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LIBRO).
Particolarmente interessante e ricca è la giurisprudenza in cui la Corte è stata chiamata a giudicare se la normativa
nazionale in questione poteva dirsi giustificata da esigenze imperative attinenti alla tutela dei consumatori.
In generale la Corte nega che la tutela dei consumatori possa essere invocata per giustificare normative che penalizzano i prodotti importati
qualora un'adeguata protezione degli acquirenti potrebbe essere ottenuta con mezzi meno restrittivi. Ad es. nella sentenza Cassis de Dijon
(1979 Rewe-Zentral), che riguardava il divieto di importare e commercializzare in Germania una bevanda alcolica regolarmente prodotta e
venduta in Francia, in ragione del suo tasso alcolico inferiore al minimo prescritto per legge, la Corte, pur riconoscendo che "la fissazione di
valori-limite in materia di dazione alcolica delle bevande può servire alla standardizzazione dei prodotti posti in commercio e delle loro
denominazioni, nell'interesse di una maggior trasparenza dei negozi commerciali e delle offerte al pubblico" afferma che "per questo, non si
può arrivare fino a considerare la fissazione imperativa del contenuto minimo di alcool come una garanzia sostanziale della lealtà dei negozi
commerciali, dal momento che è facile garantire l'adeguata informazione dell'acquirente rendendo obbligatoria l'indicazione della
provenienza e della gradazione alcolica sull'imballo dei prodotti. " In altri termini, quando la corretta informazione del consumatore può
essere ottenuta imponendo un'adeguata etichettatura dei prodotti, non possono essere consentite misure maggiormente restrittive.
5.6. La giurisprudenza ha avuto altresì modo di applicare in numerose occasioni dei motivi di interesse d'ordine
generale espressamente previsti dall'art. 36.
In materia di moralità pubblica, la Corte si è più volte pronunciata a proposito della legislazione britannica riguardante le pubblicazioni e il
materiale di carattere pornografico. In particolare va richiamata la sent. 1986 Conegate: la Corte ha considerato incompatibile con l'art. 36 il
divieto di importazione di materiale pornografico, dal momento che la produzione e la vendita di materiale nazionale della medesima natura
erano soggette a condizioni restrittive, ma non erano del tutto vietate.
In materia di protezione della salute pubblica, interessanti sviluppi si sono avuti in merito alla possibilità' di invocare la deroga prevista in
proposito dall'art. 36 al fine di vietare l'importazione di prodotti alimentari contenenti additivi o conservanti ammessi dalla legislazione dello
Stato d'origine, ma vietati da quella dello Stato d'importazione. La giurisprudenza, dopo alcune pronunce più tolleranti, si è orientata nel
senso di subordinare l'ammissibilità di una legislazione restrittiva del genere alle seguenti condizioni:
- gli importatori dei prodotti in causa devono avere la possibilità di chiedere una deroga al divieto d'importazione, dimostrando che
l'additivo non è pericoloso per la salute e che il suo uso è necessario per ragioni tecniche (ad esempio per esigenze di trasporto);
- nel caso la deroga non sia concessa, gli importatori devono poter impugnare la relativa decisione negativa in via giurisdizionale.
5.7. Soluzioni particolarmente originali sono state raggiunte dalla Corte in materia di protezione della proprietà
industriale e commerciale.
Va innanzitutto ricordato che la Corte ha accolto una nozione alquanto ampia di proprietà industriale e
commerciale, includendovi non solo i diritti di brevetto per invenzioni industriali e i marchi d'impresa, ma anche i
diritti d'autore (sent. 1981 Membran) e i diritti di brevetto per modelli industriali e disegni ornamentali (sent. 1982,
Keurkoop) e le denominazioni d'origine geografica (sent. 1992 Delhaize).
In mancanza di misure d'armonizzazione a livello di Unione, i diritti di proprietà industriale e commerciale hanno
carattere territoriale: ciascuno Stato membro accorda diritti del genere per quanto riguarda il rispettivo territorio
nazionale. Il titolare di un diritto di proprietà industriale o commerciale ha il potere esclusivo di sfruttarlo
economicamente sul territorio dello Stato membro secondo la cui legislazione il diritto gli è stato accordato.
Fra i diritti che spettano al titolare vi è quello di opporsi all'importazione di prodotti provenienti da altri Stati membri
in violazione del suo diritto esclusivo (es. prodotti fabbricati sfruttando abusivamente il procedimento brevettato). Ciò
ostacola la libera circolazione di determinate merci. L'art. 36 prevede in proposito una deroga al divieto di cui all'art.
34, deroga che però va interpretata in senso restrittivo. La giurisprudenza infatti distingue tra esistenza del diritto
ed esercizio dello stesso: "seppure il trattato non influisce sull’esistenza di diritti attribuiti dalle leggi di uno Stato
membro in fatto di proprietà industriale e commerciale, è possibile, in determinate circostanze, che i divieti sanciti dal
trattato influiscano sull'esercizio dei suddetti diritti" (sent. 1978, Hoffmann-La Roche; conf. sent. 1978 Centrafarm).
I casi esaminati dalle due sent. cit. riguardavano entrambi marchi apposti a prodotti farmaceutici. Nel primo caso, Hoffmann-La Roche,
titolare, del marchio Valium in vari Stati membri, tra cui la Germania e il Regno Unito, si opponeva a che Centrafarm importasse in Germania
il prodotto in questione, dopo averlo acquistato nel Regno Unito (dove la filiale di Hofmann-LaRoche lo vendeva a prezzi più bassi) e averlo
riconfezionato conformemente al tipo di confezione venduta sul mercato tedesco, riapponendovi il marchio Valium. La Corte era chiamata a
stabilire se un comportamento del genere da parte di Hoffmann-LaRoche rientrasse tra le forme di esercizio del diritto di marchio per le quali
è invocabile l'art. 36. Secondo la Corte "occorre tener conto della funzione essenziale del marchio, che consiste nel garantire al consumatore o
all'utilizzatore finale la provenienza del prodotto contrassegnato, consentendogli di distinguere senza alcuna possibilità di confusione tale
prodotto da quelli di diversa provenienza; tale garanzia implica per il consumatore o l'utilizzatore finale la certezza che il prodotto
contrassegnato non ha subito in una precedente fase della distribuzione alcun intervento da parte di un terzo, senza l'autorizzazione del
titolare del marchio, che ne abbia alterato lo stato originario". La Corte ne deduce che "è giustificato, in base all'art. 36, prima frase,
riconoscere al titolare del marchio il diritto di opporsi a che l'importatore di un prodotto di marca, dopo aver riconfezionato la merce,
apponga il marchio, senza autorizzazione del titolare, su tale nuovo imballaggio". La Corte tuttavia si domanda se un tale comportamento da
parte del titolare del marchio non costituisca una restrizione dissimulata al commercio ai sensi dell'art. 36. Essa ritiene che una restrizione
del genere "potrebbe risultare, fra l'altro, dal comportamento del titolare del marchio il quale mettesse in commercio in più Stati membri lo
stesso prodotto in confezioni diverse e facesse valere i diritti inerenti al marchio per impedire il riconfezionamento da parte di un terzo, anche
se tale operazione venisse effettuata in condizioni tali da non incidere sulla provenienza e sullo stato originario del prodotto contrassegnato
dal marchio". La Corte conclude nel senso che "si tratta quindi di stabilire se il riconfezionamento di un prodotto di marca, così come è stato
effettuato nella fattispecie dalla Centrafarm, possa alterare lo stato originario del prodotto stesso".
Lo scopo della distinzione fra esistenza ed esercizio del diritto viene meglio chiarita nella sent. 1982 Keurkoop: la
Corte ricorda come, ai sensi dell'art. 36, "il contemperamento delle esigenze della libera circolazione delle merci con il
rispetto dovuto ai diritti di proprietà industriale e commerciale va realizzato in modo da tutelare il legittimo esercizio dei
diritti attribuiti dagli ordinamenti nazionali, rifiutando, invece, la tutela di ogni abuso di tali diritti, atto a conservare o a
creare artificiali suddivisioni nell'ambito del mercato comune".
Per distinguere tra forme di esercizio legittime ed abusive, la giurisprudenza fa perno sull'idea di "oggetto specifico" e
di "funzione essenziale" del diritto di proprietà industriale e commerciale.
Ad esempio, in materia di marchi, la Corte ha affermato che l'oggetto specifico di tale diritto "consiste segnatamente nel garantire al titolare
il diritto di utilizzare il marchio per la prima immissione in commercio del prodotto e di tutelarlo in tal modo dalla concorrenza che volesse
abusare della posizione e della notorietà del marchio vendendo prodotti indebitamente contrassegnati" (sent. 1990 Hag).
5.8. Un caso emblematico di applicazione della distinzione si è avuta con riguardo al principio dell'esaurimento del
diritto di privativa. Tale fenomeno si realizza all'atto della prima immissione in commercio del prodotto brevettato o
munito di marchio nel territorio di uno qualsiasi degli Stati membri (o di uno Stato membro dello Spazio economico
europeo) quando l'immissione sia stata effettuata dal titolare stesso del diritto o con il suo consenso, o anche da un
soggetto legato al titolare da vincoli di dipendenza giuridica o economica (sent. 1981, Membran, cit., sent. 1981
Dansk Supermarked, sent. 1985 Pharmon, sent. 1994 Ideal Standard). Una volta che ciò sia avvenuto, il titolare del
diritto non può opporsi all'importazione in altri Stati membri del prodotto protetto, indipendentemente dalle
condizioni in cui la prima commercializzazione sia in concreto avvenuta (sent. 1981, Membran cit., sent. 1981 Merck,
e sent. 1996 Merck).
Nel caso esaminato dalla prima sent. Merck, ad es., si trattava di prodotti farmaceutici coperti da brevetto in tutti gli Stati membri ma non in
Italia, dal momento che la legislazione italiana dell'epoca escludeva la brevettabilità dei farmaci. La Corte ritiene che Merck, avendo scelto di
far commercializzare i prodotti in questione anche in Italia, non poteva più opporsi all’importazione di tali prodotti in altri Stati membri.
Nel quadro della descritta giurisprudenza, diventa cruciale accertare se vi sia stato o meno consenso del titolare
all’immissione in commercio: il consenso è stato escluso qualora il prodotto sia stato fabbricato e immesso in
commercio dal titolare di una licenza "obbligatoria" di brevetto, non volontariamente concessa dal titolare del diritto
(sent. 1985, Pharmon, cit.; v., per un caso analogo, sent. 1988, Alien & Hanburys).
Nemmeno può parlarsi di consenso nel caso di prodotti contrassegnati da un medesimo marchio, del quale, tuttavia,
sono titolari, in Stati membri diversi, soggetti che hanno acquisito il diritto al marchio in maniera del t