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6. DONNE MIGRANTI E FAMIGLIE TRANSNAZIONALI
L’attenzione verso le migrazioni femminili è molto cresciuta; è aumentato il numero di donne che
emigrano da sole per cercare lavoro, al pari degli uomini. Donne che assumono la responsabilità di
breadwinner, procurando le risorse economiche per provvedere alle necessità della propria
famiglia. Oggi si stima che nel mondo circa la metà dei migranti siano donne. Prospettiva di genere
negli studi delle migrazioni.
Crescente inserimento nel mercato del lavoro salariato visto come fonte di guadagni e di perdite, di
sfruttamento ma anche di indipendenza, di rispetto e di consapevolezza di poter cambiare al
propria condizione. Doppia o tripla discriminazione: donne migranti discriminate in quanto donne, e
in quanto immigrate. A queste due forme si aggiunge una terza a volte: la discriminazione di
classe. Incrocio tra condizione di immigrata e genere appare particolarmente significativo: alle
donne immigrate si applicano stereotipi che ne restringono severamente le possibilità di impiego e
di espressione di sé: gli ambiti occupazionali di fatto accessibili faticano a fuoriuscire dal lavoro
domestico-assistenziale, con qualche estensione verso imprese di pulizie, settore alberghiero e
simili.
Categoria di “razza” per interpretare la condizione delle donne migranti: esiste una
gerarchizzazione delle donne immigrate nelle società riceventi, influenzata dall’apparenza fisica.
Donne africane di colore sono oggetto di discriminazione, così come quelle albanesi. Filippine: al
vertice della gerarchia. Stratificazioni mobili e fluide.
Classe sociale: caratteristica acquisita. Molte donne immigrate provengono dalla classe media,
hanno un’istruzione e hanno svolto occupazioni pregresse: è l’esperienza migratoria che
dequalifica.
Le analisi centrate sui processi di discriminazione si collocano in genere nella prospettiva
strutturalista, in quanto condividono l’orientamento a far discernere i comportamenti individuali da
cause macrosociali e a vedere le persone come soggette a pressioni che le sovrastano e
determinano il loro destino.
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“Importazione di accudimento e amore dai paesi poveri verso quelli ricchi”. Assorbimento di donne
immigrate nel lavoro domestico e di cura ha ricevuto molta attenzione da parte della ricerca
italiana. Seguendo un cliché paradossale, iperfunzionalistico, le donne immigrate appaiono come
la parte più accettata dell’universo dei migranti; suscitano meno timori e resistenze, trovano lavoro
più facilmente. Però, quali che siano i loro livelli d’istruzione e le loro esperienze pregresse, la
nostra società stenta ad offrire alle donne immigrate occupazioni diverse da quelle di collaboratrice
familiare e addetta all’assistenza di persone anziane. Una domanda di lavoro femminile così
caratterizzata in campo domestico-assistenziale si rivela del resto molto congruente con il modello
“familistico” di welfare (sistema di protezione sociale italiano basato su trasferimenti di reddito, e
non su servizi pubblici alle persone).
L’impiego di collaboratrici familiari serve a puntellare le difficoltà sempre più evidenti delle famiglie
nel reggere carichi domestici e assistenziali crescenti. Il ruolo di moglie e madre viene segmentato
in diverse incombenze, di cui quelle più pesanti e sgradevoli vengono attribuite ad altre donne, le
collaboratrici familiari.
Occupazioni che comportano un coinvolgimento affettivo, di sostituzione anche relazionale di
persone che non riescono ad essere presenti come forse vorrebbero. Coinvolgimento “olistico”:
richiesta di partecipazione emotiva è un tratto caratteristico di tutti i servizi di cura che hanno al
centro il rapporto con le persone.
Tre profili professionali del lavoro domestico-assistenziale:
- assistente a domicilio di anziani con problemi di auto-sufficienza. Compiti di cura della casa,
prestazioni di tipo assistenziale e parasanitario, compagnia e sostegno emotivo, domanda di
coresidenza
- collaboratrice familiare fissa, coresidente. Coinvolgimento emotivo e relazionale, ritmi meno
faticosi, lavoro con i bambini
- colf a ore, svincolo dalla convivenza con i datori di lavoro, autonomia personale, capacità di
muoversi nella società ricevente, di gestire accordi
Per le immigrate che sono passate attraverso l’impiego fisso, il lavoro a ore rappresenta una sorta
di promozione orizzontale, è un passo avanti sotto il profilo dell’equilibrio tra lavoro e vita privata.
Diminuisce la convenienza economica, l’autonomia abitativa comporta ingenti costi.
Differenze tra le donne impegnate nelle attività domestiche e di cura:
- profilo esplorativo: donne giovani, no carichi familiari, sondano le opportunità che il contesto può
offrire
- profilo utilitarista: donne avanti con gli anni, hanno lasciato in patria figli già grandi, migrazione
pendolare
- profilo familista: donne giovani-adulte con figli minori lasciati in patria, che aspirano a
ricongiungerli con loro, prospettiva di mettersi in regola
- profilo promozionale: alti livelli di istruzione, di esperienze professionali significative in patria, di
aspirazioni a migliorare il proprio status
Drammatica e perdurante difficoltà a uscire da questo ambito per inserirsi in attività più qualificate:
- saldatura tra uno stereotipo etnico e uno di genere: sulla baso di un connotato etnico si
stabilisce che un gruppo è adatto a rivestire certi ruoli
- scelte e prospettive delle donne: molte si adattano alla situazione rinunciando a perseguire
ambizioni di miglioramento sociale, adattamento al ribasso
- violazione degli obblighi contrattuali, isolamento sociale, inosservata dei limiti di orario e delle
giornate di riposo
Queste situazioni comportano diverse implicazioni microsociali: l’alterità culturale attribuita agli
immigrati addetti a compiti domestici e assistenziali consente di trattarli come lavoratori diversi da
quelli nazionali; processi di familiarizzazione (rischia di funzionare più sulle attese che sui diritti);
forme di patronage, datori di lavoro assumono una sorta di protettorato nei confronti della
lavoratrice, facendosi carico di svariati problemi personali e familiari.
Non manca alle donne impiegate la capacità di manipolare queste relazioni paternalistiche a
proprio vantaggio, ricavandone benefici di vario genere.
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Famiglie transnazionali: madri e figli vivono in paesi diversi, separati da confini politici che si sono
in molti casi irrigiditi. Stratificazione internazionale dell’accudimento; le donne che emigrano per
andare a svolgere lavori di cura all’estero devono rinunciare a svolgere direttamente le proprie
funzioni materne, affidando i propri figli ad altri. Care drain, drenaggio che riguarda le risorse di
cura, sottratte alle famiglie dei paesi di origine sotto forma di partenza delle madri.
Per molte donne dell’Est o del Sud del mondo, occupazioni che a noi appaiono dequalificate,
possono essere viste come un veicolo di emancipazione. L’indipendenza economica derivante dai
salari che guadagnano diventa una forma primordiale di promozione sociale.
Legami di solidarietà con altre donne, parenti o connazionali, partecipi della medesima esperienza.
Posti in luce il protagonismo, lo spirito di iniziativa, la capacità strategica e progettuale delle donne
che partecipano ai processi migratori, nonostante i vincoli severi posti dai condizionamenti
strutturali. Protagonismo femminile si esplica a diversi livelli:
- migrazioni temporanee maschili comportavano un aumento di autonomia delle componenti
femminili, assumevano la guida della famiglia, attività agricole/economiche
- scelta di partire mediata dal contesto familiare; le migrazioni femminili sono più dipendenti da
ragioni familiari di quelle maschili. Le rimesse vengono mandate in patria. Procurano risorse che
innalzano lo status delle donne migranti e ne aumentano il potere decisionale in seno alle
famiglie; mobilità sociale/difesa dello status familiare
- emigrazione può essere la conseguenza della rottura di un matrimonio, una risposta alla
separazione. Potenziale emancipato. Negoziazione dei ruoli coniugali.
- status accresciuto attraverso il mercato del lavoro
- funzioni di mediazione culturale, conservazioni di abitudini e rituali, trasmissione ai figli dei valori
che richiamano l’identità ancestrale e del mantenimento della pratica religiosa. Werbner: sono le
donne, attraverso la gestione dei legami sociali, a tener viva la cultura del gruppo etnico di
appartenenza
- donne migranti sono state viste come tessitrici di rapporti e promotrici di processi di integrazione
Carenza di studi sulla famiglia. La famiglia rappresenta un fattore di normalizzazione delle
condizioni di vita dei migranti, che attraverso la formazione o la ricostruzione di una compagine
familiare accrescono i rapporti con le istituzioni e con la società locale e assumono pratiche sociali
e stili di vita più simili a quelli della popolazione autoctona.
Due poli:
- storie sventurate di disorganizzazione sociale
- nostalgia per tradizioni familiari idealizzate
Le famiglie sono state viste come unità cose, portatrici di valori normativi e pratiche sociali
tradizionali da un lato, ma dall’altro come vittime di processi di disintegrazione e perdita di
influenza normativa nell’impatto con il mondo occidentale. La famiglia è stata vista come un luogo
dove si realizza un’interazione dinamica tra dimensioni strutturali, aspetti culturali e scelte
soggettive. I vincoli strutturali e le condizioni in cui avviene l’insediamento nella società ricevente
modellano le forme di adattamento delle strutture familiari, i ruoli e gli orientamenti. Codici culturali
e simbolici che gli immigrati portano con sé dalla madrepatria continuano ad influenzare valori
familiari (matrimoni endogamici).
Tre osservazioni pongono in discussione le visioni convenzionali delle migrazioni familiari:
- concetto di famiglia che viene applicato agli immigrati è definito dai paesi riceventi
- maggiore cautela nell’associare la famiglia immigrata con assetti sociali e valori tradizionali,
rispetto ai quali le società riceventi rappresentano il polo della modernità, che richiede
acculturazione e adattamento
- posta in discussione l’idea che le donne siano costantemente sacrificate nelle migrazioni
familiari e registrino un regresso generalizzato nelle condizioni di vita, nell’autonomia e nelle
opportunità di lavoro.
Immigrati: ruolo attivo nel ridefinire la vita familiare; reinvenzione delle tradizioni.
Famiglie transnazionali: membri dell’unità familiare e in particolare modo gli adulti vivono in paesi
diversi rispetto ai figli. I figli ricevono dalle madri regali costosi e denaro, al posto di presenza fisica,
- Risolvere un problema di matematica
- Riassumere un testo
- Tradurre una frase
- E molto altro ancora...
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