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Il termine OPAC è nato proprio in quella occasione ed era l’acronimo di Ohio Public Access Catalogue,
trasformato poi in Online Public Access Catalogue.
Prima generazione di OPAC: dall’inizio dell’epoca dell’automazione del catalogo, l’inizio degli anni
Settanta. Si tratta di strumenti di recupero delle informazioni (information retrieval) assai semplici,
che permettono solo poche tipologie di ricerca differenti. In pratica, viene riportato in ambiente
digitale il modello del catalogo cartaceo, con ridottissimi canali di accesso, soltanto per autori e titoli.
Anche la modalità grafica non sfrutta le potenzialità del mezzo digitale.
Seconda generazione di OPAC: inizia a diffondersi a partire dagli anni Ottanta. Lo scopo è
coniugare la familiarità degli utenti con la fisionomia del catalogo cartaceo, sfruttando più a fondo le
tecnologie dell’information retrieval elettronico, ampliando il numero dei canali di ricerca,
permettendo la ricerca per parole contenute e non solo per la parte iniziale o frase esatta, oppure
creando la possibilità di raffinare le ricerche senza ripetere ex novo la query.
Un’innovazione evidente di questi strumenti fu l’avvento dell’interfaccia utente grafica (Graphical
User Interface, GUI): si rende disponibile agli utenti la possibilità di utilizzare i programmi in modo
ulteriore, più semplice, con l’utilizzo di uno strumento nuovo, il mouse.
Terza generazione di OPAC: inizia con gli anni Novanta la generazione degli OPAC estesi, o
E OPAC, dove la “E al cubo” rappresenta le tre caratteristiche principali:
3 Enhanced: per funzionalità e usabilità;
o Expanded: indici, record, collezioni;
o Extended: attraverso link, redi e gateway verso altre collezioni.
o
Inoltre nel 1991 vede la luce il primo sito web: nasce il World Wide Web (WWW)
Quarta generazione di OPAC: dopo la metà degli anni inizia a manifestarsi una forte
insoddisfazione per gli OPAC. Sono gli anni in cui il web subisce alcuni cambiamenti, che vanno sotto
il nome di “web 2.0” o “web sociale”, gli anni in cui sono nati Facebook (2004) e Twitter (2006) che di
questa forma di web sono tra le migliori esemplificazioni. Queste innovazioni del web si sono poi
riverberate anche negli OPAC, etichettati come “cataloghi di nuova generazione”. Con essi si è tentato
di porre rimedio alle difficoltà incontrate dagli utenti rendendo gli strumenti di ricerca per i cataloghi
di biblioteca sempre più semplici e simili al modello di ricerca di Google. Ciò ha significato una serie
di cambiamenti strutturali all’architettura dell’informazione fornita dai cataloghi e una serie di nuove
funzionalità che facilitano il lavoro dell’utente nel momento in cui si mette alla ricerca di informazioni.
Tali cambiamenti sono stati indirizzati:
All’ottimizzazione e semplificazione delle modalità di funzionamento rese disponibili agli
o utenti, con l’introduzione del box di ricerca singola in home page;
Alla “sfocatura” della precisione delle ricerche attraverso l’uso della logica fuzzy e altri
o stratagemmi, come i suggerimenti in merito ai termini digitati per la ricerca e alla possibilità
di allargare il campo di ricerca;
Alla gestione di un ordinamento dei risultati basato sulla “rilevanza”;
o Alla semplificazione dell’analisi dei risultati forniti attraverso il raggruppamento dinamico dei
o risultati di ricerca;
A una visualizzazione dei dati più ricca, come i contenuti generati dagli utenti (recensioni e
o commenti).
Tali strumenti, detti anche discovery tool, riscossero da subito successo. Questa assimilazione dei
cataloghi si motori di ricerca ha implicitamente imposto un cambiamento del paradigma di
funzionamento di tali strumenti: si è passati dal modello di “ricerca”, proprio degli strumenti di
information retrieval, al modello “scoperta”.
La logica booleana ha connaturata in sé l’alternativa dualistica “vero” e “falso”, una logica basata su
certezze, mentre la fuzzy logic permette di determinare una scala di probabilità degli eventi, che hanno
una maggiore o minore possibilità di verificarsi, andando a costituire una progressione di valori
decimali, intermedi tra lo zero e l’uno.
Questo passaggio trasforma la certezza in probabilità, l’uguaglianza in somiglianza, la precisione della
risposta in un ranking delle risposte, il retrieval di informazione già nota in discovery di informazione
ignota.
In una query concepita avendo già in mente una risorsa bibliografica o un contenuto informativo che
si vuole recuperare, i termini utilizzati tendono a essere piuttosto descrittivi, in modo da qualificare
esattamente il bisogno informativo, lasciando poco margine all’ambiguità. Il percorso di scoperta,
invece, ha una natura più esplorativa, spesso guidata da un bisogno generico o meno esplicitamente
dichiarato.
I cataloghi elettronici delle biblioteche, gli OPAC, consentono una straordinaria flessibilità nella combinazione
dei criteri di distinzione e di ordinamento logico delle raccolte, grazie a differenti funzioni di ricerca e a diverse
opzioni di visualizzazione dei risultati. Sono composti da “registrazioni catalografiche” (records), che hanno la
funzione di descrivere e di localizzare una pubblicazione. Ogni record è diviso in “campi” (fields), ciascuno dei
quali veicola elementi informativi e descrittivi diversi. L’insieme dei record costituisce la base dati del catalogo.
L’evoluzione degli OPAC avviene attraverso l’utilizzo di strumenti di ricerca detti discovery system, che
consentono all’utente di espandere automaticamente la ricerca a risorse e fonti esterne al catalogo utilizzato.
Le biblioteche e il WWW hanno molto in comune: entrambi forniscono l’accesso a insiemi di informazioni
registrate. Con il crescere delle risorse digitali disponibili nel web e con l’affinarsi delle tecniche di ricerca
all’interno di quel patrimonio informativo, le persone tendono a vedere con scetticismo ogni sforzo pratico e
teorico investito nella costruzione e gestione di cataloghi. Il fatto è che esistono alcune, fondamentali differenze
tra i due strumenti: essi coprono ambiti diversi e provvedono a soddisfare diverse esigenze di ricerca.
La maggior parte del materiale di stampa, proprio quello di cui le biblioteche sono piene, è destinato a
continuare a esistere solo in formato cartaceo, e di conseguenza inaccessibile ai robot dei motori di ricerca.
Viceversa, molte risorse online hanno caratteristiche, come la multimedialità, che non permettono che ne
esista una versione a stampa.
Il catalogo di una biblioteca descrive una particolare collezione di risorse documentarie; il web invece non è
una raccolta con limiti definiti e non ha un ordine unitario e, inoltre, nel web esistono risorse di ogni genere e
i libri non ne rappresentano la maggioranza.
La collezione delle biblioteche si caratterizza per essere una selezione un numero più ampio di risorse esistenti.
I motori di ricerca, invece, sembrano promettere una copertura informativa completa e globale, ma in realtà la
struttura stessa di internet e del web rendono impossibile misurarne l’estensione. Una parte enorme di risorse,
definita “deep web” o “web profondo” o “web invisibile” è infatti destinata a rimanere tale.
La selezione per qualità di ciò che i motori di ricerca offrono o non offrono non è generalmente possibile. Le
enormi dimensioni del materiale disponibile nel web rendono necessario un compromesso tra precisione e
velocità delle risposte.
Un’altra differenza è che gli utenti interessati possono imparare, leggendo una guida, tutto ciò che riguarda le
caratteristiche e il funzionamento di un catalogo. Non c’è alcun segreto sul funzionamento del catalogo o delle
biblioteche, e tutto è trasparente per l’utente. I motori di ricerca, invece, non possono permettersi di rivelare i
loro metodi di selezione, indicizzazione e presentazione dei risultati di ricerca, per più di un motivo. Gli utenti
finali non hanno modo di valutare l’affidabilità e la completezza dei risultati delle loro ricerche nei motori web,
ma sono necessariamente tenuti all’oscuro riguardo a tutto ciò.
Venendo ai dati indicizzati, quelli contenuti nei cataloghi consistono in descrizioni brevi, altamente
standardizzate, realizzate seguendo elaborati codici di regole. Il contenuto degli indici dei motori di ricerca è
costruito direttamente a partire dal full text (testo pieno) delle risorse indicizzate, senza che siano possibili
controlli e standardizzazioni dei dati.
Il full text, il testo integrale delle risorse manca di frequente nell’indicizzazione del catalogo. Le ricerche nel
catalogo possono essere limitate a dati (metadati) di specifiche determinate tipologie.
Nei motori, l’informazione non è ancora esposta in maniera strutturata; non essendo l’informazione indicizzata
in modo strutturato, non è possibile ordinare i risultati alfabeticamente o cronologicamente, cosa che rende
impossibile lo scorrimento della lista dei risultati alla ricerca di una specifica risorsa. La raccolta dei dati e
l’indicizzazione dei motori di ricerca è completamente automatica e non c’è modo di gestire le informazioni
necessarie in ingresso, né il controllo dei dati. A causa della mancanza di standard e di uniformità, è possibile
ottenere risultati precisi solo in pochi casi.
Per quanto riguarda la disponibilità del materiale, se un libro non è in catalogo non è quasi certamente in
biblioteca; se un documento non è nella risposta di un motore, invece, potrebbe esistere benissimo nel 95% di
risorse che i motori non indicizzano.
Le risorse conservate in biblioteca sono, tendenzialmente, disponibili solo qualche tempo dopo la loro
pubblicazione. I motori di ricerca, invece, sono specializzati nel rendere accessibili in tempi sempre più brevi
materiali aggiornatissimi.
I nuovi strumenti, i cataloghi di nuova generazione, tendono a sfumare alcune differenze tra cataloghi e motori
di ricerca, cercando di mantenere e fondere le caratteristiche positive di ciascuno strumento. Nei nuovi
cataloghi, i discovery tool, vengono quindi indicizzate anche molte risorse elettroniche che poi sono rese
disponibili, con un click del mouse, agli utenti autorizzati a consultarle.
Gli artefici dell'informazione possono essere molteplici e disomogenei e, pertanto, possono “produrre” la
medesima informazione secondo modalità, e affidabilità, molto differenziate. La necessità di avere la maggiore
consapevolezza possibile delle caratteristiche e delle potenzialità offerte e rese d