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8. OPERAZIONI NAVALI EFFETTUATE PER CONTROLLARE L’ESECUZIONE DI SANZIONI DISPOSTE DALLE
NAZIONI UNITE: Tali operazioni, che nel gergo delle marine militari hanno assunto il nome di MIO, possono essere
inquadrate nell’ambito delle eccezioni al divieto dell’uso della forza nelle relazioni internazionali oppure come deroghe
al principio della libertà dell’alto mare. Un esempio della prassi ci è offerto dal caso della Rhodesia (1965): questa,
colonia britannica, secedette dal Regno Unito ad opera della minoranza bianca, che instaurò un regime razzista col
tentativo di impedire il processo di decolonizzazione. Con la risoluzione 217, il CdS decretò un embargo petrolifero nei
confronti della Rhodesia ed il Regno Unito stabilì una zona di sorveglianza marittima nel canale di Mozambico,
limitandosi ad identificare le navi che facevano rotta verso il porto di Beira, da dove il petrolio veniva trasportato in
Rhodesia. Successivamente il CdS con la risoluzione 221, chiese al Regno Unito di impedire, se necessario mediante
l’uso della forza, l’arrivo a Beira di petroliere il cui carico avrebbe potuto poi essere avviato alla Rhodesia.
Un’altra operazione di interdizione marittima si è verificata nei confronti dell’Iraq a seguito dell’invasione del Kuwait del
1990. In tal ambito, il CdS adottò la ris.661 con cui impose un embargo totale sulle importazioni ed esportazioni
irachene, ad eccezione dei medicinali e di prodotti alimentari, su autorizzazione del CdS.
Un problema si pone quando la risoluzione del Consiglio obbliga gli stati membri ad adottare misure per prevenire atti
terroristici o dispone un embargo, ma non autorizza espressamente azioni di interdizione navale. In questo caso,
queste ultime possono essere fondate non tanto su una esplicita autorizzazione quanto sulla legittima difesa. Un
esempio è costituito dall’operazione Enduring Freedom contro l’Afghanistan ad opera degli USA ed altri Stati. Vai poi
citata la Proliferation Security Initiative (PSI), iniziativa di un gruppo di Stati (comprendenti i membri permanenti del
CdS con l’eccezione della Cina che la ritiene contraria al diritto internazionale), non riconducibile ad una ris. del CdS,
che prevede la possibilità di fermare una nave straniera solo con il consenso dello Stato di bandiera, acquisito anche
preventivamente.
Capitolo 3-Le organizzazioni regionali e l’uso della forza armata
1.Le organizzazioni regionali inquadrabili nel Capitolo VIII della Carta delle NU: L’art.52 della Carta delle NU
salvaguarda le funzioni degli accordi o organizzazioni regionali nel campo del mantenimento della pace e della
sicurezza internazionale, senza dare una precisa definizione di accordo o organizzazione. In sostanza, la differenza
consiste nel grado di maggiore o minore istituzionalizzazione dell’accordo. Le organizzazioni internazionali comprese
all’art.52 possono essere enti istituiti mediante trattato, ma anche con strumenti di soft law (come dimostra
l’esperienza dell’OSCE=Organization for Security and Co-operation in Europe) e devono rispondere a tali requisiti:
-deve trattarsi di un’organizzazione regionale;
-l’organizzazione deve avere competenza nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale;
-l’organizzazione, e le sue attività, devono essere conformi ai fini delle NU.
Il primo requisito non deve essere inteso in senso strettamente geografico ma geo-politico (infatti, la richiesta
dell’Egitto di comprendere all’art.52 le organizzazioni composte da Stati appartenenti ad un’area geografica ben
definita ed aventi in comune un confine geografico è stata respinta).
Per quanto riguarda il secondo requisito, esso s’intende soddisfatto qualora l’organizzazione persegua fini analoghi a
quelli delle NU, nel campo del mantenimento della pace e della sicurezza internazionale. L’organizzazione deve
perseguire gli interessi generali della regione e secondo alcuni devono essere incluse anche quelle organizzazioni
che organizzano la difesa collettiva tra gli Stati membri. Ma su tale punto non tutti gli autori sono d’accordo. Anche le
mere organizzazioni a carattere economico non dovrebbero far parte delle organizzazioni del Capitolo VIII della Carta.
Ma vi può essere un’evoluzione come dimostra il caso dell’ECOWAS (=Economic Community of West African States),
che ha acquisito competenze nel campo del mantenimento della pace.
Il terzo requisito si basa sul fatto che non solo lo Statuto dell’organizzazione ma anche le sue attività devono essere
conformi ai fini delle NU. Pertanto, non basta la conformità formale ma è necessaria anche quella sostanziale. Per
esempio, può accadere che lo Statuto sia conforme, ma che l’organizzazione con le sue attività trasgredisca le norme
della Carta. Un elemento essenziale per la conformità è quindi il riconoscimento della primazia delle NU. Tuttavia non
si può parlare di “subordinazione” dell’organizzazione regionale alle NU ma di “cooperazione” e “complementarietà”.
Alcuni esempi sono l’Organizzazione degli Stati Uniti (OSA), la Lega Araba e la Comunità degli Stati Indipendenti
(CSI).
Le organizzazioni regionali possono usare lecitamente la forza armata in diversi casi: innanzitutto possono funzionare
come un patto per l’organizzazione della legittima difesa collettiva, senza l’autorizzazione del CdS, in quanto esse
agiscono in virtù dell’art.51 della Carta. In secondo luogo possono effettuare operazioni coercitive di due tipi:
1) su delega del CdS e sotto la sua direzione (art.53);
2) su iniziativa dell’organizzazione regionale ma con l’autorizzazione del CdS. Non viene specificato però se le
operazioni “autorizzate” debbano anche essere effettuate sotto la direzione del CdS. Quest’ultimo, nella risoluzione
autorizzativa, può porre delle condizioni, tra cui una stretta supervisione dell’operazione.
In terzo luogo un’azione coercitiva può essere intrapresa sia contro uno Stato membro dell’organizzazione regionale
sia contro uno Stato non membro.
Riguardo al fatto se il CdS possa obbligare un’organizzazione regionale ad effettuare un’operazione di peace-
enforcement, la dottrina è concorde nel ritenere che il Consiglio possa solo autorizzare, ma non obbligare gli Stati ad
intervenire. Tale conclusione però non è ugualmente valida per le organizzazioni regionali. Occorre infatti distinguere i
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casi in cui il Consiglio “utilizza” gli accordi regionali, da quelli in cui il Consiglio autorizza gli accordi in questione ad
intervenire. Nel primo caso, è sostenibile l’opinione secondo cui il CdS possa obbligare l’accordo regionale ad
intraprendere un’operazione di peace-enforcement, facendolo diventare quindi organo decentrato del Consiglio. Su
questo punto non esiste però prassi.
Non esiste una prassi nemmeno per quanto riguarda il quesito volto a determinare se azioni coercitive possano
essere autorizzate dall’AG in situazioni analoghe a quelle dell’“Uniting for Peace”, ossia in casi d’incapacità d’azione
del CdS a causa del veto di un membro permanente.
Una terza ipotesi di uso lecito della forza comprende le operazioni per il mantenimento della pace consistenti nell’invio
di una forza composta da contingenti degli Stati membri dell’organizzazione regionale con il consenso dello Stato
territoriale. Il problema che si pone con tali operazioni è se esse debbano essere autorizzate dal CdS, ossia se
ricadano sotto l’art.53 della Carta. La risposta a tale quesito è negativa dal momento che non si tratta di vere e proprie
azioni coercitive, ma di uso della forza con il consenso del sovrano territoriale. Tuttavia il CdS dovrebbe essere tenuto
pienamente informato dell’azione intrapresa o progettata dall’organizzazione regionale, ai termini dell’art. 54 della
Carta.
La Conferenza al Vertice di Helsinki del 1992 ha conferito all’OSCE il potere di intraprendere operazioni per il
mantenimento della pace. L’operazione, le cui modalità sono espresse nel documento adottato dalla Conferenza dei
Capi di Stato e di Governo, è decisa per consensus dal Consiglio dei Ministri, deve essere finanziata da tutti gli Stati
membri e complementare agli sforzi di soluzione negoziata del conflitto, interno o internazionale. L’operazione può
aver luogo solo con il consenso delle parti interessate e non può comportare azioni di natura coercitiva. Alcune delle
operazioni elencate nel documento di Helsinki sono: il mantenimento del cessate il fuoco, il controllo del ritiro delle
truppe, il mantenimento dell’ordine pubblico e la fornitura di aiuti umanitari. L’OSCE non dispone di propri contingenti
militari, ma per le operazioni di mantenimento della pace può servirsi delle organizzazioni esistenti nell’ambito
europeo come: la NATO, l’UE e la CSI. Finora non ha intrapreso delle vere e proprie operazioni di mantenimento della
pace e appare ormai come un’organizzazione in declino, avendo esaurito il suo compito storico. I tentativi per una sua
rivitalizzazione, che vengono di tanto in tanto intrapresi, non sono stati mai coronati da successo.
Recentemente l’Unione Africana ha tentato di sviluppare una capacità autonoma per le operazioni di mantenimento
della pace e si è dotata di un organo ad hoc con il Protocollo del 2002: il Consiglio di sicurezza e della pace. Una
forza di peacekeeping è presente in Somalia dal 2007 e un’altra è stata dispiegata in Darfur. Il problema principale per
il peacekeeping sotto l’egida dell’Unione Africana è quello della sua effettività e capacità e si è pensato al
dispiegamento di forze dell’Unione in partnership con quelle delle NU.
2.Le funzioni dell’UE nel campo della sicurezza collettiva: I primi tentativi di istituire una struttura nel campo della
difesa europea risalgono alla creazione di una Comunità Europea di Difesa (CED), che non venne mai completata a
causa dell’opposizione dell’Assemblea nazionale francese, la quale non autorizzò il governo alla ratifica del relativo
trattato. La CED avrebbe dovuto comprendere i 6 Stati fondatori della CECA. Tale questione dell’integrazione è stata
ripresa all’art. 30 dell’Atto Unico Europeo e ha avuto ulteriori sviluppi con l’istituzione dell’UE da parte del Trattato di
Maastricht (1992) e a seguito delle modifiche apportate dal Trattato di Amsterdam (1997), Nizza (2001) e Lisbona (in
vigore dal 2009). In particolare, le disposizioni del Trattato sull’UE in materia di politica di sicurezza e difesa comune
comportano la creazione di un patto di difesa collettiva, volto ad assistere uno Stato membro che subisca
un’aggressione armata. Inoltre gli obiettivi dell&r