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ANTROPOLOGIA DELLE MIGRAZIONI

Il Novecento è stato definito l'età dei rifugiati ma dare una definizione unica del fenomeno della migrazione non è semplice. Non a caso non esistono posizioni unanimi, nel mondo politico o in quello scientifico, su quali criteri consentano di distinguere la residenza altrove dalla migrazione, su che cosa renda alcuni spostamenti bene accetti mentre altri, considerati irregolari, vengono osteggiati e temuti, o su che funzione e significato assuma l'attuale separazione politica, amministrativa e giuridica tra migranti e rifugiati. Per Hage migrare implica un senso di sradicamento da ciò che è familiare e un senso di essere fuori posto e non comporta necessariamente il lasciare il proprio paese. Notevole è il ritardo con cui la disciplina si è rivolta al tema della mobilità umana, data soprattutto l'entità degli spostamenti di massa che a metà del Novecento hanno interessato.

soprattutto l'Europa, l'Asiameridionale e il Medio Oriente. L'inizio degli anni Novanta del secondo scorso viene identificato come marcatore temporale, un punto di svolta per il tema dell'amigrazione. Fino a quel punto di svolta, infatti, la distinzione tra migrazioni economiche/volontarie e migrazioni politiche/forzate sancita dalla Convenzione di Ginevra nel 1951 non era così centrale come invece appare oggi. Nei primi studi sulle migrazioni, inoltre, poca attenzione era rivolta ai motivi per cui le persone si spostavano, concentrandosi piuttosto sulla vita nei paesi di arrivo e sulle possibilità di integrazione. Nonostante maggiore attenzione al tema venga data a partire dagli anni Novanta come conseguenza dell'aumentare del fenomeno, quella presente non è affatto la più grande ondata migratoria che ha investito l'Europa. Il picco delle migrazioni si è avuto piuttosto tra il 1845 e il 1924 quando, 50 milioni di

persone, principalmente europei, si sono spostati all'interno dell'emisfero occidentale. Quello che sembra essere cambiato è piuttosto il fatto che, da essere continente di emigrazione, l'Europa diviene uno dei principali continenti di immigrazione già a partire dal 1960.

Secondo quanto afferma Peter Nobel, la stragrande maggioranza dei rifugiati ha origine nel Terzo Mondo e le cause dirette della loro fuga sono i conflitti tenuti in vita dalle politiche delle superpotenze e dalle armi costruite a prezzi vantaggiosi nei paesi ricchi, che esportano morte e distruzione, e importano i prodotti dei paesi poveri. Allo stesso tempo, questi si rifiutano di accogliere i rifugiati che tentano di fuggire le sofferenze e il dolore generati dalle politiche delle superpotenze. Si tratta di una buona definizione, in primo luogo perché ci invita a riconoscere il ruolo diretto degli stessi paesi ricchi nella produzione di masse di persone in movimento, che non sono

Perciò un problema dei paesi poveri. In secondo luogo, perché include l'esportazione di materie prime e prodotti del Sud del mondo come cause diretta dei movimenti forzati di persone. Eppure, la questione della definizione della categoria di rifugiato nelle scienze sociali non è affatto semplice. Nel 2014 viene pubblicato The Oxford handbook of refugee and forced migration studies, un volume che intende offrire una rassegna degli sviluppi interni ai filoni di studio noti come Refugee Studies e Forced migration studies. Uno dei principali dibattiti di questi studi è la definizione di rifugiato e l'interrogativo se esista una differenza tra rifugiati e migranti forzati. Da un punto di vista giuridico la categoria di rifugiato viene proposta dalla Lega delle nazioni e adottata nel diritto internazionale nella forma definita dalla Convenzione di Ginevra del 1951, che riconosce la qualifica di rifugiato a chi ha subito persecuzioni a causa di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o per le sue opinioni politiche, come effetto di eventi accaduti prima del 1 gennaio 1951.

E nel giustificato timore d'essere perseguitato per la sua razza, religione, cittadinanza, opinioni politiche o appartenenza ad un determinato gruppo sociale, si trova fuori dalla Stato di cui possiede la cittadinanza e non può o non vuole domandare protezione di detto Stato; oppure non può o per timore non vuole ritornare nel suo Stato di domicilio. La limitazione temporale e geografica cadrà con il protocollo di New York nel 1967. Eppure, secondo alcuni occorre considerare come migranti forzati sia coloro che fuggono dal proprio luogo di residenza a causa di guerre, sia chi viene sradicato e ricollocato a causa di progetti governativi di sviluppo, sia infine chi è costretto a ricominciare una vita altrove a seguito di calamità o disastri naturali. Per altri studiosi, al contrario, è indispensabile restringere il campo unicamente a chi fugge da persecuzioni e violenze di tipo politico. Nonostante la mobilità umana sia un fenomeno che accade

ed è sempre accaduto nella storia dell'umanità, la categoria di rifugiato appare in tempi piuttosto recenti. Hannah Arendt identifica la spinta nazionalista verso la costruzione di comunità omogenee come la causa principale nella produzione di rifugiati. È nell'immediato dopoguerra che vengono poste le basi della legislazione internazionale sui diritti umani: la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 stabilisce che il diritto di cercare e godere in altri paesi asilo dalle persecuzioni, aprendo così la strada alla definizione di rifugiato data dalla Convenzione del 1951. Quest'ultima è inizialmente firmata da 35 paesi e si rivolge solamente a cittadini europei sfollati durante il conflitto mondiale, prevede limiti temporali che cadranno con il Protocollo di New York. Nello stesso periodo nasce l'UNHCR, l'agenzia delle Nazioni Unite creata per offrire protezione internazionale ai rifugiati. A ridosso della

Seconda guerra mondiale emergono specifiche tecniche di gestione del fenomeno delle migrazioni, come i campi di accoglienza per sfollati. È a questo punto che i rifugiati divengono un problema umanitario ed emergono come figura moderna oggetto di contenimento, soccorso, controllo e studio. Per quanto riguarda il modo in cui l'Italia ha affrontato la presenza di profughi e sfollati in quegli anni, la studiosa Silvia Salvatici ha notato alcuni aspetti di somiglianza con il presente. Tra questi, la decisione di privilegiare gli sfollati italiani declinando qualsiasi tipo di responsabilità morale rispetto a quelli esteri. Contestualmente rafforza i controlli alle frontiere per impedire nuovi ingressi e impone l'istituzione di un documento d'identità per i rifugiati stranieri. Riguardo altri possibili modi di affrontare il fenomeno dell'ingresso in un determinato contesto sociale di stranieri, gli studiosi Fortes e Pritchard hanno individuato un modello di

base secondo il quale, le società definite acefale, non centralizzate, tenderebbero a incorporare i forestieri, mentre quelle con un potere politico centralizzato gestiscono le differenze etniche presenti conservandole. Nelle prime si va verso l'omogeneità interna attraverso forme di amicizia, ospitalità e incorporazione nella parentela. Le società centralizzate, invece, si possono presentare come eterogenee al loro interno poiché il mantenimento delle differenze tra gruppi etnici è regolamentato dalla subordinazione a un potere superiore. Si fa inoltre qui una distinzione tra ospitalità ed incorporazione, dove mentre la prima è temporanea, la seconda invece è una condizione più stabile. La creazione dell'UNHCR ha sancito la distinzione tra due tipi di migrazioni, quelle economiche e quelle politiche. Da quel momento i due fenomeni vengono sottoposti a regimi giuridici distinti e ad una gestione politica e.

amministrativa separata. Il rifugiato è definito come una persona che non può restare nel proprio paese ed è perciò costretto a migrare. È questo elemento della non scelta a distinguere i rifugiati politici dai migranti economici ritenuti invece volontari. Secondo Bridget Hayden, l'opposizione del migrante politico al migrante economico è basata su una particolare idea di individuo modellata sul soggetto della tradizione liberale, un soggetto impossibilitato a scegliere e spogliato di ogni risorsa culturale e rete sociale. È una categoria giuridica fondata su caratteristiche identificate per difetto rispetto all'individuo libero e inviolabile della tradizione occidentale, basata quindi sulla mancanza della possibilità di scelta. È sulla dimostrazione dell'impossibilità di scegliere che si fonda la procedura giuridica di riconoscimento dello status di rifugiato, che ha il fine di separare i veri da quelli falsi,

cioè da coloro che scelgono volontariamente di migrare pur potendo restare.
Refugee studies Forced migration studies
Dai ai
Il geografo Richard Black nel 2001 ripercorre lo sviluppo degli studi sul tema proponendo una periodizzazione in quattro fasi. La prima, dal 1914 al 1945, presenta poche ricerche di interesse essenzialmente pratico-politico relative alla Prima guerra mondiale, alla condizione dei rifugiati appartenenti alle élite professionali e ai compiti di assistenza della Lega delle nazioni. Nella seconda fase, dal 1945 al 1982, il numero delle ricerche aumenta e gli studi sono rivolti sia alle condizioni di vita nei campi per rifugiati, sia all'operato dell'UNHCR. Un esempio di questo tipo di studi è la ricerca sull'organizzazione di un campo di internamento per cittadini giapponesi dopo l'attacco a Pearl Harbour, condotta da Leighton e Spicer. Il fine della ricerca era quello di fornire strumenti e conoscenze agli amministratori per megliogestire la vita nel campo. Il personale amministrativo riceveva una formazione in antropologia culturale per acquisire conoscenze sulle tradizioni, le forme di leadership, le idee dominanti della comunità. Ma la ricerca intendeva studiare anche le nuove attitudini e i nuovi tipi di comportamento sociale che emergono in condizioni inedite. Studi espressamente dedicati ai rifugiati emergono però nella terza fase, che coincide con l'ultimo ventennio del Novecento. Il 1982 è per convenzione considerato l'anno di nascita dei Refugee studies in Europa, perché è in quella data che l'antropologa statunitense Barbara Hallen-Bond fonda a Oxford il Refugee Studies Program. Quasicontemporaneamente, nel 1988, nasceva in Canada il Centre for Refugee Studies (CRS). Il giurista Chimni riconosce a questi studi numerosi meriti, avendo essi contrastato l'immagine del rifugiato come parassita, criticato la pratica di imporre l'aiuto, sottolineato la

La necessità di ascoltare le voci dei rifugiati e adottare approcci partecipativi, raffinando i diritti dei rifugiati, è fondamentale.

Dettagli
Publisher
A.A. 2022-2023
19 pagine
SSD Scienze politiche e sociali SPS/07 Sociologia generale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Ileeniiaa di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Sociologia della letteratura e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Bologna o del prof Zanoni Andrea.