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Effetti diretti delle direttive nell'ordinamento interno

(QUINDI NB: SE LA NORMA E' DIRETTAMENTE APPLICABILE O PRODUCE EFFETTI DIRETTI (REGOLAMENTI O DISPOSIZIONI DI DIRETTIVE) IL GIUDICE NAZIONALE DISAPPLICA LA NORMA INTERNA; SE LA NORMA NON E' DIRETTAMENTE APPLICABILE ALLORA OBBLIGO DI INTERPRETAZIONE CONFORME).

Il fatto che la direttiva richieda una mediazione del diritto interno non esclude che, anche indipendentemente da quella mediazione, disposizioni di una direttiva possano esplicare effetti in tale ordinamento e far sorgere situazioni giuridiche soggettive in capo ai singoli, aprendo la possibilità di farle valere dinnanzi a giudici nazionali (NB: purché siano disposizioni sufficientemente chiare e precise): si tratta dei cosiddetti effetti diretti verticali. La ratio è di dare agli individui una garanzia contro comportamenti scorretti o negligenti dello stato, che finirebbero altrimenti per avvantaggiare quest'ultimo grazie ad un suo inadempimento (principio dell'effetto utile). E' escluso.

Invece che le direttive possano produrre effetti diretti orizzontali, cioè possano far sorgere in capo ai privati diritti nei confronti di altri privati, o effetti diretti verticali all'inverso, cioè possano far sorgere diritti in capo allo stato nei confronti di privati: i destinatari degli obblighi delle direttive infatti sono sempre e solo gli stati, mai i privati.

Le decisioni, invece, mentre in passato erano atti di portata individuale, oggi sono atti ambivalenti, suscettibili cioè di avere a seconda dei casi portata individuale o generale. Secondo l'art 288 TFUE infatti, le decisioni SE designano i destinatari sono obbligatorie solo nei confronti di questi.

Nonostante le decisioni siano tipicamente usate come strumento di azione amministrativa, più frequentemente si è cominciato a fare un loro uso anche in chiave normativa come atti generali. In alcuni casi sono proprio i trattati a prevedere che le istituzioni debbano usare lo strumento.

Delle decisioni, come ad esempio nel quadro della PESC in cui sono l'unico strumento a disposizione del consiglio, oppure per le delibere che il consiglio europeo deve adottare in virtù di una norma dei trattati.

A differenza delle direttive che sono rivolte solo agli stati, le decisioni possono avere come destinatari qualsiasi categoria di soggetti di diritto dell'unione. Inoltre un ulteriore differenza sta nel fatto che le decisioni sono direttamente applicabili negli ordinamenti nazionali al pari dei regolamenti.

In analogia con le direttive invece, il carattere obbligatorio delle decisioni si impone a tutti gli organi dello stato destinatario, producendo effetti diretti verticali: le disposizioni fanno sorgere diritti nei confronti dei singoli che i giudici nazionali hanno il dovere di tutelare. La corte di giustizia europea ha invece escluso che le decisioni indirizzate a stati membri possano produrre effetti diretti orizzontali (cosa che invece accade con i regolamenti).

altri atti tipici dell'unione e gli atti atipici Accanto ai 3 tipi di atti dell'art 288 TFUE il sistema giuridico dell'unione conosce una serie di altri atti di varia natura e configurazione: alcuni di questi sono contemplati dagli stessi trattati, altri sono frutto unicamente della prassi delle istituzioni, ma sono tutti accomunati dal fatto di non costituire in linea di principio fonti normative. Ciò non significa tuttavia che si tratti in tutti i casi di atti privi di effetti giuridici. L'art 288 TFUE prevede altri due atti tipici, di cui le istituzioni si avvalgono per l'esercizio di attività non normativa: le raccomandazioni e i pareri, che lo stesso articolo definisce espressamente non vincolanti. Mentre i pareri sono lo strumento attraverso cui un'istituzione fa conoscere la propria valutazione su una determinata questione, le raccomandazioni sono utilizzate per lo più dal consiglio o dalla commissione per fornire agli stati membri o ad

Altri soggetti indicazioni comportamentali non vincolanti: chiaramente si tratta di atti che pur non essendo vincolanti possono produrre effetti giuridici significativi (ad esempio alcuni pareri negativi paralizzano l'attività di un istituzione). Il consiglio e la commissione fanno poi usualmente ricorso ad ulteriori tipi di atti non espressamente menzionati nei trattati (ATTI ATIPICI): le conclusioni, con cui il consiglio di solito esprime la sua posizione rispetto ad una questione particolarmente delicata; le risoluzioni, con cui il consiglio di solito definisce i lavori futuri previsti in uno specifico settore; le comunicazioni, o gli orientamenti, o le linee direttrici della commissione, tutti strumenti con cui tale istituzione fa conoscere ai soggetti interessati come essa interpreta una sua competenza o con che modalità intende esercitarla. Vanno infine menzionati gli accordi interistituzionali, strumento espressamente previsto dall'art 295 TFUE: il parlamento europeo,

Il consiglio e la commissione possono concludere accordi interistituzionali:

  1. al fine di definire di comune accordo le modalità di una reciproca collaborazione in alcuni settori
  2. al fine di esternare una comune posizione su una data questione di rilievo

Mentre nel secondo caso gli accordi interistituzionali hanno più un valore politico, nel primo caso impregnano le istituzioni che li concludono e quindi assumono valore vincolante: chiaramente il vincolo sussisterà solo nei confronti delle istituzioni che li hanno concluso.

IL PROCESSO DECISIONALE - Introduzione

Il processo decisionale dell'unione europea vede di regola la partecipazione di più istituzioni e organi. Tale partecipazione fra l'altro non avviene sempre con le medesime modalità. Sia l'identità delle istituzioni/organi coinvolti, sia le modalità di partecipazione dipendono dal contenuto dell'atto da adottare, dato che è la base giuridica.

Dell'atto che offre le necessarie informazioni. Le norme dei trattati che disciplinano i processi decisionali delle istituzioni sono assolutamente inderogabili: solo i trattati possono, in casi specifici, autorizzare un istituzione a utilizzare una procedura decisionale diversa da quella prevista.

Il consiglio è il centro di gravità del processo decisionale, dato che praticamente non esiste atto la cui emanazione non richieda l'intervento del consiglio. Tuttavia il potere decisionale del consiglio è bilanciato dalla partecipazione al processo decisionale di istituzioni e organi espressivi di interessi differenti diversi da quelli dei governi. Un discorso a parte va fatto per le procedure decisionali nell'ambito dell'azione esterna dell'unione, le quali presentano caratteristiche peculiari in ragione delle regole specifiche che governano l'azione esterna o per la particolarità degli atti da adottare (che coinvolgono soggetti esterni).

All'UE (vedremo in altro capitolo).-

Le procedure legislative sono anche definite procedure "principali", perché mirano all'adozione di discipline di base nei vari settori di competenza dell'unione sulla base di decisioni finali del consiglio. Vi sono diverse varianti di procedure legislative, ognuna delle quali a modo suo riflette il punto di equilibrio fra i vari organi che prendono parte al processo decisionale, anche se il punto di equilibrio principale è sicuramente quello fra le 3 istituzioni politiche onnipresenti in tutti questi processi: il consiglio, rappresentativo degli interessi degli stati membri (o meglio dei governi degli stati membri), il parlamento europeo, rappresentativo degli interessi dei cittadini dell'unione, e la commissione, rappresentativa dell'interesse generale dell'unione.

Storicamente l'equilibrio fra queste 3 istituzioni è stato difficile da costruire. Il primo

L'elemento importante nell'evoluzione del processo decisionale dell'unione è rappresentato dall'adozione di modalità di voto più democratiche: oggi infatti, non solo il parlamento ma anche il consiglio deliberano utilizzando modalità di voto basate su un criterio demografico (per il parlamento ciò è implicito nella proporzionalità degressiva su cui si basa la sua composizione, mentre per il consiglio questo carattere discende dal meccanismo della maggioranza qualificata). Il secondo elemento importante è l'evoluzione che ha riguardato il ruolo del parlamento europeo: prima infatti il processo decisionale era espressione pressoché esclusiva degli interessi intergovernativi, avendo il parlamento europeo il potere di formulare un semplice parere sulle proposte della commissione; con l'AUE del 1986 però è stata introdotta la procedura di cooperazione, ai sensi della quale il consiglio poteva

adottare l'atto finale a maggioranza qualificata in caso di parerefavorevole del parlamento europeo, oppure all'unanimità in caso di parere sfavorevole del parlamento; con iltrattato di Maastricht è stata introdotta la procedura di codecisione, che ha portato alla sostanzialeequiparazione di ruoli fra parlamento e consiglio, visto che l'atto normativo non può essere adottato senzal'accordo fra le sue istituzioni. Questo cammino è arrivato alla conclusione con il trattato di Lisbona: lapartecipazione a qualsiasi titolo del parlamento europeo accanto al consiglio nella proceduradecisionale, fa della relativa procedura una procedura legislativa e dell'atto che ne deriva un attolegislativo; la procedura di codecisione diventa la procedura legislativa ordinaria (art 289 par 1 TFUE),mentre l'adozione di un atto da parte del parlamento europeo con la partecipazione del consiglio, ol'adozione di un atto da parte del consiglio con

La partecipazione del Parlamento europeo costituisce una procedura legislativa speciale (art. 289 par. 2 TFUE). Nelle procedure legislative speciali, la partecipazione delle istituzioni assume forme molto diverse a seconda dei casi. L'applicabilità in concreto dell'una o dell'altra procedura dipende dal contenuto dell'atto da adottare, dato che è la base giuridica di questo a designare la procedura decisionale con cui debba essere adottato l'atto. Spetta quindi a chi propone l'atto o a chi lo adotta individuare la base giuridica corretta, e tale scelta deve avvenire sulla base di criteri oggettivi suscettibili di sindacato giurisdizionale. Quando ad un atto siano applicabili più basi giuridiche, esso deve essere fondato unicamente sulla base giuridica (e quindi adottato con la procedura) richiesta dalla finalità o dalla componente principale. Ma può anche accadere che non esista uno scopo o una componente prevalente.

all'interno dell'atto, essendo questi inscindibili fra di loro: in tal caso entra in gioco il rapporto che sussiste fra le basi giuridiche. Infatti, qualora le basi giuridiche prevedano la medesima procedura, allora esse possono essere cumulate e l'atto viene adottato. Qualora invece l'atto non sia previsto dalle basi giuridiche, allora non può essere adottato.
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A.A. 2019-2020
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SSD Scienze giuridiche IUS/14 Diritto dell'unione europea

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Simo.Russo di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto dell'unione europea e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Amalfitano Chiara.