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TECNICI DI CONTROLLO SU ORGANI E SU ATTI, GIUSTIZIA POLITICA,
NORMATIVA EXTRA JURIS ORDINEM.
Le modalità attraverso cui un ordinamento tutela le sue istituzioni possono essere:
1) Prevedere “criteri di strutturazione” dell'ordinamento; ad esempio
assegnando poteri ad organi collegiali che sono tenuti a svolgere le loro funzioni
nel rispetto di precise “istruzioni” fornite dalla costituzione, e prevedendo un
controllo reciproco tra i vari organi costituzionali.
2) Prevedere delle modalità di tutela del testo costituzionale; prevedere cioè la 31
“rigidità” della costituzione, espressi divieti e limiti alla revisione ed organi con il
compito di vigilare sulla costituzionalità degli atti normativi adottati dal Governo o
dal Parlamento.
Il controllo per verificare se gli atti legislativi e amministrativi sono conformi al
dettato costituzionale può essere di due tipi:
Controllo politico.
– Sono gli stessi organi che esercitano la funzione di indirizzo a verificare la
costituzionalità dell'atto adottato; il controllo ha carattere preventivo
rispetto all'entrata in vigore dell'atto, può essere suscitato dalla richiesta di
un organo costituzionale e comporta, qualora si dichiari l'incostituzionalità,
la non adozione dell'atto “incriminato”.
Controllo tramite un organo politico si ha in Francia con il “Conseil
Costitutionnel” (di cui fanno parte anche gli ex presidenti della repubblica)
e si ha negli stati socialisti (dove la verifica della costituzionalità delle leggi
è compito di un apposita commissione parlamentare).
Controllo giurisdizionale.
– In questo caso la verifica è successiva all'entrata in vigore dell'atto.
Il controllo giurisdizionale può essere “diffuso”,quando ogni giudice ha il
potere di non applicare norme che secondo lui sono incostituzionali (tipico
degli ordinamenti anglosassoni in cui vige il principio del “stare decisis” e
del rispetto della sentenza di grado superiore), o “accentrato”, quando il
giudizio sulla conformità alla costituzione viene affidato ad un organo al
vertice della struttura giurisidizionale (corte costituzionale).
Il controllo giurisdizionale può essere “concreto”, quando la questione di
costituzionalità è sollevata da un giudice “a quo” su iniziativa delle parti
del processo, o “astratto”, quando le corti sono investite della questione di
costituzionalità a prescindere dall'esistenza di un processo pendente, ma
per iniziativa del governo o di una frazione dell'assemblea rappresentativa
(solitamente dall' “opposizione” nei confronti di atti adottati dalla
maggioranza).
Il controllo giurisdizionale può produrre effetti “inter pares”, quando la
decisione è vincolante solo per i soggetti che hanno preso parte al
processo in cui è stata sollevata la questione di costituzionalità, o effetti
“erga omnes”, quando la decisione ha effetti generali causando
l'annullamento della norma ritenuta incostituzionale.
Le sentenze possono avere efficacia “ex nunc”, quando la decisione
riverbera le proprie conseguenze solo verso il futuro, o efficacia “ex tunc”,
quando la decisione annulla la norma a partire dalla sua originaria
approvazione.
Alcuni ordinamenti permettono il ricorso alle corti costituzionali (previo
esaurimento dei ricorsi a livello inferiore) anche ai singoli individui quando
questi rivendicano la violazione di un loro diritto costituzionalmente
garantito.
3) Prevedere un “diritto di resistenza” popolare a difesa della costituzione
qualora gli altri meccanismi predisposti non siano in grado di salvaguardarla
(Portogallo 1976 e Repubblica Ceca).
4) Prevedere “delitti politici”, come il reato di “attentato alla costituzione” da
parte del capo dello stato previsto dalla costituzione italiana.
5) Quando non si possa fare ricorso alle modalità di tutela costituzionalmente
previste, si può agire in deroga alla costituzione sospendendola temporaneamente;
tale regime derogatorio può anche essere previsto anticipatamente nel testo
costituzionale (ad esempio, la legge fondamentale tedesca, in caso di pericolo
interno o esterno, consente significative limitazioni delle garanzie costituzionali).
L'ordinamento temporaneo si basa sul principio di necessità dello stato, e di solito
si opera una concentrazione di potere a favore di un organo costituzionale
(preesistenze o creato “ad hoc”) che interviene a difesa della costituzione senza
essere vincolato dai normali limiti di potere previsti dal testo costituzionale. 33
PARTE SECONDA: LO STATO DI DERIVAZIONE LIBERALE
CAPITOLO I LA FORMA DI STATO
Il modello-tipo dello stato liberale è fondato, a grandi linee, su due principi generali:
1) Riconoscere agli individui un carattere prioritario nella società riconoscendo a
questi una larga sfera di diritti e di garanzie che ne assicurino l'utilizzazione.
I diritti e le libertà che tipicamente riconosce lo stato liberale sono:
Principio di eguaglianza tra gli uomini (in opposizione ai privilegi ereditari
– della nobiltà monarchica).
Libertà civili (libertà di pensiero, di espressione, di circolazione ecc)
– Libertà politiche (libertà di associazione, di manifestazione, di riunione
– ecc).
Libertà economiche (proprietà privata è “sacra e inviolabile”, lo stato non
– deve intervenire e non deve disciplinare l'economia, libertà di commercio
e mercato concorrenziale).
2) Limitare quanto più possibile la concentrazione di potere in poche mani,
ripartendolo fra più organi in modo tale da permettere un controllo reciproco e un
“bilanciamento” tra di loro.
Sezione I IL POTERE LIMITATO
L'AFFERMARSI DELLO STATO LIBERALE E LA SUA EVOLUZIONE. LO STATO
SOCIALE
Lo stato liberale si sviluppò in Inghilterra a partire dal diciasettesimo secolo (in
particolare a partire dalla “gloriosa rivoluzione del 1689) per poi consolidarsi anche
negli Stati Uniti (guerra d'indipendenza 1776) e in Europa (rivoluzione francese
1789).
Le radici su cui si fondava lo stato liberale erano le esperienze di autonomia
comunale nel medioevo, la presenza di assemblee e consigli rappresentativi di
ceto, un certo grado di autonomia dei giudici rispetto al potere politico e la
limitazione dei soprusi dell'assolutismo operata dalla religione cristiana (è certo che
le lotte per la libertà religiose sono state la premessa delle lotte per la libertà
politica).
Pochi anni dopo il consolidarsi dello stato liberale, esso dovette fronteggiare la
“minaccia” sorgente dalla ideologia socialista e dall'organizzarsi delle classi
popolari ancora escluse dal potere politico (nel 1848 si ha la “Comune” di Parigi e
la scrittura del manifesto del partito comunista).
Pur combattendolo, lo stato liberale recepì alcuni valori del socialismo che
segnarono il passaggio dallo stato liberale allo stato “sociale”.:
Fu esteso il diritto di voto fino a giungere all'universalità del suffragio, con
– il conseguente ingresso sulla scena politica dei “partiti di massa”
rappresentativi delle classi sociali fino ad allora emarginate.
Cambiò il rapporto tra stato e cittadino; lo stato passò dall' essere
– “astensionista” ad essere “interventista” e “assistenziale” per
garantire il godimento di servizi anche a coloro che non possedevano i
sufficienti mezzi economici (proletariato), ai danni di una borghesia gelosa
delle proprie ricchezze.
Lo stato assunse la gestione diretta di un numero sempre più ampio di
– servizi pubblici, divenne proprietario e gestore di imprese in posizione di
monopolio (ciò avvenne in particolar modo dopo la crisi del '29 e dopo il
primo conflitto mondiale). 35
Sezione II
LA POSIZIONE DEL CITTADINO NELLO STATO
EGUAGLIANZA GIURIDICA, LA LIBERTA' E I DIRITTI DELL'UOMO
Il riconoscimento dell'eguaglianza giuridica di tutti i cittadini a prescindere dal loro
status sociale o territoriale, così come teorizzato dalla filosofia illuminista e
formalizzato in testi dall'alto valore simbolico come la la Dichiarazione dei diritti
francese del 1789, ha permesso lo sviluppo generalizzato delle libertà.
Nello stato liberale la libertà veniva definita come “la capacità giuridica del singolo
di fare tutto ciò che non nuocesse ad un altro individuo”, e soltanto l'esigenza di
garantire la libertà altrui poteva costituire un limite alla libertà individuale (limite da
fissarsi con legge).
I diritti individuali attraverso cui si esprimeva la libertà dell'uomo in quanto cittadino
venivano via via “riconosciuti” nelle costituzioni degli stati e in convenzioni
internazionali (Dichiarazione ONU 1948, CEDU 1950 ecc) che, col passare del
tempo, hanno dato vita a “modelli omogenei” di diritti condivisi da tutti i paesi
dell'area culturale ispirata ai principi liberali.
Lo sviluppo nel tempo delle discipline costituzionali e internazionali ha consentito di
individuare il succedersi di diverse “generazioni” di diritti:
1) I diritti civili e politici, le libertà “negative”.
L'esigenza iniziale dello stato liberale è stata quella di assicurare la protezione del
singolo dalle interferenze da parte del potere politico (fenomeno tipico dello stato
assoluto), e ciò comportava in capo allo stato l'obbligo di non interferire nello spazio
“privato” dei cittadini, se non per più generali motivi di ordine pubblico, affinché non
venissero lesi o limitati i suoi “innati” diritti individuali (concezione figlia delle dottrine
giusnaturalistiche).
Lo stato doveva quindi astenersi dall'intervenire sulla sua libertà personale
(“habeas corpus”), sulla libertà di movimento, libertà familiare, proprietà privata,
libertà di pensiero, libertà di associazione e libertà di riunione.
Tale creazione di una sfera di astensione dello stato ha contribuito alla separazione
tra sfera privata e sfera pubblica, tra società civile e stato.
2) I diritti sociali.
Il conflitto scaturito, nella secondo metà dell'ottocento, tra esigenze del libero
mercato e rivendicazione dell'eguaglianza sostanziale da parte dei ceti esclusi dalla
disponibilità dei beni economici ha determinato una progressiva valorizzazione
delle c.d. “libertà