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Il momento di svolta arriva nel 1975, con la celeberrima sent. n. 27 della Corte costituzionale.

Era stata sollevata questione di legittimità costituzionale in riferimento all’art. 546 c.p., nella parte in cui rendeva penalmente rilevante l’aborto su donna consenziente anche quando fosse accertata la pericolosità della gravidanza per il benessere fisico e l’equilibrio psichico della donna, senza che tuttavia ricorressero gli estremi dello stato di necessità. La Corte costituzionale ritenne fondata la questione e dichiarò la parziale illegittimità dell’art. 546 c.p.

Il dibattito sull’aborto divenne dunque pubblico e, pur traendo alimento dal contesto politico delle rivendicazioni femministe e dalle contestazioni ai capisaldi di una società clericale, si trovò ad essere inquadrato secondo gli strumenti offerti dal diritto.

Sono almeno due gli aspetti fondamentali che emergono dalle motivazioni del giudice delle

Accanto al benessere fisico della donna fa la sua comparsa l'equilibrio psichico della stessa; Nell'opera di bilanciamento realizzata dalla Corte costituzionale, vengono posti a confronto due interessi diversi: La salute della madre; a. La vita del nascituro. b.I piatti della bilancia sono in realtà fortemente squilibrati a favore della donna. La Corte costituzionale osserva che non esiste equivalenza fra il diritto non solo alla vita, ma anche alla salute proprio di chi è già persona, come la madre, e la salvaguardia dell'embrione che persona deve ancora diventare. Si tratta di affermazioni che portano in primo piano la questione relativa alla natura giuridica del concepito. Da un punto di vista logico, sembrerebbe che le soluzioni praticabili siano due: La prima è quella fondata su una differenziazione totale tra nato e concepito, in base alla quale solo il nato è soggetto di diritto, mentre il concepitoè degradati a mera “parte del corpo della donna”; come tale sottoposto al medesimo regime di disponibilità previsto per le altre parti del corpo umano; La seconda è quella della equiparazione totale tra nato e concepito, che conduce a 2. riconoscere al concepito pari dignità e consistenza giuridica del nato, con la conseguenza per cui la sua tutela resta affidata ai delitti di omicidio: la vita del concepito può dunque subire compromissioni solo per la salvaguardia di un’altra vita umana, quando la stessa sia pregiudicata dallo sviluppo ulteriore della gravidanza, mentre non rileverebbero interessi diversi, a partire dalla tutela “ampia” della maternità. I vari ordinamenti giuridici hanno però mostrato un atteggiamento misto di reticenza e di imbarazzo rispetto a questi due modelli, ritenendo infine che il concepito è una vita umana, ma non è ancora una persona; è soggetto e non oggetto ma, in

quanto persona solo in potenza e non ancora in atto, è meritevole di una tutela "inferiore" rispetto a quella assicurata al soggetto già nato. Nell'ambito di questo modello intermedio sono almeno tre le soluzioni praticabili:

  1. La c.d. regolamentazione secondo termini, che prevede a fissazione di un termine entro cui sia possibile interrompere la gravidanza senza la sussistenza di condizioni ulteriori. La decisione di ricorrere alla pratica abortiva viene demandata alla donna, sulla base del mero rispetto dei limiti temporali;
  2. La c.d. regolamentazione secondo indicazioni: l'interruzione di gravidanza è consentita solo in determinate situazioni preventivamente e tassativamente individuate dal legislatore che, sulla base di presupposti oggettivi, limitano la scelta della donna;
  3. La c.d. regolamentazione secondo indicazioni legata a termini, che rappresenta una sintesi dei due schemi precedenti.

La terza via è quella seguita dal legislatore italiano.

con la l. n. 194 del 1978; con essa si abbandona la via della repressione dell'aborto e si intraprende quella di una legalizzazione sotto condizioni, anche al fine di prevenire gli aborti clandestini. Dall'assetto collettivistico delineato dal Codice Rocco si passa ad una visione di stampo personalistico-individuale, più in linea con le indicazioni della Carta costituzionale. Gli interessi personalistico-individuali che vengono in considerazione sono due: - Quello della madre; - Quello del nascituro. L'art. 1 della l. n. 194/1978 sembra porli sullo stesso piano, disponendo che: "Lo Stato garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana dal suo inizio". In realtà, il principio di autodeterminazione della madre si vede attribuito un ruolo determinante. Questo non vuol dire che il nostro ordinamento riconosca un vero e proprio "diritto ad abortire", ma significa che, nelle

Condizioni entro le quali è ammessa un'interruzione di gravidanza, il legislatore accorda una posizione di indubbio rilievo alla scelta della madre e alla tutela del suo benessere. Il sistema delineato dalla l. n. 194 del 1978 assume come cronologico la soglia dei 90 giorni dall'inizio della gravidanza. Prima dei 90 giorni la donna può chiedere l'interruzione:

Quando accusi circostanze per le quali la prosecuzione della gravidanza, il parto o la maternità comporterebbero un serio pericolo per la sua salute fisica o psichica, in relazione al suo stato di salute, o alle sue condizioni economiche, o sociali o familiari, o alle circostanze in cui è avvenuto il concepimento, o a previsioni di anomalie o malformazioni del concepito. [Art. 4]

Il medico non avrebbe tuttavia alcun potere-dovere di accertare le condizioni previste dalla legge al fine di esprimere parere sfavorevole all'interruzione della gravidanza. L'art.

Il testo fornito riguarda la legge sull'interruzione di gravidanza. Secondo la legge, dopo i 90 giorni, l'interruzione di gravidanza può essere praticata in due casi:

  1. Quando la gravidanza o il parto comportino un grave pericolo per la vita della donna.
  2. Quando siano accertati processi patologici, tra cui rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro, che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna.

La legge prevede diverse fattispecie penali per l'aborto:

  • Gli articoli 17 e 18 prevedono le ipotesi di interruzione di gravidanza senza il consenso della donna. In questi casi, non è prevista alcuna responsabilità della donna. Il legislatore prevede:
    • Aborto colposo (art. 17)
    • Aborto doloso (art. 18, comma 1, che punisce chi cagiona l'interruzione della gravidanza senza il consenso della donna)
    • Aborto preterintenzionale (art. 18, comma 2, che punisce chi cagioni l'interruzione della gravidanza con azioni dirette)

provocare lesioni alla donna). Le ipotesi b. e c. sono parificate sul piano della risposta sanzionatoria: la reclusione da 4 a 8 anni. L'omicidio doloso invece non assorbe il reato di procurato aborto: si risponderà quindi di entrambe le fattispecie di reato, in regime di concorso formale.

L'art. 19 prende invece in considerazione l'interruzione volontaria della gravidanza in violazione della procedura prevista dalla legge n. 194 del 1978. In questi casi anche la donna, che aderisce volontariamente e consapevolmente, risponde, sia pur con pene ridotte.

L'aborto colposo (art. 593- c.p.)

L'art. 593- c.p. punisce, con la reclusione da 3 mesi a 2 anni, chiunque cagioni a una donna per colpa l'interruzione della gravidanza. La pena prevista è diminuita fino alla metà per il soggetto che cagioni per colpa un parto prematuro. In entrambi i casi, la pena è aumentata se il fatto è commesso con la violazione delle norme poste.

A tutela del lavoro. Nessun dubbio sul fatto che risponda di aborto colposo l'ostetrica, incaricata di eseguireEs.un tracciato cardiotocografico, all'esito del quale si evidenzi un'anomalia cardiaca del feto, cheometta di informare tempestivamente il medico di turno o, ancora, il medico che rinvii un partocesareo già programmato come urgente, omettendo di proseguire il monitoraggio nonostantefossero stati rilevati sintomi di tachicardia fetale.

Più problematico si presenta invece il caso di chi cagioni, per colpa, un incidente stradale, dalquale derivi la morte di una donna incita e del feto che la stessa porti in grembo.

Secondo una prima impostazione non si ravviserebbe ostacolo alcuni all'operativitàbisdell'attuale art. 593- c.p.;

Secondo altri, il soggetto potrebbe rispondere (anche) di aborto colposo solo nel caso incui fosse a conoscenza dello stato di gravidanza della donna.

La Corte di cassazione, in un caso

gravidanza e l'omicidio colposo è stato oggetto di dibattito in questo caso. La donna incinta che è stata investita mentre attraversava la strada è stata condannata per omicidio colposo, ma non per aborto colposo. Non sono emersi elementi che dimostrassero la prevedibilità dell'evento. La lettura restrittiva dell'articolo 593 non è del tutto convincente, poiché la disposizione prevede come circostanza aggravante il caso in cui l'interruzione di gravidanza o il parto prematuro derivino dalla violazione delle norme di sicurezza sul lavoro. Queste regole sono assimilabili a quelle sulla circolazione stradale e non sempre sono specificamente volte alla protezione della gravidanza e del feto. Sarebbe quindi irragionevole escludere dalla fattispecie casi simili a quelli considerati per un'aggravante di pena. Il rapporto tra l'interruzione di gravidanza e l'omicidio colposo è stato oggetto di dibattito in questo caso. La donna incinta che è stata investita mentre attraversava la strada è stata condannata per omicidio colposo, ma non per aborto colposo. Non sono emersi elementi che dimostrassero la prevedibilità dell'evento. La lettura restrittiva dell'articolo 593 non è del tutto convincente, poiché la disposizione prevede come circostanza aggravante il caso in cui l'interruzione di gravidanza o il parto prematuro derivino dalla violazione delle norme di sicurezza sul lavoro. Queste regole sono assimilabili a quelle sulla circolazione stradale e non sempre sono specificamente volte alla protezione della gravidanza e del feto. Sarebbe quindi irragionevole escludere dalla fattispecie casi simili a quelli considerati per un'aggravante di pena.

gravidanza e il parto prematuro (art. 593- c.p.)

Il Codice Rosso distingueva chiaramente:

  • L'aborto, caratterizzato dalla morte del prodotto del concepimento;
  • L'acceleramento del parto, caratterizzato dalla permanenza in vita dello stesso.

L'acceleramento del parto costituiva una circostanza aggravante delle lesioni dolose e colpose.

La l. n. 194 parla raramente di aborto. Nella maggior parte delle disposizioni, il legislatore ricorre all'interruzione volontaria della gravidanza, a volte distinto dal "parto prematuro".

Si tratta di chiarire se il concetto di interruzione volontaria di gravidanza coincide necessariamente con l'esito abortivo.

L'interrogativo in questione assume particolare rilevanza per la formulazione dell'attuale art. 593-ter c.p.: quest'ultima disposizione prevede una diminuzione della pena in caso di acceleramento del parto "preterintenzionale" (comma 3), e fa esplicito riferimento

all'acceleramento del partocolposo. Il parto pre
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Publisher
A.A. 2021-2022
23 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher CriUniTn di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale avanzato e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Trento o del prof Bonini Sergio.