Riassunto esame Diritto commerciale, prof. Briolini, libro consigliato Diritto commerciale, Campobasso
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ESTRATTO DOCUMENTO
Il 2212 detta che gli enti pubblici economici sono assoggettai allo statuto dell’imprenditore,
e se del caso dell’imprenditore commerciale, coll’esclusione dell’assoggettabilità al
fallimento e delle procedure minori sostituite dalla liquidazione coatta amministrativa. Non
ci sono di contro dati normativi per la limitazione nell’applicazione dello statuto
dell’imprenditore commerciale per le imprese organo.
Il 2093 pure rinviando la disciplina delle imprese organo al libro quinto dove è contenuto
lo statuto commerciale, dice che queste sono esonerate all’iscrizione nel registro delle
imprese, obbligo previsto per le imprese pubbliche.
Attività commerciale delle associazioni e fondazioni
Le associazioni riconosciute o meno e le fondazioni, qualora svolgano altre attività con
metodologia e requisiti previste dal 2082, sono da considerarsi imprese, sia che l’attività
imprenditoriale sia l’essenza che l’accessorio dell’associazione, l’importante è che venga
seguito un metodo economico che può coesistere collo scopo ideale dell’impresa.
Parte della dottrina ritiene che l’articolo 2201 dell’esonero degli enti pubblici non economici
alla registrazione, vada applicato pure per le associazioni e le fondazioni, cosa che nega il
CB vista l’analiticità della norma.
L’ACQUISTO DELLA QUALITA’ DI IMPRENDITORE
Può sembrare facile parlare d’imprenditore, ma già pensando che l’essere additati con tale
status fa nascere il rapporto della persona collo statuto generale, si capisce che è poi
meno agevole, in quanto il 2082 pure essendo sovrabbondante riguardo la definizione di
imprenditore tace sul momento in cui si diviene, cosa occorre fare, oltre ad essere per
diventarlo.
A – L’IMPUTAZIONE DELL’ATTIVITA’ D’IMPRESA
Esercizio diretto dell’attività d’impresa
Per l’imputazione degli atti d’impresa vige nell’ordinamento nostrano il principio della
spendita del nome, cioè è soggetto allo statuto dell’impresa solo chi ha dato dati sufficienti
alla riconoscibilità dell’impresa per il traffico giuridico.
Dunque se è agevole individuare il soggetto diretto dell’impresa e riconoscere i suoi atti,
non lo è altrettanto in casi diversi.
Si potrebbe parlare del mandato con e senza rappresentanza.
Nel caso di mandato con rappresentanza il mandatario agisce in nome e per conto del
mandante, e tutti i negozi giuridici sono imputabili all’ultimo menzionato, mentre se il
mandato è senza rappresentanza, tutti i negozi conclusi restano imputabili al mandatario.
Nel caso di rappresentanza volontaria o legale, comunque resta il rappresentato
imprenditore, pure se i suoi poteri decisori sono limitati nei confronti del rappresentante, è
il caso pure dei genitori che curano l’impresa del figlio minore, imprenditore resta sempre il
figlio minore.
Esercizio indiretto dell’attività d’impresa. La teoria dell’imprenditore occulto
Capita che ai fini prettamente formali, nell’attività d’impresa, imprenditori siano o persone
fisiche nullatenenti o s.p.a di comodato o d’etichetta e che a monte di queste figure ci sia
un imprenditore occulto. Secondo il principio della spendita del nome in caso di fallimento
il soggetto passivo del procedimento sia colui che ha speso il nome nei traffici
commerciali, e che di norma nel caso ora prospettato è una persona senza patrimonio
alcuno.
La mancata riscossione di crediti da parte dei creditori, che a loro volta sono imprenditori,
può creare en questi dissesti pericolosi, ci si chiede allora come intervenire nei confronti
dell’imprenditore occulto, del dominus.
Si è spinti a derogare il principio della spendita, considerando l’attività d’impresa cosa ben
diversa dal mandato senza rappresentanza, per cui i creditori in caso di fallimento di
imprenditore palese possono secondo alcuni essere ristorati da dominus, secondo altri più
spinti possono chiedere il fallimento del dominus.
Altri giuristi, prendendo spunto dalla disciplina sulle società di persone, hanno carpito il
principio di queste che vede inscindibilità del potere dalla responsabilità, per cui pure non
condividendo l’ipotesi del fallimento del dominus, accettano che questo debba pagare i
debiti da lui in realtà non onorati.
Altra teoria molto importante è quella di Bigiavi, la c.d. teoria dell’imprenditore occulto, che
parte dal fallimento del socio occulto della società palese norma del 147 co.2 l.
fallimentare.
Questa norma per analogia si può estendere anche ai soci che hanno occultato una
società, cioè si parla di socio occulta di società occulta.
L’analogia si motiva per il fatto che tra le ipotesi di socio occulto di società palese e di
socio occulto di società occulta si sia un mera differenza quantitativa e nient’altro.
Da questo principio ne deriva la responsabilità di chiunque palesemente o occultamente
domini una impresa.
Da qui discende anche la responsabilità del socio tiranno che non potrebbe essere
soggetto a fallimento ex 2362 perché non unico titolare della compagine, ma che
continuamente viola i principi del diritto societario operando confusioni tra i patrimoni.
Bigiavi ancora tratta della responsabilità illimitata dei soci sovrani che pure rispettando il
diritto societario , di fatto domini l’impresa possedendo il pacchetto di controllo.
Il ragionamento di Bigiavi secondo CB non è corretto.
Critica. L’imputazione dei debiti d’impresa
Le tesi esposte sull’imputazione dell’attività d’impresa, si fondano su due criteri:
- uno formale della spendita del nome
- uno sostanziale del potere di direzione
Il criterio formale è errato pure se non condivisibile che ci possa utilizzare il solo criterio
formale, in quanto nessuna norma, del codice civile o della legge fallimentare che sia,
permette di chiamare a rispondere un soggetto che non sia il palese imprenditore.
La disciplina societaria ad esempio, dice si che il socio amministratore nelle società di
persone non può limitare la propria responsabilità, ma nemmeno è vero che l’illimitatezza
di responsabilità sia legata in maniera indissociabile la potere di gestione.
Tant’è vero che nelle società n.c. tutti i soci rispondono in modo illimitato, anche se può
stabilirsi che non tutti abbiano la gestione dell’impresa.
La legge fallimentare che la giurisprudenza utilizza pure per il fallimento del socio occulto
(147), per fare questo utilizza una doppia analogia.
Dall’ipotesi regolata del socio occulto in società palese, è più che accettabile l’estensione,
in quanto la società esiste, si nasconde solo il reale numero di soci, si passa per analogia
al fallimenti di soci occulti di società occulta, e poi ancora per analogia si passa al
fallimento dell’imprenditore occulto.
Il 147 vuole secondo CB dichiarare il fallimento anche del socio che non è pubblico, però
mai di chi socio non lo è per niente, fenomeno che si ha coll’applicazione della doppia
analogia.
Nel caso di socio occulto/socio palese infatti manca proprio la società, in quanto il socio
palese è mandatario senza rappresentanza del dominus.
In ultima formula possiamo affermare che l’unico principio per l’imputazione dell’attività
d’impresa è il criterio formale della spendita del nome, che pecca a volte di essere retto da
indici probatori certi, dunque il dominio di fatto non è condizione necessaria per
l’imputazione di status imprenditoriale o per il fallimento del dominus.
Inoltre, scavando più profondamente del danno che possono avere i creditori terzi
dell’imprenditore palese, è pur vero che questi nel concludere l’affare hanno comunque
fatto affidamento solo sul suo capitale non essendo a conoscenza del dominus, e pure c’è
da dire che se si accanissero contro il dominus, i creditori personali di quest’ultimo
sarebbero disagiati in quanto non erano a conoscenza di attività imprenditoriale di questi.
Una tecnica per reprimere gli abusi
Partendo dal fatto che il dominio di fatto su un’impresa o una società non comporta
automaticamente all’equazione dominio di fatto – responsabilità illimitata- potenziale
fallimento, tra le varie tecniche giuridiche per reprimere gli abusi delle posizioni delle
persone fisiche all’interno di società di capitali o di persone che siano, la più corretta è
quella c.d. dell’impresa fiancheggiatrice.
Tale tecnica, a partire dai tipici comportamenti del socio tiranno, qualora vi siano i requisiti
del 2082, considera l’attività di questo come impresa a latere dell’impresa o della società
in cui fa da tiranno, per cui per le sue azioni all’interno dell’impresa fiancheggiatrice, può
essere imputato al fallimento, il caso più eclatante dell’applicazione di questo principio è la
sentenza del foro di Roma del 3-7-82 che dichiara il fallimento di tre fratelli soci di 158
società di capitale dichiarate fallite.
B - INIZIO E FINE DELL’IMPRESA.
L’inizio dell’impresa
La qualità d’imprenditore si acquista quando si inizia ad operare come tali, dunque non
come una volata che serviva la formalità della matricula mercatorum,
Questo è quanto pacificamente affermato in dottrina e giurisprudenza per le persone
fisiche che svolgono un’impresa.
Il problema diviene controverso invece per le società, in quanto la maggior parte della
dottrina e della giurisprudenza ritengono per questa la superfluità dell’inizio dell’impresa ad
atti di questa propria, e che è necessaria e sufficiente la pubblicità della società per
imputargli attività d’impresa.
CB ritiene erroneo tutto questo in quanto il 2082 fa riferimento per l’imputazione non alla
programmatica attività d’impresa, ma a quella reale, di conseguenza anche per le società
si deve parlare d’impresa quando l’esercitino.
C – CAPACITA’ E IMPRESA
L ’ ,
A CAPACITÀ DI ESERCIZIO D IMPRESA SI ASSUME COLLA CAPACITÀ COMPLETA DI AGIRE QUINDI COL
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RAGGIUNGIEMNTO DELL AMAGGIORE ETÀ
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E IL MINORE IRESCE CON RAGGIRI A CONCLUDERE UNA PSEUDO IMPRESA QUESTO PURE NON
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ESSENDO POI CHIAMATO IMPRENDITORE CONSERVERÀ GLI EFFETTI CO I TERZI
O ’ ’ ’ ’ ’
LTRE L INCAPACITÀ C È L INCOMPATIBILITÀ COLL ESERCIZIO D IMPRESA DA PARTE DI ALCUNE FIGURE
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PROFESSIONALI COME GLI IMPIEGATI CIVILI DELLO STATO NOTAI AVVOCATI E LA COMUNQUE ATTIVITÀ
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IMPRENDITORIALE NON COMPORTA L ANNULLAMENTO DI QUESTA MA SANZIONI AMMINISTRATIVE ALLE
219 . .
FIGURE PREDETTE ED AGGRAVAMENTI PENALE NEL CASO DI BANCAROTTA ART L FALLIMENTO
IMPRESA ’
COMMERCIALE DELL INCAPACE
Minore ed interdetto = incapace
Inabilitato e minore emancipato = limitatamente incapace
Il nostro ordinamento prevede la conduzione d’impresa in nome e per conto di un
incapace (interdetto o minore) o da parte di soggetti limitatamente incapaci (inabilitato e
minore emancipato).
Per fare questo è prevista una normativa generale per le imprese agricole che rimanda in
tutto e per tutto al diritto comune, e speciale per le imprese commerciali che derogano al
compimento di atti giuridici da parte dell’incapace.
La differenza sostanziale tra incapaci e parzialmente incapaci e che gli atti dei primi
vengono compiuti dai rappresentanti legali (genitori o tutori) per conto ed in nome dei
primi, mentre i parzialmente incapaci svolgono in proprio i negozi ma sotto sorveglianza
dei curatori.
Il patrimonio degli incapaci è sottoposto ad un controllo tale da rendere automatici gli atti
di ordinaria amministrazione per i rappresentanti legali in modo da conservare ed
arricchire il patrimonio, mentre gli atti di straordinaria amministrazione devono per essere
compiuti recare palese vantaggio economico e devono essere autorizzati dall’autorità
giudiziale uno alla volta, lo stesso discorso vale per i limitatamente incapaci.
È’ tuttavia poco agevole questa disciplina in quanto la ratio sembra essere quella di volere
evitare che l patrimonio del soggetto incapace non debba correre rischi, contraddizione in
termini all’impresa, ed è pure poco agevole distinguere gli atti di ordinaria da quelli di
straordinaria amministrazione, soprattutto per la celerità che occorre negli affari
imprenditoriali.
Allora la norma vieta l’inizio di nuova attività per questi soggetti meno che per il minore
emancipato , analizzando caso per caso si ha :
I minori
In nessun caso è consentito l’inizio di nuova impresa commerciale in nome e nell’interesse
del minore , quando questo acquisti a vario titolo la titolarità dell’impresa, la conduzione
con discrezioni diverse verrà effettuata del genitore 320, o dal tutore 370, sempre previa
autorizzazione dal tribunale, che può nello stallo decisionale promuovere l’esercizio
provvisorio dell’impresa per la sua fisiologica continuazione.
Avvenuta l’autorizzazione definitiva il rappresentante legale del minore, genitore o tutore
che sia, esercita a prescindere dall’ordinarietà o meno degli atti tutti i negozi tipici
dell’impresa commerciale, occorrerà autorizzazione solo per quegli atti che non sono in
sintonia colla conduzione dell’impresa (vendita immobili strumentali all’impresa).
Interdetto.
Vale la stessa disciplina del minore 424, l’autorizzazione alla continuazione può valere
anche per esercizio di impresa commerciale dello interdetto prima dell’atto che lo
giudicasse tale.
Inabilitato
L’inabilitato è un soggetto la cui capacità di agire è limitata ai soli atti di ordinaria
amministrazione.
La sua posizione per l’esercizio d’impresa è parificata a quella dell’incapace, pure se
agisce autonomamente ma coll’approvazione del curatore,.
Gli atti di straordinaria amministrazione devono essere presi di concerto col curatore, e
talvolta il tribunale può dare concessione agli atti dopo la nomina di un institore scelto dallo
stesso inabilitato.
Minore emancipato.
L’art 397 prevede per il minore emancipato anche l’inizio di attività d’impresa , sempre
previa autorizzazione dal tribunale.
Con l’autorizzazione il minore ha la piena capacità di agire senza l’assistenza del curatore,
compiendo anche gli atti che eccedono la straordinaria amministrazione.
I provvedimenti autorizzativi del tribunale e gli atti che revocano lo status di imprenditore
sono soggetti all’iscrizione nel registro delle imprese, dunque coll’iscrizione l’incapace
assume diritti ed obblighi dell’imprenditore commerciale.
Il fallimento del minore e dell’interdetto comunque sollevano problemi soprattutto morali in
quanto la legge fallimentare procura una dicitura sulle incapacità personali nonché
sanzioni penali, e non è certo corretto fare cadere queste situazione giuridiche sul minore
in quanto pure essendo lui imprenditore, di fatto la gestione è del tutore o del genitore.
È possibile comunque sollevare il minore dal fallimento e farlo cadere sui suoi
rappresentanti pure se non imprenditori utilizzando il 227 fall che tratta del fallimento
dell’institore facendo leva sulla posizione di piena discrezionalità di questo all’interno
dell’impresa, tanto da farlo considerare alter ego dell’imprenditore.
Per quanto riguarda invece le capacità personali del fallito minore, resteranno intaccate e
provocheranno l’esclusione dalla professione di avvocato, di dottore commercialista,
agente di cambio, etc, in quanto pure dichiarando falliti in qualche maniera gli institori, sui
registri dei falliti andrà il minore.
LO STATUTO DELL’IMPRENDITORE COMMERCIALE.
A - LA PUBBLICITA’ LEGALE
La pubblicità delle imprese commerciali
E’ una esigenza risentita per gli operatori economici quella di avere giuste informazioni
sulle parti con cui contrarranno, ed è proprio questa la funzione della pubblicità legale
delle imprese commerciali.
Questa funzione doveva essere esercitata dal registro delle imprese previsto dal codice
del 1942 e doveva eliminare la disorganizzata pubblicità del codice del 1882.
In realtà il registro delle imprese è andato in funzione solo agli inizi del 1997, e la disciplina
transitoria in vigore fino ad allora era ugualmente rovinosa, in quanto il compito della
pubblicità veniva assolto coll’iscrizione alla cancelleria dei tribunali, ed era prevista solo
per le imprese non piccole, poi le spa e le società cooperative doveva oltre questo
adempimento pubblicitario iscriversi pure al BUSARL e BUSC, e tutte le imprese
dovevano anche essere iscritte al registro ditte delle camere di commercio, comprese le
piccole imprese.
Col riordino della disciplina, in effetti col vigore del registro delle imprese, tutto è stato
omogeneizzato, e col riordino delle camere di commercio, primo passo verso l’attuazione
del registro avuto agli inizi del 1997 c’è più ordine.
Inoltre il decreto del ministro Bersani dal 1/10/1997 ha abolito l’obbligo del BUSARL e del
BUSC., in maniera che anche per le società unico strumento per pubblicità legale è
l’iscrizione al registro delle imprese, iscrizione dovuta a titolo di pubblicità notizia anche
alle piccole imprese.
Le novità portate coll’attuazione del registro sono essenzialmente tre:
1) l’attuale registro non è più come da codice solo strumento di pubblicità, ma anche
strumento di informazione sull’organizzazione e composizione dell’economia (da qui
l’obbligo di iscrizione anche delle piccole imprese, degli agricoltori, degli artigiani)
2) il registro è tenuto dalle camere di commercio
3) il registro è tenuto con tecniche informatiche per un’informazione tempestiva e su scala
nazionale.
Il registro delle imprese
Il registro è istituito con DpR 581/95.
L’ufficio del registro delle imprese è istituito presso ciascuna camera di commercio , è
diretto da un dirigente di questo ufficio scelto dalla giunta , che a sua volta è controllato dal
presidente del tribunale del capoluogo.
Il registro è articolato in una sezione ordinaria e più sezioni speciali.
Nella sezione ordinaria devono iscriversi tutte le imprese per le quali l’iscrizione produce
effetti di pubblicità legale, è non sono solo quelli previsti dalle norme codicistiche, sono
infatti tenuti all’iscrizione nella sezione ordinaria:
- imprenditori commerciali non piccoli
- le società tranne quelle semplici, pure se no svolgono attività commerciale
- i consorzi fra imprenditori con attività esterna
- i GEIE
- gli enti pubblici con attività unica o prevalente commerciale
- le società straniere che hanno in Italia sede dei loro affari o che svolgono
prevalentemente affari in Italia.
Nelle sezioni speciali vanno ad iscriversi tutti gli imprenditori che prima della riforma
580/93 erano esonerati, e che con tale riforma l’iscrizione assume la forma di pubblicità
notizia, vale a dire:
gli imprenditori agricoli
i piccoli imprenditori
le società semplici,
In altra ed ulteriori sezione speciale vanno poi iscritti gli artigiani che sono già iscritti
nell’albo loro dedicato.
Importante è da ricordare come da CB e Marasà che gli artigiani non qualificabili come
piccoli imprenditori vanno iscritti oltre che nella sezione speciale, anche in quella ordinaria.
Gli atti da iscriversi sono tutti quelli necessari a fare riconoscere all’esterno l’impresa e
l’atto costitutivo se si tratta di società, ovviamente tutte le modifiche vanno iscritte.
L’iscrizione si ha su domanda dell’interessato art.11 dpr 581/95, oppure d’ufficio se
l’imprenditore non vi ha provveduto.
In ambo le fattispecie l’Ufficio del Registro delle imprese è tenuto a controllare la validità
formale e sostanziale dell’iscrizione, mentre vi sono dubbi sul controllo che deve fare sulla
validità dell’atto.
L’iscrizione deve avvenire entro dieci giorni dalla protocollazione della domanda, e si
concretizza coll’inserimento dei dati in un DB informatico.
Contro il provvedimento di non iscrizione, ci si può opporre entro giorni al giudice del
registro che provvede con decreto, contro il decreto di questo ci si può appellare al
tribunale.
L’inosservanza dell’iscrizione comporta sanzioni amministrative pecuniarie e altre sanzioni
indirette come l’esclusione dal concordato preventivo e dall’amministrazione controllata.
Gli effetti dell’iscrizione, di contro, variano a secondo che questa avvenga nella sezione
ordinaria o quelle speciali.
L’iscrizione ordinaria oltre ad avere effetti di pubblicità legale può avere efficacia
dichiarativa, costitutiva o normativa.
Normalmente l’iscrizione ha efficacia dichiarativa, cioè è strumento di conoscenza (di
pubblicità legale) dei fatti dell’impresa, e l’ignoranza dei fatti iscritti nel registro da parte dei
terzi non li giustifica. Oltre alla pubblicità legale l’imprenditore può utilizzare anche la
pubblicità di fatto per avvisare di cambiamenti organizzativi i terzi (ad esempio spedendo
lettere dettagliate sui cambiamenti).
I fatti iscritti sono opponibili a chiunque dal momento dell’iscrizione, c.d. efficacia positiva
immediata, mentre i fatti omessi alla registrazione non sono opponibili se non comunicati
con altra pubblicità di fatto, c.d. efficacia negativa.
In altri casi, sempre tassativamente previsti, l’iscrizione al registro ha effetti più significativi,
è il caso dunque dell’efficacia costitutiva dell’iscrizione, che può essere totale quando si ha
tra i terzi e fra le parti, ovvero parziale solo nei confronti di terzi.
A titolo d’esempio ha efficacia costitutiva totale l’iscrizione nel registro delle Spa, che
prima giuridicamente non esisteva, mentre ha effetto costitutivo parziale, cioè verso i soli
terzi, la deliberazione di diminuzione di capitale sociale per esuberanza (art. 2445).
Efficacia normativa.
E’ il caso in cui pure non avendo efficacia costitutiva l’iscrizione, è fondamentale per
assoggettare l’iscrivente a particolare discipline, come il caso di snc, che se non registrate
pure esistono in forma irregolare, con la conseguente più penosa posizione dei soci.
L’iscrizione nelle sezioni speciali è solo mezzo di conoscenza anagrafica, dunque la
pubblicità deve comunque essere fatta con mezzi più adatti per l’opponibilità ai terzi.
La pubblicità delle società di capitali e delle cooperative
Fino al 1 ottobre 1997 erano ancora in esistenza il BUSARL ed il BUSC, pure se ormai
inutili vista la pubblicità in maniera telematica del registro delle imprese, per cui tale
pubblicità era oppia ed inutile.
Deroghe, poche ma importantissime restano, infatti per le sole società di capitali,
l’opponibilità dei fatti iscritti non è immediata, ma cade dopo quindici giorni dall’iscrizione.
Inoltre per le società di capitali e cooperative, in alcuni casi, come le convocazione
dell’assemblea, mezzo pubblicitario resterà le gazzetta ufficiale e non il registro delle
imprese.
B - LE SCRITTURE CONTABILI.
L’obbligo di tenuta delle scritture contabili.
Le scritture contabili sono lo strumento che ha l’imprenditore per controllare
diacronicamente e sincronicamente l’andamento della sua gestione, e di principio dunque
sono strumenti di cui l’imprenditore volontariamente dovrebbe farne l’uso, tuttavia c’è la
previsione dell’obbligo legislativo ex 2214 codice civile.
Riguardo la tenuta del 2214 la dottrina è divisa in tre parti, la prima promossa da Ferri
ritiene che il legislatore ha imposta tale obbligo per fare si che l’imprenditore possa vigilare
sulla sua gestione e sui suoi dipendenti, una seconda parte, quella di Galgano invece,
suppone che l’obbligo ci sia per tutelare interessi alieni, privati e pubblici, ed una terza
parte, Nigro che ritiene sterile il discorso in quanto si tutelano tutte le parti senza nessuna
eccezione.
Le scritture contabili obbligatorie. Regolarità e controllo
La scelta del legislatore che al 2214 sancisce l’obbligo di tipo misto è più che
apprezzabile.
La norma prevede infatti l’obbligo della tenuta dei libri che a secondo del tipo, della
dimensione e del dislocamento dell’impresa saranno utili alla ricostruzione degli
accadimento aziendali.
Sono previsti tuttavia come obbligo in primis il libro giornale ed il libro degli inventari.
Il libro giornale, 2216, è un registro cronologico e analitico, dove le operazione dovrebbero
essere registrate “mano a mano” che accadono, norma questa presa leggermente e
tollerata come presa in quanto nulla vieta di effettuare le registrazioni raggruppandole tra
di loro ed in tempi diversi, sempre però tenendo conto dei principi della buona contabilità.
Il libro degli inventari è invece di tipo periodico sistematico, va compilato all’inizio
dell’esercizio di impresa e poi ogni anno successivo. Essendo lo scopo del libro degli
inventari quello di rendere evidente la situazione patrimoniale dell’imprenditore, deve
perciò comprendere anche la situazione economica e patrimoniale di questo estranee
all’esercizio di impresa.
L’inventario si chiude collo stato patrimoniale ed il conto economico.
Per quanto riguarda le spa, la redazione del bilancio è analiticamente disciplinata dagli
articoli 2423-2435 cod civ. e la dottrina ritiene che tali principi vengano estesi al bilancio in
generale.
Le altre scritture che si devono tenere a secondo della dimensione e del tipo di impresa
potrebbero essere :
il libro mastro, non cronologico ma sistemico in cui le operazione vanno raggruppate
per tipologia
il libro cassa che registra le entrate e le uscite di contante o assimilati
libro magazzino per la contabilità di magazzino
il libro fidi per le banche
il libro dei sinistri per le imprese assicuratrici
libri imposte da legislazione tributaria ed infortunistica
L’inosservanza di tenuta di questi libri supplementari ma comunque obbligatori, non è
sanzionata, in quanto soprattutto in sede fallimentare, tollerando la disattenzione, il dettato
normativo si ritiene assolto e rispettato colla tenuta del solo libro giornale e del libro degli
inventari più la corrispondenza, che ex 220 devono essere conservati per 10 anni.
Di principio le scritture contabili devono rispettare formalità estrinseche come la bollatura e
la numerazione di ogni pagine, e formalità intrinseche, le norme cioè della buona
contabilità.
Controlli particolari sulla tenuta delle scritture contabili sono fatte per le Spa dalle società
di revisione, dpr 136/75).
Le sanzioni civili per la mancata tenuta delle scritture contabili sono di tipo eventuale ed
indiretto, infatti l’imprenditore non può utilizzare la contabilità come prova a suo favore,
non può essere ammesso al concordato preventivo, etc.
I SEGNI DISTINTIVI
Fra le variate strategie di differenziazione dei prodotti quelli che più importano, tanto che
regolati da legge sono il marchio l’insegna e la ditta.
A. La ditta
La ditta è il nome sotto cui l’imprenditore esercita l’impresa mentre l’insegna è il nome ed il
simbolo dell’azienda. La ditta deve essere necessariamente costituita anche dal cognome
o dalla sigla dell’imprenditore, mentre l’altra parte può anche essere di pura fantasia,
sempre che il nome non induca all’inganno il consumatore. L’onere della differenziazione
della ditta ex 2564 è difficoltoso vista l’assenza del registro delle imprese fino al 1990.
L’articolo 2565 disciplina la trasferibilità della ditta in capo ad altre persone, la c.d. ditta
derivata.
B. l’insegna
Per l’insegna si applicano come 2568 le regole della ditta, pure potendo variare con
maggiore liberta non avendo nessuna limitazione propria, solo quella generica
dell’originalità.
Per mezzo di pratiche e contratti commerciali integrati come il franchising, sempre più
importanza sta assumendo il ruolo dell’insegna.
C. I marchi d’impresa in generale, l’acquisto del diritto del marchio.
La funzione del marchio, comunque esso sia costituito, è quella di collegare un bene o un
servizio all’impresa da cui derivano. L’acquisto del titolo di esclusività nell’utilizzazione del
marchia si acquista per registrazione e deposito del marchio o per uso di fatto del segno.
Il diritto di utilizzazione dura dieci anni colla possibilità di rinnovo alla scadenza art.4 l.
marchio 1992. Qualora non si procedi alla registrazione del marchio, per detenerne
l’esclusività occorre dimostrare un uso di fatto cioè dimostrare che l’imprenditore intenda
utilizzarlo come segno distintivo dei suoi prodotti e servizi, fatto che può aversi ad esempio
colla pubblicità.Essendo la funzione del marchio quella di rendere riconoscibili dei prodotti,
contiene in maniera intrinseca la dfn di impresa, da qui il divieto di chiederne l’utilizzazione
ai non imprenditori fino alla riforma del 92.L’articolo 22 della l. marchio infatti contiene
l’utilizzazione indiretta del marchio, cioè si considera sufficiente ai fini della registrazione
anche un uso indiretto da parte di imprenditori che sia controllanti dell’impresa.Così anche
si legittima il possesso del marchio da chi imprenditore non lo è.
OPERE DELL’INGEGNO. INVENZIONI INDUSTRIALI
La tutela del diritto d’autore: oggetto e contenuto.
L’articolo 2575 e 1 della legge sulla tutela dell’autore considerano costituenti di tale diritto
le scienze, letteratura, arte figurativa, teatro e cinematografia in qualsiasi modo e forma
espressiva.
Per quanto riguarda le opere di ingegno e le invenzioni si deve distinguere tra poteri
riconducibili alla tutela della personalità che sono irrinunciabili, imprescrittibili e
intrasmissibili, e poteri riconducibili alla sfera patrimoniale dei soggetti interessati ai diritti.
I diritti economici, patrimoniali, durano per la vita dell’autore e per cinquant’anni dalla
scomparsa , ed in questo caso spettano agli aventi titolo per atti inter vivos o mortis causa.
I contratti tipici di utilizzazione del diritto economico di autore è l’edizione, con cui si cede
all’editore il diritto di utilizzazione, e i contratti di esecuzione o rappresentazione per le
opere musicali e teatrali.
Talune fattispecie protette, quali l’arte applicata e i programmi per calcolatore.
L’arte applicata alle creazioni industriali è la strada che l’imprenditore scegli di percorrere
per reagire alla standardizzazione della produzione in serie, dunque che utilizza per
differenziare i propri prodotti.La normativa sul diritto d’autore considera comprendenti in
questa disciplina i
designer industriali, arte applicata all’industria, qualora il contenuto artistico sia scindibile
dal prodotto industriale, e per scindibile si è voluto intendere la qualità artistica che
concettualmente si può scindere dall’oggetto materiale, per cui qualora vi siano tali
requisiti il diritto sull’opera viene
tutelato alla pari di quelli statutariamente previsti dalla legge come pittura, disegno e
scultura. L’AZIENDA
Impresa, imprenditore e azienda
2555 c.c. L’azienda è il complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa.Dall’articolo 2082 risulta imprenditore chi professionalmente esercita
un’attività organizzata economica al fine della produzione e dello scambio di beni e
servizi.Norma questa che deve essere letta contiguamente al 2555 per quanto riguarda
l’organizzazione dei fattori produttivi, ovvero tutto quanto è strumentale all’imprenditore
ed a lui esogeno per svolgere l’attività dell’impresa, infatti l’azienda non è come la
professionalità endogena alla persona fisica o giuridica che svolge l’attività
imprenditoriale.Inoltre la nozione di azienda è indispensabile a permettere una legge di
circolazione nell’attività d’impresa, essendo l’azienda strumento mutabile della
produzione.
Il rapporto fra le nozione di impresa e di azienda -la nozione di azienda nel codice
civile italiano.
Anche se vanto dogmatico di taluni, la distinzione tra impresa e azienda proprio per la
legge di circolazione di quest’ultima deve essere vista per motivi pratici, essendo
l’azienda non componente separata dell’impresa, ma autonoma ed interna a questa. Una
delle tesi migliori di distinzione delle due entità era quella di trovare nella stessa realtà
oggettiva un aspetto dinamico nell’imprenditorialità, ed uno statico nell’azienda, peccando
però, nel considerare la ricerca dei mezzi per acquisizione dell’azienda, c.d. atti di
organizzazione, quali già atti d’impresa.
Proprio per questo non ci si deve stupire per avere nell’interno della nostra legislazione
confusione tra nozioni di cui 2082 e 2555, esempio è l’articolo 2557 sull’alienazione
dell’azienda, che vieta la concorrenza dunque attività d’impresa e non l’azienda.
L’avviamento d’impresa.
L’azienda è l’insieme di beni eterogenei che solo grazie all’imprenditore ed alle sue doti
vengono fatti combaciare per il fine della produzione, e proprio la capacità di adesione
dell’imprenditore dei vari elementi materiali ed immateriali, mobili ed immobili, fungibili o
meno, creano una plusvalenza rispetto agli stessi beni non utilizzati ed organizzati al fine
produttivo. Tale plusvalenza rappresenta l’avviamento dell’impresa. Inoltre deve essere
superata la nozione duplice dell’avviamento in oggettivo e soggettivo, in quanto sempre
riconducibili all’intuito affaristico
dell’imprenditore, e di convesso dovrebbe essere rinforzata la distinzione tra beni capaci di
produrre ricchezza anche dopo il trasferimento o meno.
Il valore economico dell’avviamento viene riconosciuto dall’articolo 2424 stato patrimoniale
in quanto una posta dell’attivo è ad esso destinato ed inoltre dall’art. 34 della L. 392/78
dell’equo canone che attribuisce al conduttore in caso di cessazione del rapporto di
locazione, nel caso che questo sia per usi commerciali, un’indennità da parte del locatore
per la perdita dell’avviamento.
I beni costituenti l’azienda.
Il concetto di azienda è il metodo per disciplinare il trasferimento dei beni organizzati
all’impresa da parte dell’imprenditore.
Nella lettera dell’articolo 2555 sembra che vi siano compresa solo i beni definiti come da
articolo 810, anche se una parte della dottrina vuole fare rientrare tra questi anche i diritti
intercorrenti tra l’azienda e l’ambiente circostante a questa.
Per quanto riguarda i rapporti di lavoro subordinato, vengono questi trasferiti per forza di
legge in capo all’acquirente, mentre per gli altri tipi di contratti, pure essendo automatico il
passaggio, è possibile per volontà delle parti che non avvenga.
Dunque affinché avvenga realmente la traslazione d’azienda occorre che le parti no
abbiano escluso dal passaggio tutti quei rapporti che permettono la funzionalità fisiologico
dell’azienda, c.d. contratti aziendali.
Le teorie relative alla natura giuridica dell’azienda.
L’azienda a seconda dei casi può essere ritrovata in pochi o parecchi elementi
dell’impresa.
Tra questi elementi si devono riconoscere quelli strutturali. Una volta individuati questi, la
dottrina si propaga in due direzioni di scuola, una atomistica, l’altra unitaria nella quale
prevale la tesi universalistica. La prima scuola di pensiero considera tanti diritti reali e di
godimenti da
parte dell’imprenditore quanti sono i beni costituenti l’azienda, mentre la teoria
universalistica considera l’azienda un unico bene e la sottopone dunque alla legge di
circolazione della universalità dei beni ex 816 c.c. Questa scuola è comunque da
escludere visto che la rubrica dell’universalità dei
beni recita che all’universalità rientrano bei della stessa persona proprietaria, caratteristica
senza dubbio assente nell’azienda, i cui beni a vari titoli possono configurarsi legati da
rapporto giuridico coll’imprenditore.
Il trasferimento dell’azienda : contenuto e forma.
Affinché si abbia trasferimento a titolo pieno o a titolo di godimento di un’azienda secondo
gli articoli 2556 ss c.c è necessario che al trasferimento siano inclusi tutti i beni che
permettano di intraprendere un’attività d’impresa, altrimenti non si avrà la fattispecie di
cessione d’azienda, bensì di cessione di beni aziendali. Inoltre i beni trasferiti a titolo
d’impresa non devono essere enucleati un per uno, basta infatti che siano indispensabili
all’attività d’impresa per essere considerati trasferiti all’azienda, mentre qualora non siano
ceduti, e sempre che non siano indispensabili, devono essere elencati analiticamente. Per
quanto riguarda le forme da rispettare per la validità lo stesso 2556 sancisce che ai fini
probatori per le imprese coll’obbligo di iscrizione, i contratti di cessione e di costituzione di
diritti di godimento sull’azienda, devono essere provati colla forma scritta, mentre per la
validità dell’alienazione devono essere rispettati i requisiti dei singoli beni
trasferiti, c.d. teoria atomistica. Da ricordare chela legge 310/93 ha reso effettivo il regime
pubblicitario contemplato dal 2556.
Il divieto di concorrenza.
L’articolo 2557 dispone del divieto di concorrenza nel caso di cessione, fitto o usufrutto
dell’azienda da parte dell’alienante per tutta la durata del contratto in caso di affitto ed
usufrutto o per cinque anni consecutivi dall’atto traslativo per il caso di cessione. La lettera
dell’articolo dunque considera lecita l’attività non in forma d’impresa, dunque occasionale
dello stesso tipo, ed ancora si pensa lecito, sempre che ne fosse a conoscenza
l’acquirente, il prosegui dell’attività
sviabile di clientela, anche in forma organizzata di imprese già possedute dall’alienante
prime della cessione a qualunque titolo essa sia. E’ invece considerata illecita l’attività
d’impresa svolta dall’alienante in caso di azienda già funzionante ceduta a lui per atto inter
vivos o mortis causa
avvenuti dopo l’alienazione. Il motivo del divieto di concorrenza è da ricercarsi nel principio
secondo il quale chi aliena un qualche cosa non ha su di esso nessun diritto , e l’attività
concorrenziale deve essere a tutti gli effetti considerata rimpossesso, in questo caso, di
clienti, inoltre è evidente che nella vendita, l’avviamento rappresenti un surplus per
l’alienante rispetto alla mera addizione dei valori dei beni aziendali ceduti, per cui, visto
che l’acquirente ha sborsato una cifra a titolo di avviamento, deve pretendere dal dante
causa un comportamento che faccia appieno godere la struttura ora in suo possesso
(dell’acquirente).
Talune ipotesi controverse di applicazione del divieto.
Il presupposto della somma pagata dall’acquirente a titolo di avviamento dell’impresa,
permette la non applicabilità del divieto del 2557 qualora dai contratti risultasse
esplicitamente la non corrispensione di questo elemento.
Il principio dettato della norma rende questa applicabile talora in via diretta, altre in via
analogica
anche a questi casi:
- Alienazione di azienda non ancora utilizzata dall’alienante.
Avviene che le attività di organizzazione dell’impresa, hanno di per se intrinseche la
dimensione dell’imprenditorialità, considerata in alcuni testi economici la quarta dopo ,
terra, lavoro, capitale, dunque nella cessione già deve essere compreso il prezzo per
l’avviamento.
- Vendita coattiva dell’azienda.
Pure non potendo essere inquadrato come venditore il fallito che vede cedersi l’azienda
dal curatore fallimentare, deve comunque difendersi il diritto dell’acquirente ad esercitare e
godere pienamente del proprio acquisto, anche perché non è detto che non possa recare
fastidi concorrenziali l’alienante coattivo dell’azienda.
- Assegnazione di azienda in sede di divisione.
In caso di successione ereditaria di azienda, scioglimento di comunione di azienda o
liquidazione di società, per lo stesso fatto che oggetto è l’azienda e non i beni aziendali,
deve ritenersi palese la volontà di rimanere integro il valore di avviamento.
La successione nei "contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda".
L’articolo 2558 prescrive che salvo patto contrario, l’acquirente dell’azienda subentra a
pieno titolo e automaticamente nei contratti per l’esercizio dell’azienda. A questo punto la
tutela del terzo ceduto non viene considerata, infatti cade l’articolo 1406a tutela di questo
che subordina la cessione del contratto alla sua volontà. Pure essendo il terzo tutelato
dallo stesso 2558 che prevede il diritto di recesso entro tre mesi dai contratti per l’esercizio
dell’azienda qualora vi sia la giusta causa, c’è comunque meno tutela in primo proprio
perché l’onere della prova è a carico del ceduto, ed inoltre si tratta di vera e propria
risoluzione contrattuale non essendo possibile ai senso del 2557 la continuazione del
contratto in capo all’alienante.
I contratti aventi carattere personale.
L’ultimo comma del 2558 prevede l’inapplicabilità dell’automatismo di trasmissione dei
contratti aventi carattere personale. Nell’inquadrare questa tipologia di contratti risultano
due filoni principali, uno considerante la norma a difesa degli interessi del terzo,
considerando i contratti personali quelli intuitus personae, ove cioè è rilevante la persona
obbligata nel contratto, dove dunque la figura della persona è oggettivamente impossibile,
esempio è l’opera d’intelletto e artistica. L’altro filone, concettualmente contrapposto con
questo, vede la ratio a difesa dell’imprenditore entrante in azienda, e riguarda in
particolare i contratti a carattere personalissimo quale la scelta delle consulenze aziendali.
L’evoluzione del primo filone porta a non considerare contratti personali tutti quelli intuite
personae, per cui la selezione porta sempre più ad avvicinare le
scelte che si farebbero nei due filoni pure rimanendo sempre di concetti diversi. Inoltre la
scelta viene fatta sempre con criteri oggettivi, per cui l’imprenditore sceglierà sempre la
persona più adatta alle mansioni che dovrà svolgere.
La sorte dei crediti dei debiti relativi all’azienda ceduta.
Gli articoli 2559 e 2560 riguardano l’opponibilità dei crediti e dei debiti senza però
disciplinare i rapporti tra cedente ed acquirente. La dottrina in proposito è divisa in due, c’è
una parte che considera automatico il trasferimento delle pendenze, l’altra invece
l’opposto. La cessione dei crediti secondo il 2559 è efficace quando viene il trasferimento
iscritto nel registro delle imprese, dunque soluzione inapplicata fino al 93 colla 310, e
questa cessione aveva efficacia anche in caso di mancata notifica al ceduto o della sua
accettazione. Il comma secondo 2556 prevede a favore dei creditori dell’imprenditore
alienante una eccezionale solidarietà tra acquirente e cedente per i debiti aziendali
risultanti dai libri obbligatori contabili. L’articolo di norma generale 1273 prevede, e qui
applicabile che l’alienante non è liberato dai debiti anteriori alla cessione se non vi è
consenso dei
creditori.
Discosta dalla disciplina generale l’articolo 2112 modificato da l.428/90 secondo la quale
l’acquirente è solidamente responsabile col cedente dei crediti che il lavoratore dipendente
aveva al tempo del trasferimento. L’acquirente può liberare l’altra parte secondo i modi
degli articoli 410 e 411 cpc.
L’usufrutto e l’affitto dell’azienda.
Molto è trattato l’aspetto dell’usufrutto dell’azienda all’articolo 2561 e dell’affitto al 2562
dove si rimanda all’usufrutto. Il problema è nel contemperare la conservazione organica
dell’azienda e
l’efficacia della struttura, dunque la conservazione del valore di avviamento in capo
all’usufruttuario. Da qui gli obblighi di conservare la ditta dell’azienda e di non mutare
strutturalmente l’azienda. In caso di mancato rispetto secondo l’articolo 1015 sarà
responsabile
l’usufruttuario per abuso del suo diritto. Visto che è fisiologico in un arco di tempo
consistente le variazioni di beni funzionali all’azienda, la differenza di questi riscontrata
dall’inizio dell’usufrutto o dell’affitto, fino alla cessazione, risultante dai libri d’inventario,
saranno regolati in danaro.
II volume di Campobasso. Diritto societario.
Il sistema legislativo.
Le società come recita il 2247 “sono contratti tra due o più persone conferenti beni o
servizi per lo svolgimento di un’attività d’impresa coll’intento di dividerne gli utili”.
Pur essendo otto i tipi societari presenti nel nostro ordinamento, il 2247 rappresenta il
fulcro dell’intera disciplina, il contratto societario.
Il contratto di società.
E’ un contratto che rientra nella più ampia fattispecie dei contratti associativi o con
comunione di scopo, dove come osserva Graziani, il fenomeno che soddisfa le parti è
unico, l’esercizio in comune di un’attività economica, a differenza di altre tipologie
contrattuali dove ogni part è soddisfatta per una peculiarità diversa del contratto.
- nei contratti associativi ciascuna parte che vi partecipa non è obbligata in linea di
principio a conferire beni in una qualità o quantità determinata, in quanto non c’è un
principio di corrispettività tra gli associati del contratto, e di contro tutti i conferimenti
vanno a svolgere una funzione comune di finanziamento all’attività produttiva.
- Il contratto associativo è plurilaterale ed aperto
- Il contratto associativo, e quello di società in particolare, è contratto che disciplina
l’organizzazi0ne futura, per cui i conferimenti non sono altro che la struttura iniziale del
contratto, che è situazione strumentale e non finale del rapporto tra i soci contraenti.
Ora visto che c’è questa distinzione tra i contratti tout court ed i contratti associativi, ne
deriva che per gli ultimi c’è una disciplina speciale , in particolare per quanto riguarda la
nullità, annullabilità, risoluzione, inadempimento e sopravvenuta impossibilità agli obblighi,
questi toccano solo la parte viziata e non tutto il contratto associativo.
I conferimenti.
Le società abbiamo già detto sono riconducibili ai contratti associativi, a distinguere la
società da altri contratti della stessa tipologia, è la coesistenza dei seguenti elementi:
conferimento dei soci
esercizio in comune dell’attività economica (c.d. scopo mezzo)
ripartizione dei potenziali utili (c.d. scopo fine o elemento teleologico)
LA funzione dei conferimenti è di dotare la neo nata impresa di un capitale di rischio
iniziale per l’attuazione della stessa.
Ogni socio col proprio conferimento deputa in maniera stabile il proprio patrimonio
all’esercizio d’impresa andando in contro alla non remunerazione se mancano gli utili, alla
de – capitalizzazione del proprio investimento se ci sono perdite, oppure alla
remunerazione in caso di utili societari.
Riguardo la natura dei conferimenti, la norma generale è dettata dall’articolo 2247 che
dichiara che ogni bene o servizio può entrare tra il ventaglio dei conferimenti , dunque ogni
cosa suscettibile di valutazione economica , anche se poi ci sono deroghe evidenti per le
società di capitali e cooperative.
Riguardo ai conferimenti occorre distinguere :
Patrimonio sociale e capitale sociale.
Il patrimonio sociale è definito come il complesso delle situazioni giuridiche attive e
passive che fanno capo alla società, in particolare è costituito dai conferimenti eseguiti o
promessi dei soci.
Il patrimonio sociale non è un’entità fissa, ma mutevole sia qualitativamente che
quantitativamente in funzione delle gestione ordinaria della società.
La quantizzazione del patrimonio sociale attraverso il calcolo del patrimonio netto, è data
dalla differenza tra attività e passività ed è calcolato ogni anno attraverso la redazione del
bilancio d’esercizio.
Secondo il 2740, l’attivo patrimoniale del patrimonio sociale è la garanzia generica dei
creditori societari.
Tale garanzia è esclusiva nel caso di società dotata di personalità giuridica, principale se
società a responsabilità illimitata dei soci.
Il capitale sociale nominale è invece un valore storico, dato all’atto costitutivo della società
come insieme delle valutazione dei conferimenti versati o sottoscritti, e tale valore cambia
solo da modificazione dell’atto costitutivo dove può aumentare per nuovi conferimenti o
ridursi per perdite subite.
Il capitale sociale nominale svolge funzioni vincolistiche ed organizzative.
Ha una funzione vincolistica in quanto il capitale sociale nominale è la parte di attività
patrimoniale che i soci non possono disporre, la parte dei conferimenti che sono destinati
a perdurare in questa situazione, e che non può essere ripartita.
La ripartizione si potrà avere solo quanto il patrimonio netto (attività meno passività,
supera l’ammontare del capitale sociale.
Il capitale sociale indica una parte ideale del patrimonio netto non distribuibile (c.d.
capitale reale), infatti il capitale sociale nominale è iscritto tra passività del bilancio insieme
ai debiti.
Il capitale sociale nominale svolge anche una funzione organizzativa.
DESCRIZIONE APPUNTO
Riassunto per l'esame diDiritto Commerciale, basato su appunti personali e studio autonomo del testo consigliato dal docente Diritto commerciale, Campobasso, in cui viene analizzata la figura dell'imprenditore e le varie tipologie di imprese. Nello specifico i temi analizzati sono: l'imprenditore, l'acquisto della qualità di imprenditore, lo Statuto dell'imprenditore commerciale, i segni distintivi, oneri dell'ingegno e invenzioni industriali, l'azienda.
I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher trick-master di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto commerciale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Gabriele D'Annunzio - Unich o del prof Briolini Federico.
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