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Stato a portata relativa, nel senso che la sua ampiezza dipende dal diritto

internazionale e dalla sua evoluzione. La relatività di questo concetto è stata

affermata dalla giurisprudenza internazionale che ha ancorato l’accertamento

sulla circostanza che una determinata materia rientri o meno nel dominio

riservato statale all’evoluzione dei rapporti internazionali. La determinazione

della sfera del dominio riservato ossia dell’ambito della sovranità

discrezionale dello Stato non spetta al diritto interno, ma al diritto

internazionale, non esistendo un ambito di sovranità riservata per natura. Essa

si manifesta e varia nel tempo a seconda degli impegni internazionali assunti

dagli Stati e della loro portata; assumono rilievo gli impegni assunti dallo Stato

per via di accordi internazionali e attraverso il sostegno alle attività ed alle

iniziative delle organizzazioni internazionali cui partecipa. Il concetto di dominio

riservato è evolutivo , infatti la sfera di sovranità esclusiva tende a variare a

seconda degli obblighi che gli Stati via via assumono. Il divieto di non ingerenza

negli affari interni è la garanzia dell’esclusività delle competenze sovrane dello

Stato; questo divieto assume la sua manifestazione più evidente nel non-

intervento nella sfera delle competenze esclusive dello Stato, per

difendere un diritto o per proteggere taluni soggetti. Con riferimento alla

protezione dei diritti umani da violazioni massicce e generalizzate il divieto

di intervento umanitario è venuto meno nel caso di intervento a favore del

popolo in lotta per la sua autodeterminazione. Il principio del dominio

riservato così come il divieto di non ingerenza rilevano anche nei

confronti dell’azione delle organizzazioni internazionali e nei confronti

delle NU. Ricordiamo l’art 2, paragrafo 7 della Carta ONU che stabilisce che

nessuna disposizione autorizza le NU ad intervenire in questioni che

appartengono alla competenza interna di uno Stato.

- Sovranità e legame di cittadinanza

La potestà dello Stato su di una determinata comunità può essere vantata non

a titolo territoriale ma a titolo personale, ossia grazie a quel vincolo stabile dato

dal legame di cittadinanza, il quale permette allo Stato di disporre in modo

completo dei propri cittadini. Lo Stato è dotato di una competenza esclusiva e

discrezionale nell’attribuzione della cittadinanza , potendo fissare i criteri in

base ai quali concederla sulla base di valutazioni socio-politiche e della propria

jus sanguinis e

situazione demografica. I criteri più utilizzati sono quelli dello

dello jus soli, spesso combinati insieme. Il primo collega la concessione della

cittadinanza alla nazionalità dei genitori, il secondo al luogo di nascita,

indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Molti ordinamenti giuridici

contemplano anche l’istituto della naturalizzazione grazie al quale viene

riconosciuta la cittadinanza in caso di matrimonio oppure dopo un certo

periodo di residenza nello Stato; essa costituisce una facoltà offerta al cittadino

straniero che deve espressamente manifestare la sua volontà ad assumere

un’altra nazionalità. Non infrequenti sono poi i casi di nazionalità doppia così

come i casi di apolidia ossia di assenza di qualunque cittadinanza. La prima

ipotesi può determinare difficoltà in modo particolare quando impone doppi

obblighi perché riconducibili ad entrambe le cittadinanze o determinare un

contrasto tra i due Stati di cittadinanza nell’esercizio di talune loro facoltà in

rapporto al cittadino, come la protezione diplomatica. Il diritto internazionale

richiede che la cittadinanza sia espressione di un legame reale ed effettivo

tra individuo ed uno Stato determinato, ossia che la stessa non sia un legame

meramente giuridico ma esprima una solidarietà di vita, di interessi e di

sentimenti tendente ad una reciprocità di diritti ed obblighi. Costituisce una

cittadinanza sui generis quella dell’unione europea; si tratta di una

cittadinanza formale, che è esclusivamente connessa al possesso della

cittadinanza di uno degli Stati membri dell’Unione. Da essa discendono solo

diritti e nessun dovere per il cittadino europeo: si tratta della libertà di

circolazione e di soggiorno sul territorio degli Stati membri; del diritto di voto e

ad essere eletti alle elezioni locali e al Parlamento europeo nello Stato di

residenza; della protezione consolare e diplomatica da parte di ogni Stato

dell’UE quando nel Paese terzo lo Stato di nazionalità non ha alcuna

rappresentanza diplomatica o consolare e al diritto di petizione al Parlamento

europeo e di rivolgersi al mediatore europeo. In merito alla nazionalità delle

persone giuridiche lo Stato gode di una competenza esclusiva e

discrezionale che lo porta a preferire il criterio della sede legale o quello del

luogo dell’incorporazione o ancora quello del controllo, talora fondato sulla

cittadinanza degli azionisti di maggioranza e talaltra sulla cittadinanza di coloro

che dirigono l’ente

(segue): l’assenza o l’impossibilità di utilizzare il legame di cittadinanza:

l’apolide e il rifugiato

Dal punto di vista giuridico, queste situazioni discendono o da vuoti tra una

legislazione statale e l’altra o dall’assenza di norme in materia di cittadinanza

quando nasce un nuovo Stato. L’apolide, essendo privo del legame di

cittadinanza, non gode della protezione di alcuno Stato; tra gli accordi adottati

per i casi di mancanza di cittadinanza ricordiamo la Convenzione di NY del

1954 sullo statuss degli apolidi e la Convenzione di NY del 1961 sulla riduzione

delle situazioni di apolidia. La convenzione del ‘54 impone agli Stati contraenti

di garantire all’apolide il trattamento riservato allo straniero, mentre la

convenzione del ‘61 fissa alcune regole a questo riguardo al fine di evitare

situazioni di apolidia. Essa fa discendere la cittadinanza dal luogo di nascita,

nel caso in cui altrimenti, l’individuo dovesse restare apolide. Nel contempo la

convenzione vieta la privazione di cittadinanza per motivi razziali, etnici,

religiosi o politici. Il rifugiato deve essere distinto dall’apolide; il rifugiato è

uno straniero che gode di un regime particolare di protezione nello Stato di

accoglienza in considerazione delle persecuzioni, per ragioni di razza, di

religione o credo politico, di cui è stato vittima nel proprio Stato. Il perno della

condizione di rifugiato è costituito dal diritto di asilo, ossia dal diritto –

riconosciuto dal diritto internazionale consuetudinario a quegli individui che

sono perseguitati per le ragioni esposte – a cercare rifugio in un altro Stato. A

fronte di tale diritto viene fortemente limitato il potere discrezionale dello Stato

quanto all’accesso dello straniero, non essendo possibile il respingimento alla

frontiera del richiedente asilo in quello Stato ove la sua vita o libertà sarebbero

minacciate per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un certo

gruppo sociale, od opinioni politiche. Egualmente limitata è l’espulsione, che è

ammessa solo per motivi di sicurezza nazionale o di ordine pubblico. Quanto

allo status del rifugiato, le norme si incentrano su due principi: garantire al

rifugiato un trattamento non meno favorevole di quello che lo Stato accorda ai

propri cittadini e riservargli un trattamento comparabile a quello generalmente

accordato agli stranieri. Lo status di rifugiato ha una valenza limitata,

discendendo dal diritto di asilo concesso dallo Stato territoriale. Il

riconoscimento dell’asilo assume rilievo giuridico per tutti gli Stati membri solo

nel caso dell’UE sulla base del sistema europeo comune di asilo. Lo status

di rifugiato, inoltre, viene meno nel momento in cui il rifugiato accetta la

protezione del suo Stato di origine e quando cessano le circostanze alla base

della concessione del diritto di asilo.

- Sovranità statale e suoi limiti classici: il trattamento dello straniero

Grazie al principio di sovranità, lo Stato è competente a disciplinare le attività

umane nel suo ambito territoriale e a fissare il regime giuridico applicabile agli

individui ed alle persone fisiche sottoposti alla sua sfera di sovranità. Quanto ai

limiti derivanti dalla sovranità statale dalle norme consuetudinarie sul

trattamento dello straniero, essi non riguardano la discrezionalità dello Stato

nell’ammissione dello straniero nel proprio territorio e più in generale a

stabilire la propria politica nel campo dell’immigrazione. Lo Stato può

liberamente decidere di non ammettere taluni stranieri o di ammetterli

subordinatamente a determinate condizioni, così come di ammetterli per

periodi brevi o temporanei o per periodi più lunghi. Spesso gli Stati concludono

accordi internazionali con cui stabiliscono standard comuni quanto alle

condizioni di ingresso e di residenza dei rispettivi cittadini. Anche l’espulsione

dello straniero rientra nella discrezionalità dello Stato. Tuttavia, taluna prassi

giurisprudenziale e taluna dottrina affermano che questa discrezionalità non

può essere esercitata se non per motivi di ordine pubblico o di alta politica o

secondo buona fede o senza scopi ulteriori. Altri limiti possono discendere dalle

regole consuetudinarie sul trattamento dello straniero. Lo Stato, una volta che

ha ammesso lo straniero a soggiornare nel proprio territorio, è sottoposto al

rispetto di due principi di natura consuetudinaria: quello di non imporre allo

straniero obblighi connessi con lo status di cittadinanza e quello di

proteggere il cittadino straniero. Quanto al primo principio , esso ha una

portata indeterminata, potendosi soltanto riferire all’assenza da quello stretto

legame di cittadinanza con lo Stato ospite ed alla conseguente rete di diritti ed

obblighi collegati. Ciò esclude le prestazioni come il servizio militare, quelle

imposizioni fiscali che non discendano da attività o beni nel territorio dello

Stato ospite, così come l’applicazione di quelle misure monetarie, antitrust o

commerciali che non siano connesse ad attività poste in essere nel territorio

dello Stato. Quanto al secondo principio, furono gli Stati occidentali che

storicamente sostennero l’esistenza di uno standard internazionale di

trattamento dello straniero, altri Stati, in particolar modo quelli latino-

americani, ritenevano che gli stranieri dovessero essere trattati come i

cittadini, ossia secondo lo standard del trattamento nazionale; questo

concetto si è progressivamente consolidato ed affermato anche grazie alla

Corte permanente di giustizia internazionale la quale riconobbe l’esistenza di

Dettagli
A.A. 2017-2018
33 pagine
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SSD Scienze giuridiche IUS/13 Diritto internazionale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher victoriademaio di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto internazionale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof Vassalli di Dachenhausen Talitha.