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Riassunto esame Storia economica, Prof. Cafarelli Andrea, libro consigliato L'Italia economica - tempi e fenomeni del cambiamento dall'Unità ad oggi , Paolo Pecorari Pag. 1 Riassunto esame Storia economica, Prof. Cafarelli Andrea, libro consigliato L'Italia economica - tempi e fenomeni del cambiamento dall'Unità ad oggi , Paolo Pecorari Pag. 2
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Il Regno avrebbe potuto evitare di ereditare i debiti ma si sarebbe posto un problema

ben più grosso: le entrate erano minori delle uscite, dunque serviva indebitarsi.

Rinnegando i debiti sarebbe diminuita la fiducia degli altri stati che non avrebbero

comprato i titoli emessi successivamente.

Il debito che si accollò il Regno era per il 60% del regno di Sardegna; il fatto causò lo

scontento nel popolo che si doveva accollare un debito non suo.

Inoltre, oltre a ereditare il debito, il Regno d’Italia dovette sostenere grandi costi: la

costruzione di edifici per l’organizzazione amministrativa, l’armare esercito e flotta, la

creazione di infrastrutture come reti ferroviarie, scuole, ospedali, sistemi di

telecomunicazione (telegrafo).

Tutto ciò portò a una crescita del rapporto debito pubblico/pil nel primo decennio post-

unitario dal 45 al 95%, in quanto le entrate, rappresentate da imposte dirette e

indirette non superavano le uscite, ovvero gli investimenti. La conseguente soluzione

non era agire sulle entrate, bensì indebitarsi emettendo titoli del debito pubblico,

trovando finanziatori dello stato.

I titoli son resi appetibili dalla propensione al rischio dell’investitore: un basso

rendimento rappresenta un investimento che dà sicurezza nel recupero del capitale,

mentre un alto rendimento no. Meno un soggetto è affidabile, quindi, più è costretto

ad offrire un rendimento maggiore per trovare investitori.

Debito pubblico:

Nell’Italia postunitaria il problema delle maggiori uscite rispetto alle entrate rischiava

di diventare insostenibile nel medio-lungo periodo.

Nel 1862 le entrate corrispondevano solamente al 60% delle uscite. L’imposta

fondiaria era l’entrata più importante per il Regno, colpiva i terreni. Se, ad oggi, esiste

un unico catasto nazionale che definisce la rendita e quindi la corrispondente imposta

su un terreno, al tempo i catasti erano 22, tutti formati con criteri differenti. È quindi

chiaro come spesso, a parità di condizioni di un terreno, il carico fiscale era diverso

(fenomeno della sperequazione del carico fiscale).

La soluzione di un catasto unico arrivò negli anni ’80 dell’800 e questo fu ultimato in

circa 50 anni.

Altre entrate dello stato erano il dazio consumo, un’imposta sui consumi che gravava

soprattutto sulle persone in miseria; l’imposta di ricchezza mobile, istituita dal 1864,

colpiva i redditi da capitale; la tassa sul macinato, istituita dal 1868, anche questa era

molto gravosa sui poveri e il gioco del lotto.

Queste entrate non erano sufficienti però a coprire le uscite, e non bastarono

nemmeno le ulteriori proposte di vendere i beni demaniali sottratti alla Chiesa e di

dare in concessione ai privati la gestione delle linee ferroviarie in cambio di un canone.

Dati anche gli ingenti investimenti dell’epoca per costruire il Regno, l’Italia fu costretta

ad indebitarsi emettendo titoli di stato con il nome di “Rendita italiana 5% lordo”.

I titoli del debito pubblico possono essere:

- Redimibili: prevedono la restituzione del capitale e il pagamento periodico degli

interessi;

- Irredimibili: non prevedono la restituzione del capitale, bensì una rendita

perpetua data dal pagamento degli interessi. È un titolo più facile da gestire

perché prevede solo il pagamento degli interessi, e non la restituzione del

capitale.

Es. Oggi presto 100 allo stato e ogni anno mi torna 5, senza mai tornarmi il

capitale conferito.

Dunque, “Rendita italiana 5% lordo” era un titolo irredimibile del debito pubblico. Il

rendimento del 5% era calcolato sul valore nominale del titolo, mentre questo era

scambiato e negoziato al valore di mercato, che poteva essere sopra o sotto la pari in

base alla domanda.

Es. Essendo lo stato poco affidabile, compro i titoli del debito pubblico dal valore

nominale 100 pagandoli 90, ma percepisco comunque 5 di interessi, che son quindi

calcolati sul valore nominale.

Nel 1866, “Rendita italiana” veniva negoziata a un valore di mercato di 36, delineando

un’operazione altamente rischiosa ma con altrettanto alti rendimenti e una situazione

di svantaggio per l’Italia.

I titoli emessi dall’Italia al tempo vennero collocati soprattutto all’estero, sulla piazza

di Parigi, andando a creare una dipendenza finanziaria del Regno dai compratori esteri.

Infatti, dal 1861, il debito pubblico ebbe una crescita costante che andò a pari passo

con la diminuzione del valore di mercato dei titoli, acquistati sempre più sotto la pari

dati i crescenti elementi di rischio.

La questione è attualizzabile con un esempio: ad oggi il debito pubblico del Giappone

è il 260% del suo PIL, quello della Turchia il 32%. Nonostante questo, sui giornali non si

parla mai dell’indebitamento del Giappone, mentre ricorre spesso quello turco. La

differenza sta nel fatto che il debito giapponese è posseduto in larga parte da soggetti

residenti (banca centrale, banche e società assicurative, fondi), solo il 10% circa è in

mano a investitori stranieri. Per quanto riguarda la Turchia, invece, è posseduto in

larga parte da soggetti stranieri e ne è quindi dipendente.

Sistema monetario:

Un sistema monetario è un complesso economico che regola la circolazione e la

produzione di moneta.

Alla nascita del Regno, vi circolavano all’interno 900 milioni di lire, delle quali 881

erano monete metalliche (il 60% era d’argento, il 40% d’oro).

Bisognava però unificare la circolazione e scegliere il metro monetario. Si scelse il

modello francese del sistema bimetallico, che prevedeva la circolazione di monete

d’oro e argento.

La legge Pepoli dell’agosto 1862 (prende il nome dal suo ideatore Gioacchino

Napoleone Pepoli) definiva la lira come unità di conto per le contabilità pubbliche e

private e come unità di pagamento.

Per legge si definì un rapporto di 1 grammo : 15,5 grammi tra oro e argento.

Es. 5 lire d’argento pesavano 25 grammi

4 monete da 5 lire d’argento, quindi 20 lire d’argento pesavano 100 grammi

20 lire d’oro (la moneta d’oro dal taglio più piccolo) pesavano 6,45 grammi

100:6,45=15,5 grammi, quindi il rapporto legalmente veniva rispettato.

La legge Pepoli fu preceduta da due decreti, uno nel maggio 1861 che disciplinava la

nuova impronta delle monete d’oro e d’argento e uno nel luglio 1861 che conferiva

valore legale alla lira nuova di Piemonte, denominata “lira italiana”, e stabiliva la

circolazione temporanea delle monete presenti negli stati preunitari.

Il rapporto legale di 1:15,5 tra oro e argento era stabilito dalla legge ed era fisso;

quindi, non teneva conto delle eventuali variazioni del valore di mercato dei due

metalli date da domanda e offerta.

Il problema sarebbe sorto a seguito di un grosso scostamento di valore di mercato dei

due metalli; già nel 1862 era arrivato a 1:15,36 e si decise dunque di coniare le

monete d’argento con meno metallo prezioso, passando da 900 millesimi a 835. Negli

anni ’70 il problema però crebbe, in quanto il rapporto di mercato diventò 1:20 circa, la

gente preferiva quindi utilizzare monete d’argento.

L’Italia scelse il bimetallismo per via dei forti legami con la Francia, anche se non era

l’unico sistema monetario presente in Europa al tempo, ad esempio, l’Inghilterra usava

il modello del monometallismo aureo.

Nel 1865 Italia, Francia, Belgio e Svizzera diedero vita all’Unione Monetaria Latina

(detta anche Lega Latina), nella quale si usava lo stesso metro e monetario e le

monete d’argento emesse a pieno titolo (900 millesimi) circolavano liberamente tra i

paesi membri e potevano essere usati come mezzo di pagamento. Nel 1868 si unì

anche la Grecia.

Il sistema crollò a metà degli anni ’80 e si sciolse definitivamente nel 1926.

Gli istituti di emissione erano le banche autorizzate a emettere biglietti cartacei

convertibili in moneta metallica. Nel Regno non esisteva ancora la Banca d’Italia, nata

nel 1893 e divenuta unico istituto di emissione solo nel 1926. Vi erano ben 5 istituti nel

1861, che divennero 6 nel 1870 ed erano:

- La Banca nazionale degli Stati sardi: oltre a emettere biglietti, faceva sconti di

cambiali a breve scadenza (<3 mesi) con l’avvallo di almeno 3 persone,

anticipava titoli di stato e faceva operazioni di pegno. Riceveva depositi in conto

corrente, accettava in custodia titoli, documenti e preziosi. Era inoltre obbligata

ad anticipare su pegno di titoli del debito pubblico allo Stato fino a 2/5 del

capitale depositato, chiedendo un interesse che non poteva superare il 3%. Nel

1867 prese il nome di Banca nazionale nel Regno d’Italia;

- La banca nazionale Toscana: le principali operazioni erano analoghe a quelle

della Banca nazionale nel Regno d’Italia;

- La banca Toscana di credito per le industrie e il commercio: concedeva

anticipazioni su titoli di rendita pubblica e su valori industriali, faceva prestiti

allo Stato e ai comuni, riceveva depositi in conto corrente, scontava cambiali e

collocava azioni e obbligazioni, effettuava la compravendita di valori mobiliari e

divise estere;

- Il banco di Napoli: insieme a quello di Sicilia, svolgeva operazioni di servizio

apodissario; dunque, rilasciava titoli a fronte di depositi in contanti. Queste

ricevute erano nominative, ma trasferibili mediante girata e prendevano il nome

di fedi di credito per importi depositati superiori a 50 lire, e polizze o polizzini

per importi inferiori a 50 lire. Inoltre, scontava cambiali, faceva anticipazioni su

pegno di titoli del debito pubblico, di azioni e obbligazioni cui lo Stato garantiva

un interesse, concedeva anticipazioni su pegno di oggetti preziosi, mercanzie e

metalli grezzi.;

- Il banco di Sicilia: svolgeva operazioni analoghe a quelle del Banco di Napoli,

con l’unica differenza che i depositi venivano trattenuti in cassa e non impiegati

per altri scopi;

- La banca romana (dal 1870): scontava buoni del Tesoro, lettere di cambio,

biglietti e altri effetti all’ordine, teneva depositi, concedeva anticipazioni.

I biglietti cartacei emessi avevano potere liberatorio legale e quindi andavano

accettati nell’estinzione delle obbligazioni, non si potevano rifiutare. Solitamente

circolavano nelle regioni o in aree circoscritte dove operavano le banche emittenti.

I rapporti soprattutto tra la Banca nazionale nel Regno d’Italia e il Tesoro furono da

subito molto stretti e collaborativi, in particolare la Nazionale partecipò con particolare

e crescente impegno ai prestiti pubblici.

I biglietti non potevano essere emessi in modo illimitato, ma vi erano delle quantità

definite dagli statuti dei singoli istituti di emissione:

- La banca nazionale nel Regno d&r

Dettagli
Publisher
A.A. 2023-2024
10 pagine
SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/12 Storia economica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher domenico_l di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Storia economica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Udine o del prof Cafarelli Andrea.