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DALLE LEZIONI DELLA STORIA AGLI SCENARI ATTUALI
Emergenze e pedagogia: un rapporto inesplorato, in ombra
In senso lato, la pedagogia, l'educazione, la didattica si sono sempre occupate di emergenze,
laddove, per emergenza intendiamo qualcosa che non si restringe agli eventi catastrofici o
calamitosi, dunque repentini e più o meno inattesi, ma anche a quei fenomeni di emersione,
soprattutto di ordine sociale, ma certamente anche di tipo economico, politico, ambientale e
tecnologico che attivano l'esigenza di mutamenti di rotta nei punti di vista, nei modi, nei contenuti,
nell'organizzazione degli interventi educativi.
Come ha messo in luce Isidori, la definizione di emergenza non è questione affatto semplice,
soprattutto nell'uso che se ne può fare nelle scienze pedagogiche e didattiche.
In questo senso riferendosi tanto ad una dimensione di esteriorità funzionale dell'emergenza, quanto
ai vissuti individuali, dunque interiori e interiorizzati, Isidori definisce questo come un concetto
border-line offrendo così un'immagine-guida, dunque estremamente chiarificatrice, di quello che si
dirà in seguito.
È noto come la rivoluzione industriale e i processi di urbanizzazione che l'hanno accompagnata, la
formazione degli stati nazione siano stati caratterizzati, nella loro nascita e nella loro affermazione,
da dinamiche economiche, sociali e politiche, che soprattutto nell'Ottocento, con importanti
strascichi nel Novecento, smascherano e al tempo stesso rischiano di inasprire le condizioni di vita
dell'infanzia e non solo dell'infanzia, tra lavoro minorile, analfabetismo, alienazione nelle fabbriche
e povertà nelle campagne, nuove marginalità, una questione femminile che comincia solo allora a
prendere forma pensiamo dunque a quelle novità pedagogiche di straordinaria rilevanza che vedono
nascere i sistemi di istruzione obbligatoria, gli asili per l'infanzia, importanti iniziative di
alfabetizzazione degli adulti o di educazione igienico-sanitaria.
La stessa affermazione di un'idea scientifica di pedagogia vede in queste pressioni/emergenze
sociali il riconoscimento di un ruolo diverso della pedagogia stessa, che non deve più rivolgersi ad
un'idea strettamente elitaria di educazione, ma inizia ad aprirsi alle masse, dunque alle diversità di
condizione sociale, economica, di genere, fino a contemplare la diversità psico-fisica e sensoriale.
Il secondo Novecento, poi, apre altri capitoli interessanti in tema di emergenze, laddove per
esempio, l'affermazione dell'era digitale ha spostato molti degli assi del dibattito pedagogico e
didattico sui fronti dell'alfabetizzazione informatica, dell'apprendimento in rapporto alle nuove
tecnologie, oppure, pensiamo alle sfide aperte dalla ipercomplessità della società e del mondo
contemporaneo, dalla globalizzazione, dall'affermazione del multiculturalismo.
Un terremoto, un maremoto, dunque catastrofi naturali, un disastro ambientale (Chernobil,
Fukushima), una catastrofe generata da condizioni di guerra e conflitto o da un attentato terroristico,
epidemie che possono assumere dimensioni catastrofiche costituiscono e generano situazioni
emergenziali che sono foriere di una miriade di problemi nell'ambito dei bisogni formativi.
Le parole chiave di questo percorso sono: elaborazione del trauma, resilienza, resistenza,
prevenzione, formazione e apprendimento in situazioni di crisi.
Come afferma Frasca nell'ambito di una riflessione umana prima ancora che pedagogica sul termine
emergenza:
“difficilmente l'emergenza è come uno se lo aspetta, anche perché difficilmente se lo aspetta. In
genere percepiamo l'emergenza come qualcosa di lontano da noi, che non ci appartiene e mai ci
apparterrà. Eppure, l'emergenza, è umana, essa può rappresentare il culmine e il concepimento
della vita, quando ci conduce alla morte, oppure può rappresentare la fase più impegnativa e
incisiva, nel primo caso talvolta insegna agli uomini a morire, nel secondo, insegna loro a vivere”.
A metà tra le emergenze intese in senso lato e le emergenze riferite alle situazioni di catastrofe e
disastro, troviamo oggi un'altra questione, quella relativa alla fase di recessione economica che si
sta configurando come situazione che si declina e si articola in emergenza di entrambi i tipi:
disoccupazione, nuova povertà, rimodellamento degli stili di vita, perdita di riferimenti valoriali, da
un lato, ma anche dall'altro lato rischi di forte conflittualità sociali o di competizione internazionale
che possono prefigurare scenari di catastrofe.
Educazione ed emergenze nel mondo antico
L'antichità greca e romana ci ha trasmesso numerose idee, utili ad entrare sia nel merito di questioni
riguardanti le emergenze, sia nel metodo di come affrontarle da un punto di vista conoscitivo e dal
punto di vista della loro gestione.
Tra concezioni mitologiche, religiose e filosofiche, l'antichità genera una compresenza di
atteggiamento verso le catastrofi, le catastrofi sotto fatti causati da forze naturali considerati in
quanto tali e le catastrofi come manifestazioni della volontà divina.
Come è noto le prime spiegazioni dei fenomeni naturali vanno situate nella mitologia e non ancora
nella filosofia greca, dunque ogni fatto naturale viene rimandato ad una divinità: ad esempio i
terremoti erano considerati come originati da Poseidone, dio dei mari e del terremoto.
Ciascun terremoto ha un proprio nome: c 'è quello sussultorio, quando la terra è scossa e si muove
in senso verticale, l'altro è quello ondulatorio, per cui la terra ondeggia piegando alternativamente
sui fianchi a guisa di una nave.
Si cerca inoltre di dimostrare come i fenomeni così pericolosi per gli uomini siano prodotti da cause
naturali e non dall'ira degli dei, considerando l'ignoranza come causa prima della paura.
Il Medioevo, come vedremo a breve, avvierà un lavoro sulle mentalità e sull'immaginario che
conferirà un valore e un significato fortemente simbolico alle catastrofi, virando, nel lessico e nella
produzione dei significati culturali, unicamente verso la prospettiva di tipo religioso e riformulando
in senso teologico la questione dei disastri naturali.
Fino ad ora nel nostro discorso, la pedagogia è rimasta in ombra, ma non assente, se è vero che
anche la mentalità, viste in questa sede nell'ottica della lunga durata, sono l'oggetto di un lavoro
pedagogico di decostruzione e/o di costruzione.
In questa direzione sono significative le analisi, pionieristiche in ambito storico-pedagogico, di R.
Frasca circa quelle che potremmo definire oggi come lezioni dell'antichità.
Sulla gestione del dolore psichico, ad esempio, la studiosa individua nella cultura greca le prime
tecniche di cura attraverso la parola.
Le emergenze educano e formano a nuovi valori, nuovi comportamenti, nuove visioni dell'esistenza
e della vita.
Il Medioevo: le punizioni e gli insegnamenti divini
L'alto Medioevo si apre con il crollo dell'Impero Romano sotto la pressione dei barbari, dunque si
apre con un disastro, prodotto dalla storia, evocativo di una distruzione, legata all'opera umana, un
disastro che genera sgomento e angoscia, ma anche numerosi interrogativi.
Non a caso il termine barbaro ci viene da una situazione di non conoscenza, di estraneità e dunque
di paura/rifiuto, lo coniarono i greci che così definivano lo straniero, l'estraneo alla loro cultura, di
cui non capivano lo strano linguaggio.
Il medioevo è però impressionato anche da altri fatti calamitosi che segnano profondamente le
società e le popolazioni, decimandole da un lato e rinforzando ancora una volta quel tipo di
immagini apocalittiche che accompagnano inquietantemente lo svolgimento delle esistenze e della
vita collettiva.
La peste, ad esempio, a più riprese, decima la popolazione europea, peste dal latino peius, dunque la
malattia peggiore.
La maggior parte delle cronache come afferma Piccinini indica espressamente nei peccati umani la
causa della peste, la corruzione, la guerra, gli omicidi, i lussi.
Di qui la nascita di numerosi gruppi di flagellanti che pur senza il consenso della Chiesa si
muovevano in giro per l'Europa, entravano nelle città per punirsi dei peccati degli uomini,
pubblicamente si spogliavano e si frustavano con violenza.
Anche da essi partirono incitazioni al linciaggio verso i non cristiani, ritenuti in qualche modo
responsabili della malattia, facendo emergere quella dinamica di capro espiatorio.
La modernità al bivio: la continuità del medioevo e la rottura illuminista
L'equazione tra epidemie, disastri e peccati, venutasi ad affermare nel medioevo continua ad
operare anche nell'età moderna.
Se nel medioevo si tende ad associare la catastrofe alla colpa dell'uomo, con l'Illuminismo sembra
entrare in scena un principio nuovo, quello della responsabilità, che ancora oggi è centrale sul
dibattito delle emergenze, una responsabilità che più che essere letta nei termini di colpa, ci fa
venire in mente quanto, un secolo più tardi, Max Weber avrebbe definito come azione razionale
rispetto allo scopo, vale a dire quel tipo di azione entro cui mezzi e scopi sono misurati e valutati.
A favorire questo mutamento di rotta, una delle più grandi catastrofi della storia europea: il
terremoto di Lisbona del 1 Novembre del 1755, che interessò una significativa parte dell'Europa e
che provocò oltre 60,000 morti.
Un evento catastrofico di una portata straordinaria, che oltre ai suoi effetti materiali, segnò
profondamente la cultura europea, incidendo nella filosofia, nella letteratura, nelle arti, nelle
scienze, favorì da un lato una riflessione su Dio, l'uomo e il mondo rivista in chiave illuminista e
aprì il campo dall'altro a nuovi atteggiamenti sociali coerenti con quegli ambiti dell'attività umana
che riguardano la prevenzione e l'intervento dell'uomo sull'ambiente.
L'evento si verifica la mattina del 1 novembre, giorno di tutti i santi, falciando la vita a molti fedeli
in preghiera nelle Chiase, uccisi, come riportano le cronache , dai calcinacci e dagli incendi
provocati dalle candele cadute.
L'impressionante coincidenza porta numerosi commentatori a leggere nel terremoto il segno della
punizione divina alle colpe dei portoghesi ad esempio, per i loro comportamenti nelle colonie.
Diversa naturalmente la reazione dei filosofi illuministi, che senza negare l'origine divina del
mondo e pur dibattendo di Provvidenza, inquadrano il problema laicizzando la visuale e gli
orientamenti, viene così restituito ruolo all'uomo non più di fronte all'idea di Dio inteso come
giudice, ma di fronte alla natura intesa co