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LE AZIONI
Le azioni sono le quote di partecipazione dei soci nella società per azioni; sono quote di
partecipazione omogenee e standardizzate, liberamente trasferibili e di regola rappresentate da
documenti (i titoli azionari) che circolano secondo la disciplina dei titoli di credito. Nella società per
azioni, infatti, il capitale sociale sottoscritto è diviso in un numero predeterminato di parti di
identico ammontare, ciascuna delle quali costituisce un’azione ed attribuisce identici diritti nella
società e verso la società. la singola azione rappresenta perciò, l’unità minima di partecipazione al
capitale sociale e l’unità di misura dei diritti sociali; è perciò indivisibile.
La descritta tecnica di divisione del capitale in parti comporta poi che, in relazione all’ammontare
del capitale sottoscritto, ciascun socio diventa titolare di una o più azioni, di una o più
partecipazioni sociali, che restano tendenzialmente distinte ed autonome anche quando fanno
capo alla stessa persona.
Azioni e capitale sociale
Le azioni devono essere tutte di uguale valore (art. 2348); devono cioè tutte rappresentare
un’identica frazione del capitale sociale nominale. E si definisce valore nominale delle azioni la
parte del capitale sociale da ciascuna rappresentata espressa in cifra monetaria. A differenza della
disciplina previgente, quella attuale consente tuttavia che vengano emesse anche azioni senza
indicazione del valore nominale.
Nelle azioni con valore nominale lo statuto deve specificare non solo il capitale sottoscritto, ma
anche il valore nominale di ciascuna azione ed il loro numero complessivo. Il valore nominale
delle azioni, al pari del capitale sociale nominale, è insensibile alle vicende patrimoniali della
società. rimane invariato nel tempo e può essere modificato solo attraverso una modifica dell’atto
costitutivo, dando luogo al frazionamento o al raggruppamento delle azioni.
Nelle azioni senza valore nominale invece lo statuto ed i titoli azionari devono indicare solo il
capitale sottoscritto ed il numero delle azioni emesse, fermo restando che anche le azioni senza
valore nominale sono frazioni uguali del capitale sociale.
In tal caso la partecipazione al capitale del singolo azionista sarà espressa in una percentuale del
numero complessivo delle azioni emesse. Perciò nelle azioni senza valore nominale le disposizioni
che a quest’ultimo si riferiscono si applicano con riguardo al loro numero in rapporto al totale
delle azioni emesse (art.2346).
Per tutte le azioni (con e senza valore nominale) vale la regola che in nessun caso il valore
complessivo dei conferimenti può essere inferiore all’ammontare globale del capitale sociale; il
che comporta che le azioni non possono essere complessivamente emesse per somma inferiore al
loro valore nominale. Si vuole così evitare che il capitale realmente conferito dai soci sia inferiore a
quello dichiarato.
Le azioni possono essere invece emesse per somma superiore al valore nominale (emissione con
sovrapprezzo). L’emissione con sovrapprezzo è anzi obbligatoria quando venga escluso o limitato il
diritto di opzione degli azionisti sulle azioni di nuova emissione (art. 2441) ed il valore reale delle
azioni sia superiore a quello nominale.
Il valore di emissione delle azioni va infatti tenuto distinto dal valore reale delle stesse, che si
ottiene dividendo il patrimonio netto della società per il numero delle azioni. Diverso ancora è il
valore di mercato delle azioni, che risulta giornalmente dai listini ufficiali quando le azioni sono
ammesse alla quotazione in un mercato regolamentato (borsa valori). Esso indica il prezzo di
scambio delle azioni in quel determinato giorno; prezzo che solo tendenzialmente coincide col
valore patrimoniale attuale, dato che sullo stesso incidono anche le prospettive economiche
future della società.
È fuori dubbio infine che un pacchetto azionario, soprattutto se consente il controllo della società,
ha un proprio specifico valore, maggiore e spesso notevolmente maggiore della somma dei valori
delle singole azioni. E ciò ne impone una considerazione unitaria quanto meno in sede di
valutazione.
La partecipazione azionaria
Ogni azione costituisce una partecipazione sociale ed attribuisce al suo titolare un complesso
unitario di diritti e poteri di natura amministrativa (diritto di intervento e di voto nelle
assemblee…), di natura patrimoniale (diritto agli utili…) ed anche a contenuto complesso
amministrativo e patrimoniale (diritto di opzione, diritto di recesso…).
Peculiare caratteristica delle azioni è l’uguaglianza dei diritti:
Art. 2348 c.c. “Le azioni devono essere di uguale valore [2463, 2468] e conferiscono ai loro
possessori uguali diritti.
Si possono tuttavia creare, con lo statuto [2328, n. 8, 2351] o con successive modificazioni di
questo [2346, 2350, 2351, 2365, 2369, 2376, 2436], categorie di azioni fornite di diritti diversi
anche per quanto concerne la incidenza delle perdite (2). In tal caso la società, nei limiti imposti
dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle azioni delle varie categorie.”
Il principio di uguaglianza va tuttavia correttamente inteso: si tratta di uguaglianza relativa e non
assoluta ed inoltre di un’uguaglianza oggettiva non soggettiva.
L’uguaglianza è relativa in quanto è possibile creare “categorie di azioni fornite di diritti diversi”.
Da qui la distinzione tra azioni ordinarie ed azioni di categoria o speciali. L’uguaglianza è poi
oggettiva e non soggettiva: uguali sono i diritti che ogni azioni attribuisce, non i diritti di cui
ciascun azionista globalmente dispone, dovendosi al riguardo tener conto anche del numero delle
azioni di cui ciascuno è titolare. Infatti, se è vero che alcuni diritti dell’azionista sono indipendenti
dal numero di azioni possedute, non è meno vero che i diritti più significativi spettano in
proporzione del numero di azioni possedute. Ed è proprio con riferimento a questi diritti che si
coglie la situazione di disuguaglianza soggettiva degli azionisti; così è vero che ogni azione
(ordinaria) attribuisce il diritto di voto, ma è anche vero che diversa è la posizione di potere nella
società di chi è titolare di una sola azione e di un voto, rispetto a chi è titolare di mille azioni e di
mille voti. Si badi però che si tratta di disuguaglianze soggettive perfettamente legittime e giuste,
perché su di esse si fonda l’ordinato funzionamento di un organismo economico a base
capitalistica. In esse si esprime infatti l’essenza del principio cardine delle società di capitali: chi ha
più conferito e più rischia ha più potere e può imporre, nel rispetto della legalità, la propria
volontà alla minoranza. Il che non esclude però che, quando entrano in gioco interessi pubblici di
particolare rilievo, siano introdotte deroghe al principio capitalistico, con il riconoscimento allo
Stato o ad enti pubblici di poteri societari svincolati dall’ammontare della partecipazione azionaria
o addirittura dalla qualità stessa di azionista. È questo ad esempio, il caso del potere di veto
all’adozione di una serie di delibere di particolare rilievo, esercitabile per legge dall’autorità
governativa nei confronti di società operanti in settori strategici.
La categoria speciali di azioni
Sono categorie speciali di azioni quelle fornite di diritti diversi da quelli tipici previsti dalla
disciplina legale. Esse possono essere create con lo statuto o con successiva modificazione dello
stesso. La presenza di categorie speciali di azioni comporta una modifica nell’organizzazione
interna della società: è infatti stabilito che, se esistono diverse categorie di azioni, le deliberazioni
devono essere approvate anche dall’assemblea speciale della categoria interessata. Alle
assemblee speciali si applica la disciplina delle assemblee straordinarie, se le azioni speciali non
sono quotate (art. 2376). Se invece le azioni speciali sono quotate, si applica la disciplina
dell’organizzazione degli azionisti di risparmio, che prevede quorum assembleari meno elevati e la
nomina di un rappresentante degli azionisti speciali.
La valutazione dell’interesse di tutti gli azionisti e quella degli interessi di categoria prevalgono
perciò sulla volontà individuale e rendono legittimo, nell’interesse comune, il sacrificio dei diritti
speciali originariamente attribuiti ad una determinata categoria di soci. I diritti speciali si
categoria sono perciò diritti di gruppo e non diritti individuali.
L’attuale disciplina è molto più permissiva di quella previgente; infatti, con la riforma del 2003
tutte le società possono emettere azioni senza diritto di voto, in passato consentite solo per le
società quotate (azioni di risparmio) a partire dal 1974.
Nel contempo sono scomparse le azioni privilegiate a voto limitato e si consente a tutte le società:
a) La creazione di azioni (anche non privilegiate) “con diritto di voto limitato a particolare
argomenti”, non necessariamente si esclusiva competenza dell’assemblea straordinaria
b) Di azioni “con diritto di voto subordinato al verificarsi di particolari condizioni non
meramente potestative”
Azioni senza voto, a voto limitato e a voto condizionato non possono tuttavia superare
complessivamente la metà del capitale sociale in modo da evitare un’eccessiva concentrazione di
potere nelle mani degli azionisti a voto pieno.
La riforma del 2003 aveva invece mantenuto il divieto, previsto dalla disciplina previgente, di
emettere azioni a voto plurimo; azioni cioè che attribuiscono ciascuna più di un voto. Anche
questo limite però è stato recentemente attenuato.
Oggi le società non quotate possono emettere azioni speciali a voto plurimo che attribuiscono fino
ad un massimo di tre voti per ciascuna azione. Gli statuti delle società quotate non possono invece
prevedere l’emissione di azioni a voto plurimo, fero restando che quelle emesse prima della
quotazione mantengono le loro caratteristiche e diritti anche dopo. Per contro, le società quotate
possono riconoscere per statuto una maggioranza del voto ai soci “di lungo periodo” titolari di
azioni da non meno di ventiquattro mesi: vale a dire, attribuire a costoro un numero di due voti
per ciascuna azione continuativamente posseduta per il periodo richiesto.
La differenza con le azioni a voto plurimo è che la maggiorazione del voto è un privilegio
conseguibile da tutti gli azionisti nel rispetto delle condizioni fissate dallo statuto; non è un diritto
riservato ai titolari di una speciale ca