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L’AZIENDA
1. La nozione di azienda. Organizzazione ed avviamento.
L’AZIENDA è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa:
costituisce cioè l’apparato strumentale di cui l’ imprenditore si avvale per lo svolgimento della
propria attività.
I caratteri distintivi dell’azienda sono quindi l’organizzazione e l’unità funzionale: si tratta cioè di
beni eterogenei tra loro coordinati e resi complementari per l’unitaria destinazione ad uno
specifico fine produttivo.
I beni costituiti in azienda hanno innanzitutto un rilievo economico, e poi un rilievo giuridico.
Dal punto di vista economico la qualità caratterizzante l’azienda è l’avviamento: è la sua attitudine
alla produzione di un profitto, cioè a produrre utilità maggiori da quelle traibili dai singoli beni
isolatamente. L’ avviamento può dipendere sia da fattori oggettivi sia da fattori soggettivi.
È avviamento oggettivo quello dipendente da fattori suscettibili di permanere anche se muta il
titolare dell’azienda,in quanto insiti nel coordinamento funzionale esistente fra i diversi beni.
È avviamento soggettivo, invece, quello dipendente dall’abilità operativa dell’imprenditore sul
mercato e dalla sua abilità nel formarsi, conservare ed accrescere la clientela.
Dal punto di vista giuridico, invece, l’azienda si caratterizza per la particolare disciplina normativa
dettata dal codice per il suo trasferimento.
Il trasferimento dell’azienda è infatti sottoposto ad un regime normativo che sotto più profili
deroga alla disciplina di diritto comune delle corrispondenti vicende circolatorie.
Tale regime normativo è ispirato dalla finalità di favorire la conservazione dell’unità economica e
del valore di avviamento dell’azienda a tutela di quanti su tale valore hanno fatto affidamento.
2. Gli elementi costitutivi dell’azienda.
Elementi costitutivi dell’azienda sono tutti i beni, di qualsiasi natura, organizzati dall’imprenditore
per l’esercizio dell’impresa.
Per qualificare un dato bene come bene aziendale è perciò rilevante solo la destinazione
funzionale impressagli dall’imprenditore. Controverso è invece il significato da attribuire alla
parola “beni”.
Al riguardo è largamente diffusa in giurisprudenza la tendenza ad ampliare la nozione di “bene
aziendale” fino a ricomprendere ogni elemento patrimoniale facente capo all’imprenditore
nell’esercizio della propria attività.
Elementi costitutivi dell’azienda sarebbero quindi non solo i beni, ma anche i servizi, i rapporti di
lavoro col personale, tutti i rapporti contrattuali, i crediti verso la clientela, i debiti verso i fornitori
e lo stesso avviamento (che a rigore è soltanto una qualità).
Questa concezione onnicomprensiva non è però condivisibile.
Secondo l’art. 810 c.c., infatti, “beni sono le cose che possono formare oggetto di diritti”, e la
disciplina dell’azienda non offre alcun valido argomento per affermare che il termine beni sia stato
utilizzato in un significato diverso e più ampio.
Alla luce di ciò è quindi più corretta l’opinione che considera elementi costitutivi dell’azienda solo
le cose in senso proprio di cui l’imprenditore attualmente si avvale per l’esercizio dell’impresa.
Il che comporta che di trasferimento di azienda si potrà parlare anche quando le parti abbiano
espressamente escluso dal trasferimento i contratti aventi ad oggetto prestazioni di cose future o
di servizi, i crediti e i debiti, e anche quando non sia riscontrabile un valore positivo di avviamento.
3. L’azienda fra concezione atomistica e concezione unitaria. Azienda e universalità di beni.
Si è molto discusso sulla natura giuridica dell’azienda, e a tal proposito vivo è stato il contrasto fra
teorie unitarie e teorie atomistiche.
Le teorie unitarie considerano l’azienda come un bene unico, nuovo e distinto rispetto ai singoli
beni che la compongono..
Il titolare dell’azienda avrebbe perciò sulla stessa un vero e proprio diritto di proprietà unitario da
tutelare con i normali strumenti a tal fine predisposti dall’ordinamento.
La teoria atomistica considera invece l’azienda come una semplice pluralità di beni tra loro
funzionalmente collegati e sui quali l’imprenditore può vantare diritti diversi.
In realtà questa disputa fra le due concezioni deve essere ridimensionata.
Sicuramente la concezione atomistica si lascia preferire come scelta di base, perché la possibilità di
concepire l’azienda come un nuovo bene trova un decisivo ostacolo nei dati normativi. Infatti da
questi emerge che per il trasferimento del complesso aziendale dovranno essere necessariamente
osservate le forme stabilite dalla legge per il trasferimento dei singoli beni che la compongono,
mentre manca una legge di circolazione propria dell’ azienda.
Ciò non toglie però che la teoria unitaria, e quindi la salvaguardia dell’unità funzionale
dell’azienda, debba fungere da criterio interpretativo della relativa disciplina nei punti in cui vi sia
una lacuna.
Anche la disputa se l’azienda sia o meno un’universalità di beni è a ben vedere sterile.
Infatti il considerare l’azienda un’ universalità di beni non offre argomenti per concepire la stessa
come un bene nuovo ed unitario, perché non esiste alcuna norma che disciplini direttamente le
universalità di beni.
Norme specifiche sono invece dettate solo per le universalità di mobili definite come la pluralità di
cose che appartengono alla stessa persona e hanno una destinazione unitaria.
Azienda e universalità di mobili presentano indubbie diversità strutturali, ma costituiscono
entrambe degli aggregati di cose a destinazione unitaria.
Questo comune profilo funzionale unitario legittima perciò il riferimento alle norme dettate in
tema di universalità di mobili per la soluzione di problemi pratici lasciati irrisolti dalla disciplina
dell’azienda. (norme parzialmente coincidenti con quelle previste per i beni immobili).
4. La circolazione dell’azienda. Oggetto e forma dei negozi traslativi.
L’ azienda può formare oggetto di atti di disposizione di diversa natura: può essere venduta,
donata o sulla stessa possono essere costituiti diritti di godimento a favore di terzi.
Gli atti di disposizione possono riguardare anche solo singoli beni aziendali.
È importante stabilire in concreto se un determinato atto di disposizione dell’imprenditore sia da
qualificare come trasferimento di azienda o come trasferimento di singoli beni aziendali; a tal fine
la distinzione è operata secondo criteri oggettivi: si deve guardare cioè al risultato realmente
perseguito e realizzato e non al nomen dato al contratto.
Per aversi trasferimento di azienda non è però necessario che l’atto di disposizione comprenda
l’intero complesso aziendale, ma è sufficiente che sia trasferito un insieme di beni di per sé
potenzialmente idoneo ad essere utilizzato per l’esercizio di una determinata attività di impresa.
I vari beni aziendali passeranno all’acquirente nella medesima situazione giuridica in cui si trovano
presso il trasferente.
Le forme da osservare nel trasferimento dell’azienda sono fissate dall’art. 2556 c.c.
Bisogna a tal fine distinguere tra la forma necessaria per la validità del trasferimento e forma
richiesta a fini probatori.
Per quanto riguarda il primo punto, è dettata una disciplina identica per ogni tipo di azienda: i
contratti sono validi solo se stipulati con l’osservanza delle forme stabilite dalla legge per il
trasferimento dei singoli beni che compongono l’azienda. Manca quindi un’autonoma ed unitaria
legge di circolazione dell’azienda.
Per quanto riguarda il secondo punto, solo per le imprese soggette a registrazione è previsto che
ogni atto di disposizione dell’azienda deve essere provato per iscritto ( la scrittura è quindi
richiesta ad probationem). Inoltre i relativi contratti sono soggetti ad iscrizione nel registro delle
imprese.
5. La vendita dell’azienda. Il divieto di concorrenza dell’alienante.
Oltre gli effetti dedotti in contratto, l’alienazione dell’azienda produce ex lege effetti ulteriori che
possono essere dispositivi o inderogabili.
Tra questi effetti vi è il divieto di concorrenza dell’alienante. Praticamente chi aliena un’azienda
commerciale deve astenersi, per un periodo massimo di 5 anni dal trasferimento, dall’iniziare una
nuova impresa che possa comunque sviare la clientela dall’azienda ceduta. Se l’azienda è agricola,
il divieto opera solo per le attività ad essa connesse.
La norma contempera quindi due opposte esigenze: quella dell’acquirente a trattenere la clientela
dell’impresa e quindi a godere dell’avviamento;
e quella dell’alienante a non veder compromessa per troppo tempo la propria libertà di iniziativa
economica.
Il divieto di concorrenza è derogabile: le parti possono anche ampliare la portata dell’obbligo di
astensione, purchè non sia impedita ogni attività professionale dell’alienante. In ogni caso è
vietato prolungare oltre i 5 anni la durata del divieto.
Il divieto di concorrenza è da ritenersi applicabile non solo alla vendita volontaria di azienda, ma
anche quando la vendita è coattiva (ad es. in caso di vendita in blocco dell’azienda
dell’imprenditore fallito).
Vi sono poi dei casi controversi circa l’applicazione del divieto di concorrenza:
divisione ereditaria con assegnazione dell’azienda ad uno degli eredi;
scioglimento di una società con assegnazione dell’azienda ad uno dei soci quale quota di
liquidazione;
vendita dell’intera partecipazione sociale di controllo.
In tutti questi casi si ritiene sia applicabile, Sia pure per analogia, il divieto di concorrenza purchè
ne ricorrano i presupposti.
L’esigenza di garantire l’effettivo rispetto del dettato legislativo induce a propendere per
un’interpretazione estensiva della disposizione: il divieto dovrà ritenersi violato ogni qualvolta si
sia avuto sviamento di clientela dell’azienda ceduta,per fatto concorrenziale direttamente o
indirettamente imputabile all’alienante (ciò perché frequenti sono i tentativi di eludere il divieto
attraverso vari espedienti).
È necessario quindi che l’atto di alienazione contenga specifiche