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CAP. 3 – L’UOMO DI FRONTE A DIO CHE VIENE
Quando si annuncia che il regno dei cieli è vicinissimo, Gesù manifesta che egli è presente a Dio in modo speciale:
egli, un uomo, si rivela essere presenza di Dio. Ma tale annuncio è assai di più: è un appello che egli rivolge ai suoi
contemporanei, e anche a ogni uomo. 8
Se Gesù ha per criterio del proprio agire non più la Legge come tale, ma solo Dio sperimentato all’opera, perché
non si potrebbe dire la stessa cosa di coloro che credono in lui? Se l’uomo si rifiuta di accogliere Dio Che viene
oggi, compie delle azioni che non esprimono ciò a cui è destinato. Si coglie invece Dio che viene oggi, può agire in
pienezza. Toccheremo allora con mano che esiste una reale sinergia tra Dio e l’uomo.
A. Secondo la tradizione sinottica
1. L’uomo diventato “cattivo”
L’uomo è un essere sospeso a Dio con il suo alito. Ma ecco che Dio viene a lui in modo nuovo: annunciandogli che
“il regno di Dio è vicinissimo”, Gesù invita ad accoglierlo. Ora, contrariamente a ogni attesa, gli evangelisti
sembrano compiacersi di narrare il fallimento di Gesù. Conviene collocare tale fallimento in relazione al termine
del racconto, cioè il trionfo della vita sulla morte. E infatti la morte e che occorre affrontare per apprezzare la vita.
A) L’uomo non accoglie il messaggio
Se, da parte loro, i capi politici e religiosi hanno nutrito sospetti nei confronti del comportamento e della
predicazione del nuovo arrivato, I contemporanei, nel loro insieme, non si sono mostrati maggiormente
disponibili alla sua parola, o quella di Giovanni battista.
Anche qui abbiamo la confessione di un fallimento durante la sua vita terrena, finché non viene dato lo Spirito,
Gesù non riesce a far comprendere il messaggio spirituale del regno di Dio né che il suo agire non era soltanto
collegato alla terra, ma esprimeva la vita stessa di Dio.
Gesù stesso non si è lasciato illudere dal successo che all’inizio ha agevolato la sua predicazione. È quanto lui
medesimo espresso attraverso la parabola del seminatore.
Proclamando che il regno di Dio è in atto, Gesù è stato compreso come colui che annuncia che il regno finale si
sarebbe presto realizzato, mentre quest’ultimo era presente soltanto in Gesù.
Nessuno può “meritare” la vita eterna come qualcosa di dovuto, grazie qualche “performance”. La giustizia di Dio
non si misura in base alla giustizia distributiva degli uomini, ma secondo un metro ben superiore: tutto è
determinato dalla volontà divina.
B) L’uomo che non è un “servo”
L’uomo non ha alcun diritto nei confronti di Dio, non può pretendere alcune considerazioni sulla sua personale
condizione rispetto a lui.
C) L’uomo è peccatore
Secondo Gesù, Dio è vicinissimo all’uomo. Ma l’uomo deve riconoscersi “peccatore” perdonato: “… Non sono
venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori”.
Tale è il perdono incondizionato accordato ormai a tutti coloro che accolgono l’annuncio del regno.
Gesù si rifiuta di collegare peccato e morte tragica. Rivela invece che un legame segreto unisce peccato e morte
definitiva. E poiché Gesù invita ogni uomo alla conversione, lascia intendere che ogni uomo è peccatore,
anticipando così le considerazioni di San Paolo o di San Giovanni sul “peccato del mondo”, cioè sulla dimensione
collettiva di ogni peccato individuale. L’universo è un “mondo in frantumi”. Per accogliere il regno di Dio, l’uomo
deve riconoscersi peccatore, non per far proprio un qualche sentimento di “colpevolezza”, ma per aprirsi a Dio
che è sempre disposto a concedere il suo perdono. 9
D) L’uomo è “cattivo”
Gesù è intimamente convinto che dobbiamo considerarci come servitori e persino come peccatori.
La qualifica di “cattivo” deve essere ben capita. L’uomo è “cattivo” quando non osserva la Legge. Per Gesù tutti gli
uomini sono “cattivi”, non per natura, ma perché tutti peccatori, infedeli alla Legge.
2. I piccoli sono senz’altro con il regno di Dio
A) Il Padre ha rivelato il messaggio ai piccoli
La presentazione del messaggio evangelico non si ferma di fronte all’insuccesso: Gesù ha affermato anche che,
benché insieme sia in gran parte perduto, esso dà comunque frutti meravigliosi.
In perfetta unione con il Padre che governa gli eventi, Gesù proclama così che il suo messaggio è compreso dai
“più piccoli”.
B) Beati i poveri!
Gesù ha proclamato beati i “poveri”. Questa proclamazione è spesso mal interpretata.
Anzitutto, con il termine “beati” Gesù non formula una “benedizione”: constata un dato di fatto, allo stesso
modo, non “maledice” i ricchi, ma li qualifica come sventurati”.
La terra di Israele appartiene a Dio, che ne è il re. E dunque lui che deve mantenere la giustizia e vendicare il
diritto degli pressi. Di qui, le antiche prescrizioni a favore dei poveri riprese dei profitti. Poiché la situazione di
questi poveri non cambia, i profitti hanno proiettato la loro speranza nell’avvenire di Dio.
Gesù si colloca nella tradizione escatologica dei profeti, pieni di sollecitudine verso i poveri. Egli li considera poveri
non a motivo della loro virtù, ma del solo fatto della loro condizione sociologica e al tempo stesso religiosa: i
poveri aspettano tutto da “altrove”. Sono “i clienti di Dio”.
Gesù rivela il capovolgimento dei valori terreni: fin da adesso, il regno di Dio, che sta per venire, è destinato a tutti
poveri. L’unico vero criterio da tenere a mente non è più la capacità di obbedire alle esigenze della Legge, ma la
accoglienza del regno di Dio.
C) I bambini, modelli per entrare nel regno
Benché Gesù accordi la sua benedizione ai bambini, non per questo afferma che il regno di Dio sia loro. Ma egli li
propone ai suoi discepoli come modelli viventi che dobbiamo imitare. In che cosa? I bambini sono docili e
fiduciosi, si presentano come modelli di disponibilità, non si può non ammirare la loro semplicità, la loro
innocenza, e persino la loro umiltà.
A differenza dei discepoli che sgridano I bambini, Gesù li prende fra le sue braccia e benedice questi diseredati
secondo la Legge.
3. L’agire cristiano
A) L’uomo deve agire
Incontrando Dio e il suo progetto, l’uomo accoglie l’Alleanza dandosi da fare. Il vero discepolo non si accontenta
di belle parole: deve metterle in pratica.
B) L’uomo deve agire “moralmente”
Secondo i manuali di teologia, l’azione è definita morale quando è conforme ai comandamenti di Dio.
L’agire umano è autentico, perché è al tempo stesso un agire di Dio.
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C) La sinergia
Abbiamo cercato di capire come l’uomo può rispondere all’annuncio della buona novella che proclama che “Dio
viene a salvarci”. Egli deve in primo luogo accogliere il Salvatore e dunque riconoscersi peccatore, incapace cioè di
salvarsi con le sole sue forze. Deve poi agire secondo le esigenze di Gesù e di Dio.
Se dunque l’uomo agisce, è perché ha accolto Dio e il progetto del suo regno. L’uomo “co-agisce” con Dio. La
condotta morale non “merita” alcuna ricompensa, perché non vi è rapporto di causa a effetto. L’agire dell’uomo
non produce dunque la salvezza, ma ne è il frutto; si sforza di esprimere l’agire di Dio, da cui esso non consegue, è
segno che la sovranità di Dio è stata male accolta.
Poiché la salvezza recata da Dio che regna è un dono gratuito di accogliere, l’agire umano è reso possibile da Dio
stesso. Il dono di Dio procede e fonda l’agire dell’uomo.
B. Secondo il Vangelo di Giovanni
Giovanni non conserva la maggior parte dei termini utilizzati dai Sinottici. Non c’è più alcuna “conversione” da
compiere, alcun “ricco” da criticare, alcune “denaro” da utilizzare in certi casi, né alcun “mammona” da
condannare. La risposta non è espressa con il verbo “accogliere”; non c’è più alcun “povero” con cui felicitarsi,
nessun “piccolo” oggetto della sollecitudine divina. Tutti questi termini, ignorati da Giovanni, sono assunti in
un’altra prospettiva: quella dell’uomo di fronte a Gesù, luce che viene nel mondo. Tutto si gioca sulla fede,
sull’accoglienza di Gesù in persona.
1. La luce invade le tenebre
Gesù affronta il mistero dell’incredulità. La fede in Gesù è l’unica opera che ci si attende dall’uomo.
2. Bisogna essere rigenerati
Secondo i Sinottici, i poveri e i piccoli sono spontaneamente aperti al regno di Dio: bisogna tornare come bambini
per accogliere il regno che viene. Il quarto Vangelo trasforma a modo suo il tema dei bambini: non si tratta
soltanto di imitare, di sforzarsi di essere umili.
Con l’espressione “regno di Dio”, Giovanni designa la “vita eterna”, cioè il regno escatologico di Dio. L’espressione
“il regno di Dio” si trova solo qui in Giovanni.
3. Il credente deve dimorare in Gesù
Gesù esprime la condizione del credente con il verbo “dimorare”. Il verbo “dimorare” significa, nel linguaggio
sapienziale, “aderire strettamente”.
4. Portare frutto
Al credente Gesù non chiede comunque di restare immobile: da lui si attende una “agire”, che egli esprime con
l’allegoria della vite.
5. La preghiera esaudita
Un’altra conseguenza della coesistenza del discepolo con il Figlio è l’esaudimento della preghiera.
Gesù rinnova la certezza di essere esauditi per ciò che desideriamo. L’oggetto della richiesta è la produzione del
frutto, il cui orizzonte è la glorificazione del Padre. 11
6. Le opere dei discepoli
Gesù identifica l’agire di discepoli con il proprio agire. Non si tratta di un “modello” da copiare alla lettera. Se
Gesù sta per morire, non cesserà di agire per la gloria del Padre. Ha certo terminato la sua missione sulla terra,
ma la prosegue anche oggi attraverso i suoi discepoli che esprimono il suo agire.
A mo’ di conclusione
Le due tradizioni – sinottica e giovannea – propongono una medesima coazione dell’uomo e di Dio,