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Il caso Huggies
Massima. L'utilizzazione di stereotipi di genere all'interno di pubblicità commerciali diffuse con il mezzo televisivo è manifestamente contraria al divieto di discriminazione di genere, nonché al divieto di abuso della naturale credulità o mancanza di esperienza dei bambini.
Fatto. Nel mese di giugno 2015 una marca di pannolini, la Huggies, manda in onda uno spot pubblicitario per promuovere la sua linea di pannolini Huggies bimbo e Huggies bimba, specifici per lui o per lei grazie alle esigenze di assorbimento poste in maniera diversa. Lo spot in questione ritraeva ad alternanza un bambino e una bambina. Il bambino dava un calcio ad una palla, a giocare con un aeroplanino e a correre verso sua madre, la bambina invece si mette un fiocchetto in testa, gioca con una bambola, e corre allontanandosi dalla madre, ad ogni scena è aggiunta una frase didascalica, tra le quali: "Lei penserà a farsi bella, lui a fare..."
rigidamente restrittivi. L'articolo 11 invece vieta di abusare della naturale credulità o mancanza di esperienza di bambini ed adolescenti.goal ‘’. A seguito dialcune segnalazioni pervenute all’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria, si ritiene ilsuddetto spot contrario agli articoli 10 e 11 del Codice di Autodisciplina dellaComunicazione Commerciale. In seguito per mancanza di opposizione delle partiinteressate, veniva vietata la diffusione della pubblicità.
Diritto. Le argomentazioni utilizzate per la rimozione dello spot pubblicitario sifondano sull’articolo 10 e 11 del Codice di Autodisciplina della ComunicazioneCommerciale. L’articolo 10 vieta ogni forma di discriminazione, compresa quella digenere. Tale discriminazione consisterebbe nell’uso di stereotipi di genere, per labambina il farsi bella, cercare tenerezza e farsi corteggiare da un uomo, per il bambinoil fare goal, la ricerca di avventure e il cercare le donne. Inoltre il comitato hacondannato la banalizzazione della complessità umana dello spot, in quanto utilizzamodelli non sentiti più attuali e
Lo spot viene definito sessista in quanto basato su stereotipi di genere.
Per pubblicità sessista si intende una pubblicità basata sulla discriminazione dei sessi, generalmente le donne, in cui si riscontrano fattispecie tipiche o più o meno ricorrenti come la mercificazione del corpo della donna, vista come un oggetto sessuale, alla quale si aggiunge in maniera più o meno velata il richiamo ad atti di violenza o di supremazia dell'uomo sulla donna. Un'ipotesi tipica di pubblicità sessista è quella che intende la donna inferiore solamente per mera appartenenza al genere femminile. Per capire il significato di discriminazione di genere occorre discutere sul termine anglosassone gender, utilizzato per indicare una categoria contrapposta al sex, al fine di spiegare i casi in cui non vi
è corrispondenza tra sesso anatomico e quello vissuto al livello psichico (il transessualismo). Con gender quindi non si indica solamente l'identità individuale ma anche l'orientamento sessuale. Da questa ambiguità deriva la censura dello spot in questione poiché darebbe luogo a discriminazioni di genere. In particolare ciò che viene censurato è l'utilizzo di stereotipi implicanti una caricadeterministica, restrittiva e pertanto degradante. Occorre osservare che per un bambino di un anno circa, il giocare a calcio e cercare avventure non è né restrittivo né degradante, lo stesso vale anche per la bambina. Nello spot inoltre non vi è nessuna banalizzazione della complessità umana, poiché vengono evidenziate solamente le differenze naturali tra bambino e bambina. In secondo luogo l'individuazione di stereotipi è completamente errata, in quanto non sussiste nessunostereotipo di
bellezza femminile né con riferimento alle immagini né alle didascalie. Nello spot viene censurata la caratteristica femminile di prendersi cura del proprio corpo, che non costituisce di per sé un aspetto negativo o discriminatorio. Non si può parlare di stereotipo neanche con la frase "lei cercherà tenerezza" in quanto rappresenta una caratteristica tipicamente femminile. Con riferimento allo stereotipo del cacciatore/preda, vi è un difetto di interpretazione, in quanto il bambino corre dalla madre, mentre la bambina scappa dalla stessa, al massimo può esservi un riferimento al bimbo "mammone" e alla bimba "indipendente". LA TRASMISSIBILITÀ DEGLI EREDI. Massima. La pubblicazione dell'immagine di una persona deceduta alla quale non hanno consentito i suoi eredi, non è autorizzata anche se le finalità della diffusione non attengono allo.sfruttamento economico. In tal caso, gli eredi possono agire in giudizio per chiedere la cessazione del fatto lesivo ed il risarcimento del danno da ciò derivante. Il danno patrimoniale può essere escluso sulla base del fatto che il congiunto non avrebbe consentito l'uso dell'immagine della persona deceduta per una simile iniziativa. Il danno non patrimoniale deve essere liquidato prendendo in considerazione il parametro medio per la morte del congiunto secondo le tabelle del Tribunale di Milano.
Fatto. Un partito politico realizza un manifesto, riproducente la demolizione di alcuni edifici prossimi al lungomare di Bari, che ha portato la condanna dell'Italia in sede di Corte Europea dei Diritti dell'Uomo al pagamento di un'ingente somma a favore del costruttore. Il manifesto raffigura l'immagine del noto attore Totò con espressione contrariata e la frase "...e io pago!". La figlia dell'attore cita in
giudizio il partitopolitico, deducendo l'illiceità della pubblicazione e chiedendo il risarcimento del danno.
Diritto. Il tribunale prende posizione sulla tesi difensiva del partito politico secondo la quale l'uso dell'immagine dell'attore non tendeva ad una particolare identificazione dello stesso, ma semplicemente ad esprimere un concetto mediante la famosa battuta. Al contrario si afferma che ciò che è contra jus, invece, è l'aver rappresentato il notissimo personaggio quale immagine mimica e portavoce di tale opinione. La diffusione dell'immagine determina una violazione personale dell'identità personale, è proprio questo a rendere lesiva l'affissione dei manifesti in questione, per il fatto che essa attribuisce al titolare del diritto all'immagine una posizione politica dalla stessa mai presa. Si precisa, che ciò rileverebbe in ogni caso qualora dovesse trattarsi di un'attribuzione
Assolutamente paradossale. Il problema quindi è l'utilizzo abusivo di immagini altrui. Il Tribunale ritiene quindi che non sia ravvisabile nemmeno alcuna ipotesi di esclusione della necessità del consenso, in ragione della notorietà della persona ritratta, in quanto la diffusione delle immagini è avvenuta per esigenze di pubblica propaganda. Si ravvisa che è stata proprio la notorietà della persona ritratta a costituire la ragione di un suo sfruttamento strumentale ed improprio. Al fine della liquidazione del danno risarcibile, vengono presi in considerazione vari elementi quali il luogo e la durata dell'affissione e la notorietà del fatto. Viene negata la sussistenza di un danno patrimoniale, mentre viene ravvisata l'esistenza del danno non patrimoniale, per il quale si ritiene possibile applicare analogicamente il parametro medio per la vita del congiunto di euro 150.000, anche se non si tratta della più grave ipotesi di.
annullamento totale e definitivo del rapporto parentale tutelato (la morte)dovrebbe ritenersi che l'illecito commesso avrebbe inciso sulla medesima sferaprotetta. IL DIRITTO ALL'IDENTITA' PERSONALE.
Massima. Nell'ordinamento italiano sussiste il diritto all'identità personale,riconducibile all'articolo 2 della Costituzione e deducibile per analogia dalla disciplinaprevista per il diritto al nome. Il diritto all'identità personale è un interessegiuridicamente meritevole di tutela a non vedere travisato o alterato all'esterno ilproprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico e professionale.
Fatto. Il noto oncologo Umberto Veronesi a seguito di un'intervista sui danni del fumo,vede pubblicata su un quotidiano un inserto pubblicitario finalizzato alla promozionedelle sigarette leggere, in cui si leggeva: ''secondo il prof. Umberto Veronesi, direttoredell'Istituto dei
tumori di Milano, questo tipo di sigarette riducono quasi della metà il rischio del cancro. '' La società produttrice di sigarette e l'agenzia pubblicitaria venivano citate in giudizio dallo stesso Veronesi e dall'Istituto dei tumori, i quali sostenevano la lesione dell'immagine e della reputazione dell'Istituto, e la personalità morale ed il nome del prof. Veronesi. Le società convenute si difendono subito eccependo che la frase riportata sulla pubblicazione sarebbe stata effettivamente pronunciata da Veronesi durante l'intervista. Il tribunale di Milano accoglie la domanda degli attori condannando la società al risarcimento del danno. La sentenza viene impugnata di fronte alla Corte d'Appello di Milano, la quale conferma integralmente la decisione di primo grado. Nel corso dell'intervista Veronesi si è espresso esplicitamente contro il fumo, ma la frase relativa alle sigarette leggere lofaceva apparire come un sostenitore di queste ultime, manipolando e distorcendo la verità dei fatti. Viene quindi fatto ricorso in cassazione.
Diritto. La principale argomentazione giuridica riguarda la ricostruzione effettuata dalla corte d'Appello che avrebbe incluso il diritto all'immagine esterna della persona nell'ambito della diversa situazione giuridica soggettiva costituita dal diritto al nome.
La Cassazione ritiene che la suddetta ricostruzione risulti tuttavia irrilevante ai fini del caso. Coglie quindi l'occasione per dare una definizione al diritto dell'identità personale, a partire dall'interesse che esso è diretto a tutelare, ovvero un interesse giuridicamente meritevole di tutela a non vedere travisato o alterato all'esterno il proprio patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico e professionale. Il problema principale riguarda il fondamento normativo del diritto, stante l'assenza di una
specifica norma di legge che tuteli espressamente il suddetto interesse. La Cortemuove innanzitutto una critica all'orientamento seguito da parte della dottrina,