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Tutte le fonti riconosciute dalla tradizione sono dotate di autorità nella misura in cui sono fondate sul Veda (esistente o presunto)
È una strategia di legittimazione di nuove regole che non sono presenti nel Veda. Come osservato da Olivelle, la teoria del Veda perduto è usata come una strategia ermeneutica per derivare teoricamente tutto il dharma dal Veda, mentre in pratica si tiene conto di altre fonti. In tal modo, la teoria del fondamento vedico di tutte le fonti permette anche di assicurare l'evoluzione della tradizione e la sua differenziazione da tradizioni concorrenti che non riconoscono l'autorità del Veda (es. quella buddista).
I casi di conflitti tra fonti si risolvono facendo ricorso al metodo gerarchico, per cui la fonte che precede ha maggiore autorità. Se il conflitto si verifica tra due fonti di pari livello, si considerano entrambi giusti i metodi di comportamento, ed è possibile scegliere fra essi.
Ma la struttura di...
legittimazione vedica di tutte le fonti comporta che in tutti icasi di conflitto sia possibile individuare in realtà un caso di conflitto tra testivedici originari: ad es un caso di conflitto tra Veda e smrti può essereconsiderato un caso di conflitto tra un testo vedico esistente e un testo vedicoperduto su cui si basa il testo della smrti. Ciò significa che dal punto di vistadharmico tutta una serie di comportamenti anche contrapposti possonoessere considerati validi.Tale grande flessibilità ha permesso la continuità e l'unità della cultura indùpur in presenza di enormi differenze al suo interno.*Il principio gerarchico richiederebbe che per accertare il dharma si debbacercare la regola prima nel Veda e poi nelle altre fonti; ma nella pratica,l'ordine delle fonti nel processo di accertamento del dharma è invertito, inparticolare si fa attenzione alle regole contenute nei sadacara (modelli dicomportamento e regoleconsuetudinarie) LE FONTI DEL DIRITTO INDÙ MODERNE Sono fonti di origine statale, inserite durante il periodo coloniale e confermate nel diritto dell’India indipendente: 1. PRECEDENTI GIUDIZIARI: La tradizione indù conserva pochissime tracce delle sentenze pronunciate nelle corti nel periodo classico, perché mancava l’idea della necessità di conservare decisioni contingenti che non aspiravano a descrivere un dharma eterno. Il principio del precedente vincolante è stato introdotto nel periodo coloniale e tendono a fare in modo che venga sempre meno utilizzato il ricorso ai testi tradizionali (di difficile interpretazione). Per questa via i principi del common law sono entrati a far parte del diritto indù. 2. EQUITY, GIUSTICE AND GOOD CONSCIENCE Nel diritto indù tradizionale non manca il riferimento all'equità nella decisione, ma in concreto ci troviamo di fronte ad un principio di common law. Se il giudice inglese che sitrovava a dover applicare il diritto indù non trovava la soluzione al caso concreto doveva giudicare in base al suddetto criterio. In realtà, questo criterio veniva applicato non soltanto in caso di lacuna ma anche in mancanza di una regola approvata dal giudice; pertanto, l’applicazione di questo criterio finiva per coincidere con l’applicazione di principi del diritto inglese (anche se tali soluzioni non dovevano essere contrarie ai principi generali di diritto indù).
3. LEGISLAZIONE
Non e’ una fonte propria del diritto indù, nel modello classico non vi era spazio per un potere normativo del re ed ognuno aveva il titolo per definire l’insieme di doveri a cui attenersi.
La legislazione diventa fonte a partire dal periodo coloniale, anche se non si è mai voluto sostituire le altre fonti, in particolare non si è mai preteso di codificare il diritto indù.
La COSTITUZIONE PUÒ ESSERE CONSIDERATA FONTE DEL DIRITTO INDÙ MODERNO,
nel senso che il diritto indù applicato nelle corti non può che essere interpretato alla luce dei principi costituzionali e l'azione legislativa modernizzatrice si ispira agli stessi principi. 4. CONSUETUDINI L'ampio riconoscimento delle consuetudini nel diritto indù ufficiale è stato temperato dalla definizione legale della consuetudine, che pone limiti alla loro applicabilità. - La valutazione dell'antichità della consuetudine può variare, ma non è richiesto che una norma consuetudinaria abbia un'origine immemorabile. - In secondo luogo, la consuetudine deve essere stata osservata senza interruzioni e deve essere certa. - Non deve essere irragionevole, immorale o contraria ai principi dell'ordinamento. - L'onere della prova dell'esistenza della consuetudine ricade sul soggetto che intende avvalersene. Le consuetudini possono essere locali e quindi avere un riferimento territoriale o.essere proprie ditribù, comunità e famiglie (→ ciò rende possibile una tutela delleminoranze) SONO FONTI CHE RILEVANO NEL DIRITTO INDÙ UFFICIALE, E NON HANNOCARATTERE RELIGIOSO. Osservazioni Mentre le regole poste dal sovrano nel diritto indù classico rimanevanoinserite in un quadro teorico fondato sul dharma, in linea di principio i valori diriferimento dell'india indipendente sono laici, anche se in pratica vi possonoessere riferimenti alla tradizione. Il sistema delle fonti del diritto indù è molto complesso, in esso fonti religiosecome i Veda interagiscono con fonti laiche come la legge. Interessante è che il diritto indù ufficiale può essere applicato anche da giudicinon indù. Il diritto indù è una componente ufficiale del diritto indiano, pur essendolargamente non prodotto dallo stato (lo recepisce nella legislazione o dàapplicazione alle consuetudini); affianco vi è ildiritto indù non ufficiale, seguito dagli indù su base tradizionale → tra i due esiste una relazione dinamica.
PROFILI ORGANIZZATIVI E ISTITUZIONALI
Concezione di base dell’induismo è che ogni indù sia legittimato a vivere il suo rapporto con il dharma e la divinità in modo autonomo; ciò si traduce in un effettivo pluralismo religioso e sociale. → induismo non ha autorità centrali, anche perché non è una singola religione: esistono varie forme di autorità (soggetti dotati di autorevolezza) istituzionalizzate nelle sue diverse parti
Uno degli aspetti più qualificanti del diritto indù è: il SISTEMA DELLE CASTE (elaborazione braminica) → rappresenta lo schema attorno al quale vengono organizzati i doveri degli individui, i quali vengono differenziati innanzitutto sulla base della classe sociale a cui si appartiene (varna) e dello stadio di esistenza cui sui è giunti
(asrma).VARNASRAMADHARMA: modello complessivo di organizzazione della societàindù.
• prima DIFFERENZIAZIONE DEI DOVERI→ è segnata dai varna, i quali sonoquattro:
- brahmana→ costituiscono la CLASSE SACERDOTALE
- ksatriya → rappresentano la CLASSE ARISTOCRATICA E GUERRIERA
- vaisya →POPOLO E CATEGORIEPRODUTTIVE
- sudra→ SERVI delle altre classi:
Hanno il diritto-dovere di dedicarsi all'insegnamento del dharma e di compierealcuni sacrifici.
Hanno il dovere di combattere e proteggere gli altri. I re devono appartenere aquesta classe.
Devono occuparsidelle attività produttive.
Devono servire i varna superiori.
Ai margini del sistema ci sono gli intoccabili, cioè i fuoricasta (dalit).Nei testi tradizionali, le norme di comportamento sono definite in base aqueste appartenenze. Un comportamento proibito ad una persona neiconfronti di un'altra può essere permesso se cambiano il soggetto agente o ildestinatario→
Doveri ulteriormente differenziati essendoci per ogni casta delle sottocaste.
- Altra differenziazione riguarda gli STADI DI VITA → gli asrama. Sono quattro:
- Il periodo dello studentato religioso;
- Il periodo della vita famigliare;
- Il periodo dell’eremitaggio;
- Il momento segnato dalla completa rinuncia al mondo.
In relazione a queste classificazioni, un'importante classificazione viene fatta tra:
- DHARMA COMUNE → comprende una serie di comportamenti che devono ritenersi comuni a tutti gli uomini e si traduce in un elenco di virtù più generali, come la nonviolenza, il perdono, la compassione.
- DHARMA PARTICOLARE → si identifica con la complessa rete di doveri definiti dagli stadi di vita e dalla casta di appartenenza.
Prevale il dharma particolare e, solo se non si trova una specifica norma di condotta in base al proprio dharma peculiare, si deve agire cercando la regola nei principi del dharma.
generale.La vita di un indù dovrebbe essere interamente dedicata al perseguimento ditre fini:
- DHARMA → viene presentato come uno dei fini dell’esistenza umana;
- ARTHA → è l’utile, l’interesse, e rileva soprattutto la sfera della politica,oltre che dell’economia;
- KAMA → è il desiderio e la sua gratificazione, il piacere.
Dharma, artha e kama, considerati unitariamente,costituiscono il TRIVARGA. Esiste una gerarchia: il dharma viene considerato il fine principale.Ad esso viene aggiunto un quarto fine:
d) il MOKSA → la liberazione che si attua mediante la conoscenza (via di salvezza)
Si contrappone al trivarga in quanto trascende gli altri fini dell'uomo e si colloca su un livello completamente diverso: chi persegue la liberazione si pone aldilà del dharma e della fitta rete di doveri.L'osservanza del dharma infatti lega l'uomo alla catena delle rinascite, attraverso il meccanismo del karman, e si traduce
In una migliore qualità della vita presente e futura, mentre seguendo il moksa si raggiunge la condizione di beatitudine suprema. Si attua ad esempio attraverso la rinuncia (anche se non è la via più seguita). Nel diritto indù un posto di primo piano rivestono gli ordini ascetici, che possono organizzarsi in comunità con proprie regole. Altre strutture organizzative sono le famiglie e le comunità definite su base locale. Il diritto indù è espressione di un quadro molto stratificato di appartenenze. Sul piano strettamente giuridico bisogna anche osservare che ad ogni livello, in particolare a quello di casta, corrispondono dei centri di decisione e dei centri di soluzione delle controversie. Il diritto indù tradizionale ha creato forme istituzionali che sup