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PROCESSI COMUNICATIVI E MEDIA DIGITALI: UN PANORAMA MUTATO
Il processo comunicativo: dal broadcasting al socialcasting
La caratteristica peculiare dei mezzi di comunicazione di massa sia analogici che tecnologici era il broadcasting,
definibile sia dal punto di vista tecnologico che sociale. Tecnologicamente è una modalità di trasmissione da uno
a molti in cui c’è una sorgente di comunicazione che irradia (radio/tv) il proprio contenuto ad una collettività di
persone concettualizzata come indistinta e che viene definita il pubblico dei media. Socialmente è una forma
culturale caratterizzata da una precisa architettura trasmissiva con delle specifiche componenti sociologiche.
Con la maggior presenza di tecnologie di comunicazioni si è passati al narrowcasting, un sistema tecnologico di
comunicazione da pochi a pochi che permette di veicolare quindi i suoi contenuti a pubblici specifici (televisione
via cavo). È interpretato da molti come al fine delle comunicazioni di massa visto che i codici narrowcast sono
orientati ad un’audience ben precisa, hanno bisogno di un periodo di apprendimento e quindi conferiscono uno
status (pop vs jazz). Con l’affermarsi di internet si è fatto strada il webcasting con un’architettura di trasmissione
tipica del broadcasting erogata attraverso le reti digitali (protocollo internet TCP/IP), ma a differenza della
diffusione via televisione, con internet è possibile veicolare contenuti sia ad audience vaste che segmentate.
Anche questa ha una specifica forma culturale, poiché le proprietà simboliche e sociali sono da ascrivere al più
ampio contesto della fruizione di contenuti sul web. Per comprendere la componente trasmissiva e simbolica
della comunicazione internet contemporanea si introduce il concetto di socialcasting, cioè quelle modalità di
trasmissione del web sociale e partecipativo, il cui processo distributivo fa riferimento ad una community di
persone che decidono in completa autonomia di aumentare la circolazione di un contenuto grazie alle possibilità
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di condivisione delle nuove piattaforme tecnologiche. In questo caso quindi, la componente culturale e simbolica
è il flusso di contenuti che avviene grazie alla collaborazione delle persone.
Il pubblico: dall’audience ai pubblici-audience
La componente sociologica della ricerca sui mezzi di comunicazione di massa è il pubblico, cioè la collettività di
persone che fruiscono dei contenuti veicolati dai media. Una caratteristica tipica del pubblico è la sua genesi, in
quanto nascono dall’interazione fra il contesto sociale e l’offerta mediale. Coll’avanzare degli studi sociologici, il
pubblico è stato liberato dal suo status di passività verso i mezzi di comunicazione di massa grazie alla spinta
dei Cultural Studies che lo hanno rivalutato come componente attiva nella tripartizione autore-testo-audience. Lo
stesso Hall evidenziò che le forme della codifica non sempre corrispondono ai modi attraverso i quali l’audience
decodifica. Ciò ha dato il via a una serie di concettualizzazione di un pubblico coinvolto in prima persona nel
processo di fruizione mediale, spaccando così l’audience intesa come soggetto sociale attivo e l’audience come
collettività vendibile alle pubblicità.
Il pubblico attivo è sempre stato una sfida per la ricerca sui media e riguardo alla sua attività Biocca identificò
cinque varianti del concetto: selettività – saper orientare i propri gusti; utilitarismo – fruizione dei media in base ai
bisogni del pubblico; intenzionalità – elaborazione di informazioni e scelta ponderata (es abbonati a riviste);
refrattarietà all’influenza – resistere a informazioni indesiderate o in contrasto con i valori; coinvolgimento –
immersione nell’esperienza mediale anche dal piano emotivo. Si è sviluppata negli ultimi tempi la concezione di
un’audience sempre più balcanizzata e meno legata ad un medium specifico, cioè quella che è stata definita
audience diffusa. Secondo questa impostazione l’individuo fa parte costantemente di un’audience visto che
queste hanno origine dall’enorme quantità di tempo trascorsa nel consumo dei media, dalla forte incorporazione
dei media nella vita quotidiana e dalle caratteristiche culturali della società contemporanea. Queste sono
sintomo di un tentativo costante di recuperare e aggiornare quello che diventa sempre più velocemente un
concetto sfuggente, ricercando una definizione operativa che renda conto della sua complessità.
Il problema reale della definizione di audience è il suo stretto legame all’esperienza televisiva ed è poi sempre
stata adattata da questa sua forma originaria per gli altri ambiti mediali. Un esempio caratterizzante del
problema di audience associato al contesto digitale è stato lo studio fatto sul Grande Fratello: questo oggetto
mediale era fruibile in molteplici modi motivo per cui si è dovuto riadattare il concetto di interattività sia
riformulare le riflessioni svolte su audience attiva che non implica più una resistenza al testo (il pubblico influiva
sulla “narrazione”, fruiva delle notizie diffuse dalla stampa e accedeva alla casa via webcam). Sonia Livingstone
si è chiesta se nuovi media implicassero anche nuove audience: a) audience si trasforma visto che i nuovi
media presentano caratteristiche diverse da quelli tradizionali; b) esplorazione delle relazioni tra novità
tecnologica dei media digitali e la novità dell’uso sociale ha generato una nuova agenda della ricerca che rende
centrali le audience digitali. La questione chiave è che è difficile mantenere il concetto di audience “classico”
visto che questo si basava sulla differenziazione tra chi produce il contenuto e chi ne fruisce, distinzione difficile
da mantenere in ambiente digitale.
La problematica non è nuova: es. persona mostra la fotografia delle vacanze a qualcuno, se sono poche
persone allora si usa la struttura delle relazioni interpersonali, se invece sono molte persone quella dei mass
media. Il problema di internet è che entrambe le situazioni sono possibili e la domanda allora è: quando i fruitori
di un contenuto prodotto da un loro pari passano dall’essere un gruppo di persone a un’audience? Di solito si
risponde enfatizzando la componente dell’interattività dei media digitali. McMillan ha distinto a proposito quattro
concetti di interattività: allocuzione (coinvolgimento interattivo minimo), consultazione (accesso a informazioni
precaricate su database), registrazione (raccolta e catalogazione di pattern d’uso come fanno i cookie),
conversazione (interazione degli individui mimando quella faccia a faccia). Questa tassonomia elimina però
forme interessanti dell’interattività come videogiochi o clip multimediali. Quando si concettualizza l’interattività
come volontà dell’audience d partecipare alla costruzione del testo (cosa impossibile per i vecchi media), i
problemi permangono. Altri teorici hanno identificato quattro punti strategici: equivalenza funzionale di internet
rispetto ad altri strumenti di comunicazione, credibilità delle fonti di internet, problema dell’intercambiabilità fra
produttori e ricevitori di contenuti online e trasformazione di alcuni temi dei Media Studies come cultura, politica
e potere.
Danah Boyd intraprende la strada di rendere più articolato il concetto di pubblico alla luce del cambiamento degli
spazi sociomediali fino ad arrivare al concetto di pubblici interconnessi: relazioni sociali che si instaurano
nell’ambito dei social network. Per la Boyd questa accezione del pubblico ha quattro proprietà: persistenza,
scambi online registrati e archiviati; replicabilità, contenuto facilmente duplicabile; scalabilità, visibilità potenziale
dei contenuti enorme; ricercabilità, contenuti accessibili attraverso la ricerca. Ha anche tre dinamiche di base,
cioè quei processi che rileggono in chiave digitale tutte quelle tematiche classiche che hanno riguardato i mass
media degli ultimi anni. Le dinamiche sono: audience invisibili, non tutte le audience sono visibili quando una
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persona sta contribuendo online; contesti collassati, mescolanza di diversi contesti sociali a causa dell’assenza
di confini spaziali, sociali e temporali; confusione tra pubblico e privato. La Boyd preferisce all’interno dei suoi
scritti non utilizzare il termine ‘audience’ quanto ‘pubblico’ che può essere declinato sia come spazio sociale sia
come comunità immaginata.
Questo stesso spirito è al cento del dibattito, detto Media Studies 2.0, di alcuni studiosi di tradizione della
Cultural Studies riguardo le questioni fondamentali sullo statuto dei Media Studies del XXI secolo. Gli autori
chiave sono Gauntlett e Miller. Secondo Miller, per comprendere i Media Studies contemporanei, i 3.0, bisogna
descrivere il passaggio dalla prima alla seconda generazione di studi culturologici sui media. I Media Studies 1.0
sono le tecnologie mediali sostanzialmente nuove nella vita di popolazioni urbanizzate con conseguenti
cambiamenti sociali ed effetti socioculturali. Per 2.0 invece intende quella generazione di ricerche che spingono
in primo piano la cultura popolare intesa come apice di modernità. I 3.0 infine sono una tendenza della ricerca
contemporanea caratterizzata dalla connessione fra le principali aree del globo produttrici di cultura e le
comunità coinvolte nella produzione culturale, quindi una sorta di analisi contemporanea di tipo geografico in
chiave mediacentrica. È una posizione debole sia perché non è chiaro il motivo che porta a definire in maniera
totalmente diversa quelli che sembrano essere gli attuali studi sulla globalizzazione, seconda di poi risulta dentro
all’attuale configurazione dei Media Studies.
È molto più interessante il dibattito creato intorno al concetto di Media Studies 2.0 sviluppato da Gauntlett,
quando questo ultimo pubblica nel 2007 sul suo sito un articolo dal nome, appunto, Media Studies 2.0 dove
tratteggia alcuni cambiamenti necessari per l’attuale panorama degli studi sui media, citando il blog di William
Merrin. Lo scambio di opinioni nato tra i due ha portato alla nuova rivista del 2009 Interactions: Studies in
Communication and Culture a pubblicare un numero monografico sull’argomento che fungesse da raccolta di
pro e contro emerse nel dibattito sollevato da Gauntlett. Analizziamo ora le parole cha hanno portato a questa
diatriba. Gauntlett condivideva con Merrin l’opinione sui Media Studies 1.0, cioè la disciplina accademica nata
all’inizio del XX sec, quindi il prodotto dei media di massa. Merrin li definiva la risposta storicamente determinata
al modello di comunicazione dei med