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PERCHÈ LA CHIESA
PARTE 1 – IL CUORE DEL PROBLEMA CHIESA
CAP. 1 – Come introdursi all’intelligenza della Chiesa
1. Un presupposto fondamentale
La Chiesa non solo è espressione di vita, qualcosa che nasce dalla vita, ma è una vita. Una vita che ci
raggiunge da molti secoli a noi precedenti.
2. Una sintonia col fenomeno
La Chiesa è una realtà catalogabile tra i fenomeni religiosi. La Chiesa è “vita” religiosa.
È spiegabile che nella situazione di ognuno di noi, nell’ambito mentale contemporaneo, vi siano delle
difficoltà ad affrontare una realtà di tipo religioso. L’assenza di educazione del senso religioso naturale ci
porta troppo facilmente a sentir lontane da noi realtà che sono invece radicate dentro la nostra carne e il
nostro spirito. Al contrario, la vivacità e la presenza dello spirito religioso rende più immediatamente
facile capire i termini di una realtà come la Chiesa.
In questa situazione, la prima difficoltà nell’affrontare la Chiesa è una difficoltà di intelligenza, una fatica
dovuta alla non disposizione del soggetto rispetto all’oggetto che deve giudicare: una difficoltà di
intelligenza causata da una situazione non evoluta dal senso religioso.
Il senso religioso ha come caratteristica sua propria di essere la dimensione ultima inevitabile di ogni
gesto, di ogni azione, di ogni tipo di rapporto. È un livello di domanda o di adesione ultima inestirpabile
da ogni istante di vita, perché la profondità della sua richiesta di significato si riverbera su ogni passione,
iniziativa, gesto.
L’ineducazione del senso religioso si documenta esattamente in questo: esiste in noi una ripugnanza
divenuta istintiva a che il senso religioso domini, determini ogni azione coscientemente.
È precisamente questo il sintomo dell’atrofia e della parzialità dello sviluppo del senso religioso in noi.
Quella difficoltà estesa e greve, quella estraneità che avvertiamo quando ci sentiamo dire che il “Dio” è il
determinante di tutto, è il fattore al quale non si può sfuggire.
L’educazione del senso religioso dovrebbe favorire la presa di coscienza di quel dato di inevitabile e
totale dipendenza che esiste tra uomo e ciò che dà senso alla sua vita e, dall’altro, aiutarlo a espugnare
col tempo quella estraneità irrealistica che Egli prova nei confronti della sua situazione originale.
3. Mettere a fuoco l’originalità del cristianesimo
Questo tema del senso religioso è importante per capire l’originalità del cristianesimo. Il cristianesimo è
una soluzione al problema religioso e di questo la Chiesa è strumento.
Dal senso religioso scaturisce l’ipotesi che il mistero che circonda tutte le cose, che penetra tutte le
cose, si manifesta all’uomo. L’annuncio cristiano è che questa ipotesi si è avverata: il mistero è diventato
fatto storico, un uomo si è detto Dio.
4. Il cuore del problema Chiesa
Come può arrivare uno a comprendere se veramente Gesù di Nazareth è l’avvenimento che incarna
quell’ipotesi della rivelazione in senso stretto? Questo problema è il cuore di ciò che storicamente si
chiama “Chiesa”.
La parola “Chiesa” indica un fenomeno storico il cui unico significato consiste nell’essere per l’uomo la
possibilità di raggiungere la certezza su Cristo, nell’essere la risposta. Per qualsiasi uomo che venga a
contatto con l’annuncio cristiano è imperativo cercare di raggiungere una certezza in merito a un
problema così decisivo per la sua vita e la vita del mondo. Si può censurare il problema, ma data la
natura della domanda, è come rispondervi negativamente.
È quindi importante che, oggi, chi viene dopo l’avvenimento di Gesù di Nazareth, può accostarlo in modo
tale da raggiungerne una valutazione ragionevole e certa, adeguata alla gravità del problema. La Chiesa
si pone come la risposta a tale esigenza di valutazione certa. Ciò presuppone la serietà della domanda:
“Chi è veramente Cristo?”, cioè un impegno morale nell’uso della coscienza di fronte al fatto storico
dell’annuncio cristiano. Così come questo presuppone la serietà morale nella vita del senso religioso in
quanto tale.
CAP. 2 – Prima premessa: come raggiungere oggi la certezza sul fatto di Cristo
Tre sono gli atteggiamenti culturali da cui emergono risposte diverse: un fatto del passato,
un’illuminazione interiore, uno sguardo ortodosso-cattolico. Dire “tre atteggiamenti culturali” non equivale
semplicemente a sfogliare tre capitoli della storia culturale dell’Occidente, ma significa scovare le pieghe
nascoste assunte dalla storia della coscienza dell’uomo di fronte al problema che stiamo trattando, e
significa anche indicare tre modalità che possono essere nostre nell’affrontare le più diverse circostanze
della nostra vita.
L’atteggiamento culturale nella sua valenza radicale di visone di sé e del mondo, investe la modalità
stessa di rapporto con tutto. E ogni errore in quest’ambito è la codificazione di una tentazione che
subiamo tutti.
1. Un fatto del passato
Il primo atteggiamento può essere riassunto così: Gesù Cristo è un fatto del passato, così come lo sono
stati Giulio Cesare o Napoleone. Si raccoglie tutto, si paragona, si valuta e si raggiunge infine un certo
giudizio che sarà di certezza su alcuni fattori, di incertezza su altri.
È il normale metodo della ragione applicata a un fatto del passato, ossia della “ragione storica”. È
un’impostazione sulla quale a prima vista si può non trovare nulla da ridire.
Passiamo a verificare gli effetti di questo atteggiamento applicato al fatto di Cristo.
I risultati di questo metodo suscitano un primo livello di perplessità. Il dato di fatto che emerge
inventariando gli studi compiuti è che ci si trova di fronte a centinaia di interpretazioni diverse.
Il razionalismo come posizione mentale nasce da quel concetto di ragione per cui essa è la misura delle
cose.
Il razionalismo è l’abolizione della categoria delle possibilità: se infatti è possibile solo quanto è
misurabile, cioè dominabile da misure già possedute, in realtà viene negata la vera categoria del
possibile, dell’eventuale esistenza di qualcosa la cui natura sconfini al di là dei limitati orizzonti cui
giunge l’uomo, per quanto dilatabili.
L’annuncio cristiano ci dice che Dio si è reso presenza nella storia, “Dio con noi”. Per capire se questo è
vero, l’atteggiamento razionalistico rimette la questione nei termini antecedenti l’annuncio stesso,
riformula il problema così come tutto lo sforzo religioso dell’uomo l’aveva formulato nel tentativo di
gettare un ponte tra la propria contingenza e il mistero.
L’atteggiamento razionalista tende a ricondurre la mente a un tipo di concezione che ci è comunque più
familiare. Il fatto che Dio si renda presenza umana è per noi un mistero. Di fronte all’annuncio cristiano,
noi abbiamo sempre la tentazione di ridurre Dio, presente sempre, alle immagini che noi abbiamo della
presenza e dell’assenza. Gli uomini hanno sempre tentato di concepire il loro rapporto con Dio e così
sono sorte le varie religioni. Qual è la novità della rivoluzione cristiana? Che Dio non è una lontananza a
cui con uno sforzo l’uomo tenti di arrivare, ma Qualcuno che si e affiancato al cammino dell’uomo e ne è
diventato compagno.
Bisogna notare che la posizione razionalista vuole si constatare Cristo un fatto storico ma chiama storico
ciò che essa stessa intende come storico. L’atteggiamento razionalista appare veramente contrario alla
novità, alla categoria della possibilità.
2. Una illuminazione interiore
Il secondo atteggiamento è la posizione protestante, che è profondamente religiosa e come tale
percepisce con chiarezza la distanza sterminata che c’è fra l’uomo e Dio.
Come disse l’angelo a Maria di fronte al suo turbamento quando le veniva annunciato il concepimento di
Gesù: “Nulla è impossibile a Dio”.
Questo atteggiamento che stiamo affrontando è ben disposto a comprendere che, se a Dio tutto è
possibile, anche sarà possibile il contenuto del grande annuncio: Dio reso presenza. Più precisamente:
Dio si è reso presenza nell’umanità solo in un punto, Cristo.
Ma come oggi l’uomo potrà raggiungere la certezza di questa presenza, la verità di tale esperienza? Si
tratta di un riconoscimento attraverso un’esperienza interiore.
È questo il fulcro dell’atteggiamento protestante. Il metodo protestante, per raggiungere il fatto di Cristo
lontano, è un rapporto interiore e diretto con lo Spirito. È un incontro interiore.
Questa era, tecnicamente parlando, l’esperienza dei profeti. Perciò, se da un certo punto di vista
l’atteggiamento protestante è l’opposto di quello razionalistico, dall’altro esiste come pericolo una certa
identità tra i due atteggiamenti. Il denominatore comune è un ultimo soggettivismo.
L’annuncio cristiano è un fatto integralmente umano secondo tutti i fattori della realtà umana, che sono
interiori ed esteriori, soggettivi e oggettivi. L’atteggiamento protestante annulla questa integralità, riduce
l’esperienza cristiana a esperienza meramente interiore.
3. Lo sguardo ortodosso-cattolico
Il terzo atteggiamento è quello della tradizione cristiana come tale. Viene chiamato ortodosso-cattolico
perché sia l’ortodossia sia il cattolicesimo vivono la medesima concezione. È un atteggiamento che
realizza tutta la tradizione. Ha come caratteristica la coerenza con la struttura dell’avvenimento cristiano
così come si è presentato nella storia.
Si è presentato nella storia come la notizia, l’annuncio di Dio, del Mistero che si è fatto “carne”, presenza
integralmente umana. Una presenza integralmente umana implica il metodo dell’incontro.
L’atteggiamento che abbiamo definito ortodosso-cattolico indica questo come metodo per raggiungere
Gesù Cristo anche oggi. Tale metodo è imbattersi in una realtà fatta di coloro che credono in Lui.
Storicamente parlando questa realtà si chiama “Chiesa”, sociologicamente parlando “popolo di Dio”,
ontologicamente parlando, cioè nel senso profondo de