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FIAT

Le caratteristiche e le dimensioni del mercato interno rappresentano il limite all’affermazione della

produzione automobilistica di massa in Italia.

In posizione di assoluto dominio del mercato automobilistico vi è la FIAT, affiancata da Lancia, Alfa

Romeo e Bianchi.

La solidità della maggiore impresa meccanica italiana non viene messa in discussione nemmeno dalla

conflittualità operaia del biennio 1919-20.

A partire dai primi anni ‘20 la FIAT prosegue ed estende il disegno di integrazione verticale centrato

sul settore automobilistico partendo dall’autonomo rifornimento di energia elettrica e dalle

produzioni metallurgiche per giungere a un ulteriore potenziamento della rete di vendita.

Il successo di questa strategia risiede nel solido assetto proprietario dell’impresa, nel saldo controllo

di Giovanni Agnelli che gode della fiducia degli ambienti finanziari e nella sua valida gerarchia

manageriale; l’obiettivo strategico principale è la produzione di grandi quantità di auto.

La dimensione della FIAT, il dominio sul mercato interno e le quantità vendute in Italia escono però

fortemente ridimensionati dal confronto internazionale nel periodo fra le due guerre: basti dire che le

auto in circolazione in Italia erano nel 1939 quasi 300 mila, a fronte dei 25 milioni negli USA, 2

milioni in Gran Bretagna, quasi 2 milioni in Francia e 1,3 milioni in Germania.

I progetti di sviluppo dell’impresa FIAT erano frenati dalla difficoltà a garantire il flusso continuo della

produzione per ragioni tecniche, ma soprattutto dalla scarsa pressione della domanda.

Per forzare i limiti della domanda interna, l’azienda fonda nel 1926, la Società anonima vendita

autoveicoli (SAVA) con l’intento di promuovere e diffondere la pratica dell’acquisto a rate, strumento

che si rivela di una certa efficacia.

- Nel 1927 viene creata l’IFI (Istituto finanziario industriale), la holding controllata direttamente da

Agnelli che si incarica della gestione del patrimonio di partecipazioni, nazionali ed estere.

Settore siderurgico

Dopo il conflitto mondiale matura, in tutta la sua gravità, il problema siderurgico italiano.

La produzione di acciaio “a carica solida” si avvantaggia della caduta dei prezzi del rottame sui mercati

internazionali (a seguito della grande disponibilità creata dalla guerra e dalla riconversione), ma anche

della ripresa produttiva centrata in prevalenza sulla meccanica leggera e dello sviluppo dell'edilizia.

Questa situazione favorevole viene sfruttata dai più dinamici e flessibili produttori siderurgici che

adoperano la tecnologia del forno elettrico: le Acciaierie e ferriere lombarde e la FIAT.

Nel periodo tra le due guerre le importazioni di rottame crescono a ritmi eccezionali e la siderurgia

mostra significative capacità di espansione.

ILVA

L’Ilva invece giunge alle soglie degli anni ‘20 senza aver preso una decisione netta tra le due modalità

di produzione dell’acciaio: 1) quella a ciclo integrale (che prevede la produzione dell’acciaio

direttamente dal minerale estratto) 2) quella a carica solida (produzione dell’acciaio dai rottami), e

ciò contribuirà al suo clamoroso insuccesso imprenditoriale.

Dopo il crollo dell'ILVA polisettoriale di Max Bondi, nel 1921 la riorganizzazione del gruppo, ora

controllato dalla COMIT viene impostata sulla specializzazione nella produzione di acciaio a ciclo

continuo dall'altoforno, con un importante ruolo di sostegno da parte dello Stato tramite la ripresa

delle commesse e massici interventi finanziari (direttamente dalla Banca d'Italia o attraverso il CSVI) e

il ristabilimento della protezione doganale sulla ghisa.

Tuttavia, l'ILVA ristrutturata non si presenta come un sistema industriale integrato, ma ha più i

caratteri di un raggruppamento disorganico, costituito da stabilimenti sparsi sul territorio nazionale le

cui produzioni sono difficilmente coordinabili a causa delle diverse tecnologie adottate e delle

distanze geografiche.

Alla metà degli anni ‘20 il mancato sfruttamento della posizione di monopolio nazionale nella

produzione della ghisa che deriva dall'assenza di una direzione aziendale capace di operare una scelta

convinta a favore del ciclo integrale appare ormai segnare le ambizioni dell’ILVA.

Essa rinuncia ad interventi e progetti di riorganizzazione, e l’onere dell’indebitamento bancario e

l’avanzata della concorrenza interna portano al ridimensionamento dell’impresa.

Il progressivo snaturamento dell’attività originaria dell’ILVA e la sua posizione marginale sul mercato

rappresentano di fatto la condizione per la crescita della FIAT, della AFL Falck e della sopravvivenza di

imprese inefficienti e arretrate.

CAPITOLO 12. MITI E REALTA’ DELL’ECONOMIA FASCISTA

Durante gli anni della dittatura fascista si cerca di realizzare un vasto programma di costruzione

dell’identità nazionale sotto il profilo politico, sociale, culturale ed economico.

Il fine principale di tale progetto, cui devono concorrere tutte le energie della nazione, sono il

benessere e la potenza dello Stato, concepito come valore supremo.

Dopo l’incerta fase politica del biennio rosso, in cui il fascismo assume il volto di movimento violento

9

ma necessario a restaurare la legalità, e le vicende della marcia su Roma , Mussolini giunto al potere

può avviare il suo disegno di riforma dello Stato.

Sino al 1925 la politica fascista non è però ancora chiaramente definita:

• vi sono provvedimenti di ispirazione liberista (adottati dal ministro delle Finanze,

l’economista Alberto De’ Stefani: sgravi fiscali per le imprese, eliminazione della nominatività

dei titoli, riduzione delle imposte, abolizione del monopolio statale delle assicurazioni sulla

vita, privatizzazione di servizi come quello telefonico liberalizzazione dell’economia)

• a cui si affiancano interventi statali sul sistema industriale e finanziario in continuità con il

passato (dal salvataggio del Banco di Roma alla costituzione dell’Istituto di Credito per le

imprese di pubblica utilità).

Lo scopo di tali provvedimenti è di avvicinare al fascismo, sino ad allora appoggiato soprattutto dagli

agrari, la borghesia industriale; difatti, il risanamento della finanza pubblica e l’impostazione

produttivistica, con l’allentamento dei vincoli burocratici all’attività d’impresa, stimolati dalla

favorevole congiuntura interna e internazionale, determinarono la crescita del reddito nazionale, di

consumi, risparmi, investimenti, esportazioni e produzione industriale.

Tuttavia, più che strumento a disposizione del “grande capitale”, va sottolineato il concetto di

influenza reciproca tra fascismo e autonomi gruppi d’interesse, tra cui gli industriali sono una frazione

10

importante .

I provvedimenti presi dal governo fascista sono tesi all’accrescimento del prestigio nazionale,

a 11

seriamente messo in discussione dagli insuccessi diplomatici seguiti alla 1 guerra mondiale .

12

Ne è un esempio significativo la politica di rivalutazione monetaria perseguita da Mussolini in

aperto ed aspro contrasto con gli stessi esponenti del ceto imprenditoriale, diretta a rafforzare la

moneta nazionale nei confronti delle principali valute estere.

9 colpo di Stato organizzato dal Partito Nazionale Fascista, guidato da Benito Mussolini, il cui successo ebbe come

conseguenza l'ascesa al potere del partito stesso in Italia ed il dissolvimento definitivo dello Stato liberale, già

precedentemente in crisi. Il 28 ottobre 1922, alcune decine di migliaia di militanti fascisti si diressero sulla capitale

rivendicando dal sovrano la guida politica del Regno d'Italia; il re Vittorio Emanuele III cedette alle pressioni dei fascisti e

incaricò Mussolini di formare un nuovo governo, in carica dal 30 ottobre di quell'anno.

10 come presidente di Confindustria (1934-1943), Volpi si fece promotore del capitalismo italiano presso il regime,

assicurando in cambio il sostegno e la collaborazione del mondo industriale al fascismo e al progetto politico mussoliniano,

considerato dai vertici del mondo produttivo italiano come modernizzatore e funzionale ai propri interessi

11 con il Trattato di Versailles (28 giugno 1919), le promesse fatte dall’Intesa all’Italia per il suo ingresso in guerra furono

disattese; l’Italia ottenne il Trentino, la Venezia Giulia, ma a dispetto di quanto previsto con il Patto di Londra non ottenne

la Dalmazia né compensi coloniali (e ciò portò l’opinione pubblica a parlare di vittoria mutilata)

12 progetto di rivalutazione della lira volto a raggiungere il cambio di 90 lire per sterlina. All’inizio del 1925, il Regni Unito

decide il ritorno alla parità fissa della sterlina con l’oro e la quotazione della sterlina arriva a 120 lire (153 nel 1926). La

stabilizzazione della lira a quota 90 suscitò reazioni contrastanti negli ambienti industriali: Confindustria, per bocca del suo

Il mantenimento del valore della lira intorno alle 90 per sterlina fu attuato tramite una serie di misure

dirette a stabilire il controllo sulla circolazione monetaria (come ad es. l’unificazione degli istituti di

emissione che conferiva alla Banca d’Italia il controllo dell’emissione di carta moneta, dei tassi

d’interesse e dell’offerta del credito bancario).

La deflazione (cioè la contrazione della moneta in circolazione) indispensabile a sostenere la

rivalutazione della lira è ottenuta tramite l’emissione di un prestito nazionale detto “del Littorio”

(che consisteva nella conversione obbligatoria di titoli a breve termine in titoli a lungo termine) e

13

attraverso la contrazione forzosa dei consumi (i salari dei lavoratori dipendenti vengono ridotti

d’autorità, sino al 20%, una misura che si cerca di compensare con il blocco degli affitti e il controllo

sui prezzi dei beni di prima necessità).

Sempre in chiave di aumento del prestigio nazionale, il governo fascista adottò misure volte

all’autonomia e autosufficienza dello Stato.

Ne sono espressione:

• la battaglia del grano (avviata nel 1925), volta all’incremento della produzione cerealicola e

alla riduzione delle importazioni di cereali

l’autarchia (proclamata nel 1935 dopo le sanzioni comminate dalla Società delle Nazioni a

• seguito dell’aggressione dell’Etiopia) che si concretizza nel rigido controllo statale sui flussi del

commercio internazionale attraverso l’introduzione di licenze obbligatorie per le importazioni

e nello stimolo alla produzione e alle esportazioni delle industrie nazionali: la nazione deve

dunque essere in grado di produrre autonomamente tutto ciò di cui ha bisogno.

Nell’ottica della tutela del

Dettagli
Publisher
A.A. 2016-2017
101 pagine
13 download
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher AnteoAntei di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia dell'industria e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli studi di Napoli Federico II o del prof De Ianni Nicola.