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La funzione giurisdizionale

Una definizione complessiva della funzione giurisdizionale deve conciliare due profili essenziali:

quello soggettivo e quello oggettivo. In relazione al primo profilo, si dà rilievo alla natura del

soggetto cui spetta la decisione, ogni qual volta determinate attività sono attribuite alla

competenza di soggetti appartenenti al corpo giudiziario. In relazione al secondo profilo, invece, si

dà rilievo al carattere oggettivamente giurisdizionale dell’attività svolta, a prescindere dal fatto

che chi decide appartenga al corpo giudiziario oppure no.

Nessuno dei due profili è sufficiente da solo a definire la complessa realtà della funzione

giurisdizionale. Cercando di considerarli insieme, si può allora definirla come funzione diretta

all’applicazione della legge, attivata da impulso delle parti, per risolvere un conflitto o una

controversia, esercitata ad opera di un soggetto terzo (terzietà del giudice), vincolato solo alla

legge, nel rispetto del principio del contraddittorio fra le parti, della pubblicità del procedimento e

della motivazione delle decisioni. Il giudice deve essere passivo nel senso che non spetta al giudice

promuovere l’azione (presupposto al tempo stesso della sua terzietà); deve essere terzo rispetto

alle parti (un giudice non equidistante non sarebbe accettato da entrambe le parti); deve essere

vincolato solo alla legge, non deve cioè ricevere istruzioni (su come giudicare) né dettare lui stesso

il parametro in base al quale decidere la controversia che ha davanti; il contraddittorio garantisce

che ciascuna parte possa farsi sentire dal giudice in condizioni di parità;

la pubblicità del procedimento è garanzia della sua correttezza, mentre la motivazione serve a

consentire forme di controllo successivo (da parte di un altro giudice che per questo è chiamato di

secondo grado).

A seconda del tipo di giurisdizione, diversi sono nome e ruolo delle parti in causa con riferimento

al soggetto che inizia l’azione e a quello che la subisce o la contrasta: si chiamano attore e

convenuto nel processo civile; pubblico ministero (che rappresenta la potestà punitiva dello stato)

e imputato nel processo penale; ricorrente e resistente nel processo amministrativo (nel quale a

resistere è sempre la pubblica amministrazione).

Differenza della funzione giurisdizionale rispetto:

a) Alla funzione legislativa, il cui compito è produrre norme e la cui espressione tipica è la

legge.

b) Alla funzione esecutivo-amministrativa, il cui compito è dare esecuzione a norme di legge,

ma non in posizione di terzietà né con la specifica finalità di risolvere una controversia,

bensì con lo scopo più generale di perseguire i pubblici interessi attraverso l’adozione di

atti e provvedimenti amministrativi.

Tipica espressione della funzione giurisdizionale è la sentenza: cioè l’atto processuale del giudice

col quale questi risolve la questione sottoposta alla sua attenzione (mentre si chiamano ordinanza

e decreto gli atti del giudice che non definiscono il procedimento, ma ne regolano lo sviluppo).

L’organizzazione giudiziaria. La giurisdizione ordinaria

Secondo l’art. 102 Cost., «la funzione giurisdizionale è esercitata da magistrati ordinari istituiti e

regolati dalle norme sull’ordinamento giudiziario». I giudici ordinari hanno una giurisdizione

generale in materia civile e penale: essi rappresentano la gran parte dei magistrati attualmente in

servizio (sono circa 6.500 su quasi 8.700). L’organizzazione della giustizia ordinaria ha una

dimensione orizzontale, di diffusione sul territorio nazionale, attraverso i distretti giudiziari nei

quali è ripartita, e una verticale, interna a ogni singolo ufficio giudiziario nonché tra gli uffici di un

determinato distretto (giudici di primo grado e giudici di secondo grado). Al vertice è posta

la Corte di cassazione, con sede in Roma.

Le norme sull’ordinamento giudiziario sono contenute nel r.d. 30 gennaio 1941, n. 12,

modificato molte volte.

La giurisdizione ordinaria si articola, dunque, in 26 distretti giudiziari, i quali fanno capo ad

altrettante corti d’appello, per lo più corrispondenti al territorio di una regione (più 3 sezioni

distaccate). I diversi uffici giudiziari trovano sede all’interno dello stesso distretto, suddiviso a

tale scopo in 165 circondari.

Per le cause in materia civile sono previsti:

• il giudice di pace, che ha una competenza limitata a cause «minori» e decide da solo (giudice

monocratico); le sue sentenze si impugnano presso il tribunale (v. l. 374/1991);

• il tribunale, che può decidere a seconda dei casi in composizione monocratica o collegiale

(collegio formato da tre giudici); le sue sentenze si impugnano presso la corte d’appello;

• la corte d’appello, giudice collegiale (tre giudici) di secondo grado.

Per i procedimenti in materia penale sono previsti:

• il giudice di pace, ma solo per reati minori, le cui decisioni sono appellabili presso il tribunale

(v. d.lgs. 274/2000);

• il tribunale, giudice di primo grado (in composizione monocratica o collegiale secondo il tipo

di reato); le sue decisioni sono appellabili presso la corte d’appello;

• la corte d’appello, giudice collegiale (tre giudici) di secondo grado.

Per i reati più gravi, a tribunali e corti d’appello si affianca la corte d’assise, le cui decisioni

possono essere appellate presso la corte d’assise d’appello: organi collegiali caratterizzati dal

fatto che, a fianco di due giudici di carriera, siedono sei giudici popolari (cittadini dotati di

determinati requisiti di capacità, estratti a sorte e tenuti a esercitare tale funzione).

La distribuzione del lavoro tra i diversi giudici è attuata in base al criterio della competenza per

cui, a seconda della tipologia del caso, è previsto che il processo si svolga presso un giudice

piuttosto che un altro.

Invece la possibilità di ricorso in cassazione contro le sentenze di appello si limita alle

sole questioni di legittimità: quelle che attengono al rispetto della legge e delle norme di

procedura che disciplinano lo svolgimento del processo, senza coinvolgere il merito della

questione (chi ha torto e chi ha ragione).

Tra le funzioni della Corte di cassazione, fondamentale è quella di assicurare l’esatta osservanza e

l’uniforme interpretazione della legge. Si tratta della funzione nomofilattica: la Corte di cassazione

decide in realtà intorno a singoli casi concreti ad essa sottoposti; laddove ritenga che il giudice di

merito abbia applicato in modo non corretto la legge, può disporre l’annullamento della sentenza,

normalmente rinviando ad altro giudice di merito, in modo che questo possa ripetere il processo

anche solo in parte applicando la corretta regola giuridica quale individuata dalla Corte di

cassazione. Le sue interpretazioni, ufficialmente sintetizzate in massime, costituiscono un

precedente dal quale difficilmente si allontanano i giudici che si trovino a giudicare casi analoghi.

Accanto ai magistrati con funzioni giudicanti, di cui si è detto fin qui, si collocano i magistrati

con funzioni requirenti (sono circa 2.200). Sono questi i magistrati del pubblico ministero (p.m.),

concentrati in uffici istituiti presso i corrispondenti uffici giudicanti: presso ogni tribunale vi è

una procura della Repubblica; presso ogni corte d’appello una procura generale della Repubblica;

infine, la procura generale presso la Corte di cassazione. Con funzioni specializzate è istituita

presso la procura generale della Corte di cassazione la direzione nazionale antimafia e

antiterrorismo, diretta da un procuratore nazionale antimafia e antiterrorismo, che assicura il

coordinamento di tutte le indagini contro la criminalità organizzata e le organizzazioni

terroristiche; in ogni distretto di corte d’appello è istituita presso la procura del tribunale del

capoluogo la direzione distrettuale antimafia.

I magistrati requirenti, che non sono dunque giudici, appartengono nel nostro ordinamento allo

stesso corpo dei magistrati giudicanti e, a differenza di quasi tutti gli altri paesi, non è prevista

una carriera separata. Il passaggio da magistrato requirente a magistrato giudicante può

avvenire solo quattro volte in carriera e dopo aver svolto la funzione che si vuol lasciare per

almeno cinque anni; inoltre il magistrato deve cambiare sede (v. art. 13 d.lgs. 106/2006). Il

compito dei magistrati requirenti non è quello di giudicare una controversia, ma perseguire

l’interesse generale della giustizia. Perciò i pubblici ministeri svolgono attività di stimolo rispetto

a un giudizio in corso: in particolare, nel campo della giustizia penale, hanno l’obbligo di

esercitare (cioè di avviare, di iniziare) l’azione penale (art. 112 Cost.) e svolgono le indagini sulle

notizie di reato per mezzo della polizia giudiziaria (art. 109 Cost.). Essi rappresentano la pubblica

accusa: nel processo sono dunque una parte e non partecipano della passività e terzietà propria

del giudice.

La presenza di una giurisdizione tendenzialmente a competenza generale, diffusa in modo

uniforme su tutto il territorio nazionale, è una conquista del costituzionalismo liberale che si fa

risalire alla Rivoluzione francese, intesa a superare la miriade di giudici speciali. La giurisdizione a

competenza generale non è altro che una trasposizione, sul piano dell’organizzazione giudiziaria,

del principio secondo il quale tutti sono uguali davanti alla legge, e perciò anche davanti agli

uffici che la dichiarano (art. 3.1 Cost.). Per questo l’art. 102.2 Cost. fa divieto di istituire giudici

straordinari, cioè giudici creati dopo l’accadimento del fatto da giudicare, o giudici speciali, cioè

giudici con competenze ritagliate in base agli interessi o alle materie in questione (salvo eccezioni).

Questo principio si ricollega a quello dell’art. 25 Cost., in base al quale «nessuno può essere

distolto dal giudice naturale precostituito per legge»: cioè l’ufficio giudiziario individuato dalla

legge sulla base di criteri (le regole sulla competenza) determinati prima che la controversia

insorga o che sia compiuto il reato. Ciò non esclude, come prevede lo stesso art. 102.2, la

possibilità di istituire sezioni specializzate per determinate materie all’interno degli uffici della

magistratura ordinaria, anche integrate da esperti esterni, per una migliore organizzazione del

carico di lavoro (è il caso delle sezioni agrarie e delle sezioni in materia di impresa). È una sezione

specializzata anche il tribunale per i minorenni, istituito presso ogni corte d’appello.

Le giurisdizioni speciali

È l

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A.A. 2017-2018
177 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/09 Istituzioni di diritto pubblico

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher spinax di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto delle istituzioni pubbliche e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università Politecnica delle Marche - Ancona o del prof Trucchia Laura.