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L’art. 32 si riferisce inoltre ai contenuti audiovisivi relativi a eventi di grande interesse pubblico, trasmessi in via esclusiva da
singole emittenti ma con diritto delle altre di trasmettere brevi estratti di cronaca nei propri notiziari di carattere generale,
con durata limitata e indicando la fonte. Vi è inoltre un insieme di eventi considerati di particolare rilevanza per la società, a
cui è assicurata la possibilità di diffusione su palinsesti in chiaro. L’individuazione di tali eventi spetta all’Agcom, che ne
redige una lista (che comprende ad esempio olimpiadi e finali di campionati del mondo di calcio) e determina se le
trasmissioni debbano avvenire in diretta o in differita e in forma integrale o parziale.
Tra gli ulteriori impegni in capo al servizio pubblico generale radiotelevisivo molti riguardano la programmazione generale
(non solo informativa). Esso deve infatti favorire istruzione, crescita civile, progresso sociale, diffusione della lingua italiana e
della cultura, salvaguardia dell’identità nazionale e prestazioni di utilità sociale. L’art. 45 impone un numero adeguato di ore
di trasmissioni televisive e radiofoniche dedicate a educazione, informazione, formazione, promozione culturale,
valorizzazione di opere artistiche riconosciute come maggiormente di qualità o innovative.
Gli art. 6 e 44 obbligano invece tutti gli operatori a promuovere distribuzione e produzione di opere europee per la maggior
parte del tempo di trasmissione (non meno del 40%), di cui almeno il 10% dev’essere dedicato a opere degli ultimi 5 anni.
In tal modo si cerca infatti di difendere il mercato europeo della produzione audiovisiva dalla pressione competitiva esercitata
dalla produzione americana.
A ciò si aggiunge l’obbligo di investire il 10% degli introiti netti annui raccogli dalle emittenti a finanziare, produrre e
acquistare opere di produttori indipendenti, al fine di promuovere un’effettiva varietà di punti di vista anche all’interno della
stessa produzione europea.
Si sono affermati operatori che svolgono la propria attività esclusivamente attraverso la rete, identificati come operatori Over
The Top (OTT).
Internet è inoltre un archivio potenzialmente illimitato di informazioni e contenuti, con evidenti ripercussioni positive per il
pluralismo informativo. Tuttavia, l’aspetto prioritario per tale garanzia è rappresentato dall’accesso alla rete. Essendo l’utente
di Internet non soltanto un consumatore, ma anche un produttore di informazioni e contenuti, limitare l’accesso pregiudica le
esigenze informative non solo dell’interessato, ma anche degli altri utenti. Nasce quindi una nuova forma di disuguaglianza
detta digital divide. È quindi fondamentale riconoscere al diritto ad Internet una tutela costituzionale. Rodotà ha infatti
proposto l’inserimento di un art. 21-bis che sancisca l’eguale diritto di accedere alla rete, in condizioni di parità e
adeguatezza tecnologica, rimuovendo ogni ostacolo economico e sociale. Ciò porterebbe lo Stato ad occuparsi di idonee
infrastrutture ed educazione sul tema.
Tra gli obiettivi fissati nell’Agenza digitale italiana, promossa nel 2012 in risposta all’Agenza digitale europea, troviamo
l’introduzione di regole capaci di favorire la creazione, ad opera di privati, di reti alternative a quelle dell’operatore
dominante, anche attraverso un sostegno economico.
È necessario inoltre assicurare la diffusione di informazioni in modo paritario, senza che la tipologia e la provenienza del
contenuto incidano sulla possibilità di accesso. Tale caratteristica di neutralità della rete (net neutrality) è messa però in
discussione dalla possibilità di attuare pratiche di controllo e gestione dei dati (network management), divenute necessarie
per garantire il corretto funzionamento della rete a fronte del numero crescente di contenuti veicolati, per contrastare
pirateria e criminalità informativa. Le società fornitrici dell’accesso alla rete (access provider) possono infatti bloccare o
rallentare la velocità di accesso a servizi o contenuti in concorrenza con i propri, nonché introdurre tariffe differenziate. La
normativa comunitaria con la direttiva 2009/140/CE ha imposto quindi ai regolatori nazionali di tutelare gli interessi dei
cittadini europei, promuovendo la capacità degli utenti finali di accedere a informazioni, distribuirle o eseguire applicazioni e
servizi. È stato inoltre introdotto l’obbligo di trasparenza degli operatori di rete che adottano pratiche di network
management, che devono quindi esplicitare nel contratto di fornitura le condizioni che limitano l’accesso o l’utilizzo di servizi
e applicazioni. Il regolamento UE2015/2120 del 25 novembre 2015 ha poi introdotto per tutti i fornitori di accesso ad
internet un divieto di ordine generale secondo cui essi non bloccano, rallentano, alterano, limitano, interferiscono con,
degradano o discriminano tra specifici contenuti, applicazioni o servizi.
I soggetti che svolgono la funzione di intermediari tra chi accede alla rete e chi offre contenuti (internet service provider
come Microsoft, Apple, Google, Yahoo e Facebook) hanno assunto una posizione di notevole forza di mercato. È stato quindi
tentato di estendere la misura di contrasto delle posizioni dominanti lesive del pluralismo anche ad Internet, includendo tra i
ricavi dei mezzi di comunicazione del SIC, oltre che gli introiti della pubblicità online e sulle diverse piattaforme in forma
diretta, le risorse raccolte da motori di ricerca, piattaforme sociali e di condivisione. È tuttavia difficile determinare l’attività
propriamente informativa svolta rispetto a quella commerciale e ludica. Vi è inoltre una controversa qualificazione giuridica
degli internet service provider, rispetto all’idea di considerarli semplici intermediari o fornitori di contenuti, con particolare
riferimento ai motori di ricerca e ai siti di social network.
I primi, nell’ordinare le fonti relative a un’informazione, operano tuttavia una scelta che influenza i lettori o avvantaggia
alcuni editori, garantendo la visibilità di una fonte rispetto alle altre (readership). Emerge quindi per alcuni la necessità di
garantire la search neutrality, che assicura che la selezione di ciò che è o meno rilevante non resti affidata all’arbitrio di
algoritmi orientati da considerazioni commerciali.
7 – Il ruolo del servizio pubblico radiotelevisivo nell’ordinamento nazionale ed europeo (Bianco Longo)
La Rai nacque allo scopo di favorire l’identità della nazione e l’unità culturale. Le sue origini risalgono all’Uri (Unione
Radiofonica Italiana), nata nel 24 e poi trasformata dal r.d.l. 17 novembre 1927 n.2207 in Eiar (Ente Italiano per le Audizioni
Radiofoniche), controllata dalla SIP. Nel 44 la denominazione cambia in RAI – Radio Audizioni Italia, he nel giro di un
decennio la risulterà detenuta per la maggior parte delle azioni dall’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale). Nel 54 la
concessionaria diventa RAI – Radiotelevisione italiana. La nomina del Consiglio di amministrazione spettava alla Presidenza
del consiglio dei ministri e a ei ministeri, mentre dal Ministro delle poste e delle telecomunicazioni dovevano essere
approvate le designazioni presidenziali e lo statuto della concessionaria. La modalità di finanziamento è ora rappresentata dal
canone di abbonamento. La RAI viene quindi considerata il principale canale di edificazione della coscienza pubblica.
La l. 103/1975 introdusse il valore del pluralismo, accolse l’esigenza di proteggere gradualmente la gestione del servizio dalle
influenze del Governo (in un’ottica di maggiore partecipazione parlamentare) e istituì il Terzo programma. Affinché il potere
radiotelevisivo venga asservito ai valori portanti del sistema costituzionale, si decise di procedere all’istituzione della
Commissione parlamentare per l’indirizzo generale e la vigilanza dei servizi radiotelevisivi e alla statuizione degli obblighi
della società concessionaria. 6 dei 16 membri del Consiglio di amministrazione vengono nominati ora dall’assemblea dei soci
(costituita dall’IRI), mentre la Commissione di vigilanza nomina i rimanenti 10. Il direttore viene nominato dal Consiglio,
organo centrale della gestione della RAI, fortemente legato al Parlamento. L’ossequio alla democrazia si traduce tuttavia in
asservimento del servizio pubblico a spinte e logiche partitiche col fenomeno della “lottizzazione” della RAI, che a causa della
spartizione interna tra rappresentanze politiche compromette la qualità del sistema.
L’intervento del Governo portò al d. 20 ottobre 1984 n. 694 alla prosecuzione delle attività private, consentite senza che vi
fosse una disciplina antitrust a contenerle. La riforma transitoria della l. n. 206/1993 (Mammì) ridusse il Consiglio di
amministrazione a 5 membri, nominati dai presidenti delle Camere, con poteri di controllo e di garanzia, nonché di nomina
del direttore generale, d’intesa con l’assemblea dei soci, espressiva del governo. Si assiste inoltre nello stesso periodo alla
privatizzazione dell’Iri, il sorgere della RAI Holding S.p.a. (posseduta interamente dal Ministero dell’economia e delle finanze)
e l’affidamento del servizio pubblico radiotelevisivo alla società per altri 20 anni.
L’avvento della tecnologia digitale (switch-off) ha portato a dover coprire integralmente il territorio nazionale, realizzando e
gestendo gli impianti per la diffusione del digitale terrestre. La legge Gasparri si propose inoltre la diffusione della cultura
italiana all’estero.
Si giunse così all’elaborazione del Testo unico dei servizi di media audiovisivi e radiofonici, col d.lgs. 31 luglio 2005, n. 177. Il
Consiglio di amministrazione viene ora composto da 9 membri in carica per 3 anni, scelti tra persone di riconosciuto
prestigio, competenza professionale e indipendenza di comportamenti. 7 dei 9 solo eletti dalla Commissione parlamentare
per l’indirizzo generale e la vigilanza, i 2 restanti (tra cui il presidente), dal socio di maggioranza, ossia il Ministro
dell’economia. Il Consiglio di Amministrazione, d’intesa con il Ministro dell’economia, nomina il direttore generale della
società. La presenza del potere di Governo e Parlamento pregiudicherà tuttavia il corretto espletamento del servizio pubblico
nelle piene condizioni di pluralismo che la legge impone.
L’esperienza inglese della società concessionaria BBC (British Broadcasting Corporation) si mostra esemplare in termini di
trasparenza nella gestione delle risorse finanziarie e di indipendenza e autorevolezza della governance. Essa è affidata al
Royal Charter e all’Agreement, che impongono l’orientamento ad high quality, challenging, original, innovative ed engaging.
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