretare l’art. 67 Cost. ?
Secondo molti studiosi questo articolo nasce da due orientamenti diversi dell’Assemblea costituente.
Nella prima parte la norma fa riferimento alla “rappresentanza della nazione” ossia la
rappresentanza di una società pluralistica in cui vigono interessi e orientamenti differenti e in cui
tutti questi interessi hanno pari valore e dignità. Nella seconda parte la norma fa riferimento al fatto
che il rapporto fra elettore ed eletto non deve produrre delle conseguenze a carico del singolo
individuo.
Quindi… l’art. 67 è il risultato di due principi aventi matrice diversa.
NB: Per queste ragioni il “divieto di mandato imperativo” ha la sola funzione di porre dei limiti agli
svolgimenti estremi del principio democratico ( risultante dagli artt. 1-49 Cost. ). La funzione di
questo divieto è limitata e ristretta in forza del fatto che, alla luce di quanto appena esaminato,
dobbiamo considerare la “rappresentanza politica” come una “situazione rappresentativa”, in cui il
divieto di mandato imperativo funge da strumento che garantisce libertà all’apparato statale, ma si
tratta di uno strumento che ha un ambito operativo limitato diversamente da altri strumenti che
svolgono la medesima o similare funzione.
Il “divieto di mandato operativo” crea un nesso fra: società-partiti-stato.
Concependo il “divieto di mandato imperativo” in una dimensione collettiva possiamo affermare
come esso va a garantire tutela\protezione alla libertà e pubblicità del processo di formazione della
politica nazionale. Questo perché tale divieto ammette la possibilità, per i singoli partiti politici, di
coordinarsi fra loro e con altri soggetti interni al sistema politico, anche se si tratta di discostarsi
dagli orientamenti di partito ( orientamenti originari ). Questo perché sull’interesse individuale
prevale l’interesse collettivo.
Capitolo 4: Rappresentanza, unità politica, pluralismo
La democrazia pluralistica ha carattere “identitario” o “rappresentativo” ?
Libholz parla di democrazia come identità. Entrambi rifiutano l’idea di una
Kelsen parla di democrazia come rappresentanza. rappresentanza politica.
Lebholz perché vede la democrazia
come un processo attraverso il
quale il singolo individuo può
identificarsi; l’identificazione
avviene nel partito a cui si aderisce
e di conseguenze alle persone che
si eleggono.
Kelsen perché vede la democrazia
come un processo funzionale nel
quale operano i partiti politici; si
tratta di un processo nel quale si fa
particolare attenzione alle istanze
democratiche relative al controllo e
alla responsbabilità.
Sul rapporto: pluralismo ( sociale e politico ) e unità politica costituzionale
All’interno delle democrazie pluralistiche l’unità politica non è più compito delle rappresentanze
bensì viene garantita dalla Costituzione ossia dalla Legge Fondamentale dello Stato.
La Costituzione pone delle regole, che implicano diritti e doveri, e fa questo per garantire un
processo pubblico adeguato. In questo processo operano gli organi costituzionali, i quali svolgono
le loro funzioni al servizio della collettività sociale. Questi organi indirettamente e la Costituzione
direttamente devono riconoscere il pluralismo democratico come principio fondamentale del nostro
ordinamento giuridico.
Capitolo 5: Organizzazione della politica e forma di governo parlamentare
Per classificare i regimi parlamentari si è sempre fatto riferimento al modello parlamentare inglese.
Quando tale modello è entrato a far parte dei vari ordinamento giuridici europei si è abbandonato
pian piano questo confronto. In seguito poi si è raggiunta la visione del regime parlamentare
“razionalizzato” ossia di un regime parlamentare che si fonda sullo stretto rapporto fra società civile
e organizzazione della sfera politica.
Il problema di classificare i regimi parlamentari si è affrontato attraverso la differenza fra stato di
governo dualista e stato di governo monista.
Sappiamo che il dualismo implica che il potere appartiene al Parlamento e al Governo. In
quest’ultimo il Capo di Stato è titolare del potere esecutivo ed ha poteri e prerogative significativi
( es: scioglimento delle Camere e revoca dei ministri ).
Sappiamo invece che il monismo implica che il potere viene gestito dal Parlamento, il quale entra in
rapporto ( in un “dialogo politico” ) con il “Gabinetto”.
Vediamo come i costituzionalisti francesi della Terza Repubblica hanno utilizzato come criterio, per
differenziare i vari regimi parlamentare, il DUALISMO.
Tale criterio si fonda sul principio dell’ equilibrio ( => la separazione dei poteri all’interno
dell’ordinamento costituzionale deve avvenire in forza di un equilibrio politico ).
Mortati coglie l’essenza della differenza fra dualismo e monismo.
Con la nascita dello “Stato di partiti” le forze politiche di
maggioranza sono divenute titolari del potere di indirizzo
politico. Da qui discende una “istituzionalizzazione” del
principio maggioritario.
Da questo momento vi è identificazione fra: programma delle
forze politiche di maggioranza e indirizzo politico dello Stato.
Il principio dell’equilibrio è un principio instabile che viene
meno quando le vicende storiche ci mostrano il prevalere della
supremazia politica.
Ciò ha indotto a dover abbandonare la classificazione dei regimi
parlamentari sulla distinzione dualismo-monismo quanto invece
differenziare i vari regimi in base al principio della supremazia
politica. Quindi possono esserci tre tipi di regime parlamentare:
– quello in cui prevale il Parlamento
– quello in cui prevale il Governo
– quello in cui prevale il Capo di Stato
Il concetto di “parlamentarismo razionalizzato” ci aiuta a comprendere il passaggio fondamentale
relativo allo sviluppo del regime parlamentare. Questo perché:
Il “parlamentarismo razionalizzato” esprime una risposta politica al rischio di instaurare e\o
mantenere un regime autoritario o totalitario.
Il “parlamentarismo razionalizzato” ha riesaminato la responsabilità politica nei rapporti fra
Parlamento e Governo ed ha ravvisato tale responsabilità come uno strumento essenziale del
potere politico.
Il “parlamentarismo razionalizzato” non pone più l’attenzione sulla situazione di crisi che
caratterizza il rapporto Parlamento-Governo bensì sulla situazione di fiducia che deve
caratterizzare tale rapporto.
I dibattiti affrontati per classificare i regimi parlamentari sono stati molteplici ed essi divergono
poiché si utilizzano differenti criteri di classificazione utilizzati. Tali dibattiti hanno però in comune
il problema di fondo: l’integrazione del pluralismo con la struttura della forma di governo
all’interno di uno Stato.
Oggi questo dibattito è tornato a prendere in considerazione la differenza fra dualismo e monismo
( un criterio abbandonato da tempo ); criterio oggi utilizzato andando ad evidenziare diversi fattori
rispetto al passato. Questo criterio può fornire ancora oggi una efficace chiave di lettura al problema.
L’importante è che tale criterio non venga utilizzato rigidamente bensì andando a considerare tutte
le variabili.
Andando ad interpretare i regimi parlamentari dobbiamo porre attenzione sul rapporto che
intercorre fra sviluppo storico di questi regimi e l’esperienza politica inglese.
In Inghilterra si è passati da un “governo bilanciato” ad un “governo parlamentare”.
Nel primo il sistema politico si fondava sul mo