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2. LA GIURISDIZIONE E LA COMPETENZA

Per quanto attiene alla giurisdizione nel processo del lavoro, non esiste una disciplina specifica, per

cui, anche al processo del lavoro si applicano i criteri ordinari della giurisdizione del giudice

italiano e soprattutto l’immunità dei soggetti sovrani di diritto internazionale, ne deriva che, ove il

283

datore di lavoro sia un soggetto internazionale, la relativa controversia di lavoro non potrebbe

essere sottoposta alla giurisdizione del giudice italiano.

Quanto invece alla competenza, l’art 413 si occupa sia della competenza per materia che per

territorio:

quanto alla competenza per materia, l’art 413 individua il Tribunale come giudice

• competente per materia, indipendentemente dal valore della controversia, per tutte le

controversie ex art 409 c.p.c. con la specificazione che le controversie di cui al n.2, sono

attribuite alle sezioni agrarie che è sono delle articolazioni interne del Tribunale;

quanto alla competenza per territorio, l’art 413 prevede tre diversi criteri di competenza

• territoriale concorrenti ovverosia:

il luogo ove si è perfezionato il contratto di lavoro;

▲ il luogo ove l’impresa ha la sede effettiva e che non necessariamente coincide con la

▲ sede legale della stessa e tale foro non può territoriale non si applica ai rapporti di

lavoro non inerenti l’esercizio dell’impresa e per i quali rimane applicabile solo il

primo criterio;

il luogo ove si trova una dipendenza dell’azienda alla quale era addetto il lavoratore

▲ o presso la quale ha prestato la sua opera al momento della fine del rapporto;

questi tre fori sono equiordinati e l’attore può sceglierne uno qualsiasi.

Sempre in tema di competenza, la l.128/1992 ha istituito una speciale regola di competenza

territoriale per i rapporti di parasubordinazione: ora, dal momento che il lavoratore parasubordinato

è un lavoratore autonomo, la competenza territoriale viene individuata in base al domicilio del

lavoratore subordinato e tale foro è esclusivo. anche in

Per quanto riguarda le regole di competenza territoriale per i rapporti di pubblico impiego,

questo caso esiste una regola speciale che individua come giudice territorialmente competente, il

giudice nella cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale il dipendente è addetto oppure al quale era

addetto al momento della cessazione del rapporto di lavoro.

Questa regola vale anche nel caso in cui parte del processo sia un’amministrazione dello Stato, in

tal caso infatti, per controversie di pubblico impiego non si applica il “foro erariale”. cioè il foro

Qualora non siano applicabili i fori territoriali indicati si applica il “foro sussidiario”

generale delle persone fisiche e delle persone giuridiche. 284

L’ultimo comma dell’art 413 prevede poi la nullità delle clausole che derogano alla competenza

territoriale: l’interpretazione minoritaria ma verosimilmente più corretta della norma, non ritiene

inderogabile tout court la competenza territoriale, ma ritiene che siano da considerarsi invalide le

clausole relative alla competenza che siano però state stipulate dal prestatore di lavoro prima del

processo ed in una situazione in cui non c’è garanzia della sua libera volontà.

quando, per errore, una controversia di lavoro

Quanto infine ai profili dinamici della competenza:

viene proposta ad un giudice incompetente, l'incompetenza può essere eccepita dal convenuto solo

nella memoria difensiva oppure può essere rilevata dal giudice adito non oltre la prima udienza di

trattazione, pertanto, qualora tale incompetenza non sia eccepita o rilevata, la causa resterà di

competenza del giudice erroneamente adito.

3. LE QUESTIONI DI RITO

Abbiamo visto che ai rapporti di lavoro di cui all’art 409 c.p.c., si applica il rito di lavoro, pertanto,

dobbiamo adesso vedere quale conseguenza ha l’eventuale violazione di rito (cioè il fatto che venga

trattata con rito del lavoro una controversia che non rientra fra quelle dell’art 409 e viceversa) e poi

occorre vedere qual è la fattispecie sulla cui base si può accertare se il rito prescelto è corretto o

meno.

Quanto al primo problema: ora, a secondo del tipo di controversia, il legislatore può scegliere se

costruire la correttezza di rito come presupposto processuale e cioè come una condizione per la

pronuncia di merito oppure no e, andando ad esaminare gli articoli 426 e 427 relative alle

controversie in materia di lavoro, ci accorgiamo che per queste controversie la correttezza del rito

non costituisce un presupposto processuale.

Quanto al secondo problema invece, si tratta di capire qual è la fattispecie sulla cui base si può

accertare se il rito prescelto è corretto o meno, in altri termini: ai fini della individuazione del rito

corretto, occorre basarsi sulla domanda o sulla realtà sostanziale accertata come effettivamente

esistente attraverso l’istruttoria?

Beh, se noi dicessimo che il rito applicabile si decide sulla base della realtà sostanziale accertata

come esistente dall’istruttoria, daremmo vita a due inconvenienti:

innanzitutto si ricadrebbe in un circolo vizioso: le regole di svolgimento del processo

▲ determinano le risultanze dell’istruttoria che a loro volta sono alla base dell’individuazione

delle regole di svolgimento del processo;

e poi, sostenere questo equivarrebbe a giustificare un continuo mutamento di rito ad ogni

▲ nuova acquisizione istruttoria. 285

Da quanto detto evinciamo dunque che ai fini dell’individuazione del rito corretto occorre basarsi

sulla domanda, le risultanze dell’istruttoria serviranno invece ai soli fini del merito: questa è la

soluzione più corretta, più conforme ai principi generali ed è la soluzione fatta propria dalla

giurisprudenza, anche se, a voler essere più precisi, l’unica fattispecie nella quale la giurisprudenza

adotta un criterio diverso, è costituita dalle “controversie agrarie” nelle quali, la competenza ed il

rito si ritengono sussistenti quando l’esistenza del rapporto agrario è confermata tanto dall’attore,

quanto dal convenuto, salvo che la contestazione del convenuto non sia ictu oculi infondata.

Ora, se la scelta di rito operata sulla base della domanda risulta corretta ma poi, dall’istruttoria

emerge che le caratteristiche affermate come esistenti dall’attore in realtà non sussistevano affatto

(ad esempio: l’attore afferma di essere un lavoratore parasubordinato quindi sceglie un certo rito ma

poi viene accertata la non sussistenza delle caratteristiche proprie della parasubordinazione) ecco

allora che il giudice rigetterà nel merito la domanda e a quel punto la trattazione della causa verrà

devoluta al giudice competente con il rito prescritto per quel dato rapporto.

Il mutamento di rito è disciplinato da due norme, gli artt. 426 e 427 c.p.c. rispettivamente rubricati

“passaggio dal rito ordinario al rito speciale” e “passaggio dal rito speciale al rito ordinario, ma

prima di esaminare le due norme, dobbiamo distinguere due ipotesi ovverosia l’ipotesi in cui si

pone solo un problema di rito ma non di competenza(il giudice è comunque competente qualunque

sia il rito), e l’ipotesi in cui invece il mutamento di rito comporta anche un mutamento di

competenza; prendendo in considerazione le due norme e le due ipotesi avremo le seguenti

combinazioni: prima situazione di passaggio dal rito ordinario al rito del lavoro: la causa è stata

• proposta con rito ordinario dinnanzi al Tribunale, il Tribunale ritiene che la causa

debba essere trattata con rito del lavoro, pertanto, ai applicherà l’art 426 in base al

quale il giudice, con ordinanza, rimette la causa al Presidente del Tribunale che la

assegna ad un giudice dello stesso Tribunale ma della sezione lavoro.

Il giudice designato fissa l’udienza e il termine perentorio entro il quale le parti devono

provvedere ad eventuali integrazioni degli atti introduttivi, ciò però salvo che non si siano

già verificate delle preclusioni in tal senso.

Seconda situazione di passaggio dal rito ordinario al rito del lavoro: la causa è stata

• proposta con rito ordinario dinnanzi al Tribunale, Il Tribunale ritiene che la causa

debba essere trattata con rito del lavoro ma può verificarsi che il Tribunale che era

competente territorialmente per il rito ordinario non lo sia anche per il rito del

286

lavoro, in tal caso, il giudice territorialmente incompetente come giudice del lavoro,

rimetterà la causa al tribunale territorialmente competente.

Terza situazione di passaggio dal rito del lavoro al rito ordinario: la causa è stata

• proposta con rito del lavoro ma doveva essere trattata con rito ordinario, a quel

punto, se il Tribunale è ugualmente competente, il presidente disporrà il passaggio

della causa dalla sezione lavoro alla sezione ordinaria.

Quando si ha questo passaggio dalla sezione lavoro alla sezione ordinaria, può essere che

si verifichi qualche modifica anche sul piano dei poteri delle parti, nello specifico, se il

passaggio avviene dopo la prima udienza le parti non acquistano alcun potere perché

dopo la prima udienza i due riti non differiscono, viceversa, se il passaggio si verifica

prima, allora sorgono dei problemi derivanti da due importanti differenze fra i due riti,

infatti: mentre il giudice del lavoro ha il potere di assumere d’ufficio tutte le prove,

▲ viceversa il giudice ordinario può assumere d’ufficio solo alcuni mezzi di prova,

quid dunque della prova assunta d’ufficio dal giudice? Essa rimane utilizzabile

anche nel rito ordinario e ciò sia per ragioni testuali, sia perché non è di per sé una

prova invalida;

altra differenza sta nel fatto che nel rito del lavoro non valgono i limiti di

▲ ammissibilità delle prove che invece valgono nel rito ordinario, quid dunque delle

prove assunte senza tener conto dei limiti di ammissibilità? Quella prova assunta

senza il rispetto dei limiti di ammissibilità non sarà utilizzabile nel rito ordinario.

Quarta situazione di passaggio dal rito del lavoro al rito ordinario: anche in

• questo caso può darsi che il mutamento di rito da speciale a ordinario

comporti un’incompetenza territoriale del giudice ordinario, a questo punto,

poiché nel rito ordinario la competenza è derogabile, salvo eccezioni, e quindi

è rilevabile solo dal convenuto nella comparsa di costituzione, il convenuto

deve eccepire l’incompetenza nella comparsa sicché il giudice possa decidere

di accoglierla e quindi rimettere la causa al giudice territorialmente

competente oppure rigettarla.

Se al contrario si

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A.A. 2016-2017
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SSD Scienze giuridiche IUS/15 Diritto processuale civile

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Queenofhearts di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto processuale civile e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Verona o del prof Tedoldi Alberto Maria.