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5°- ALESSANDRA BONAZZI - DA ELLEN CHURCHILL A CARL SAUER
Il mondo nel quale Carl Sauer si trovava a fare geografia era molto diverso dal nostro. Le sue radici
disciplinari affondavano nella costruzione degli imperi, ancorate all’ideologia della superiorità della
civiltà occidentale e legittimate da un linguaggio neutrale e naturalistico. Il linguaggio della scienza
è quello dell’evoluzionismo e del determinismo ambientale.
Il determinismo ambientale è un’immaginazione che funziona in maniera semplicissima ed è in
grado di fornire le rappresentazioni più efficaci per la realizzazione del progetto imperiale. I
meccanismi che determinano un dato comportamento culturale sono da ricercarsi in maniera
esclusiva nell’ambiente. Le condizioni ambientali creano infatti abitudini culturali e queste abitudini
si trasmettono naturalmente alle generazioni successive. Si assiste in questo periodo alla
proliferazione di teorie geografiche relative all’economia del clima, alla definizione gerarchica del
concetto di razza, ai credo antropoclimatici.
Quando si parla di determinismo ambientale, l’opera a cui si fa riferimento è quella di Ratzel. Nella
sua “Geografia Politica” del 1897 lo Stato è paragonato ad un organismo la cui sopravvivenza
dipende dall’espansione territoriale. In questo modo, la spinta coloniale delle potenze europee altro
non è che l’impulso organico all’espansione, un’aspirazione legittima. Questo ethos naturalistico
discrimina tra chi ha il diritto di espandersi e chi no. Esiste infatti una sorta di scala di valore che
indica una diretta corrispondenza tra grado di civiltà, livello dell’organizzazione politica e
grandezza dello spazio vitale. Il determinismo ambientale va dunque inteso come una teoria utile a
legittimare le ambizioni di specifici gruppi di interesse. In America lo spirito dell’evoluzionismo
diventa un volgare e stupido determinismo ambientale nelle lezioni di Davis e Ellen Churchill.
Negli anni ‘20 il determinismo ambientale si spegne, non ha più ragione di esistere, perché la
questione non si gioca più sulla spinta alla conquista ma sulla necessità di riconfigurare le relazioni
di potere nelle terre già acquisite. Così i principi di Ellen Churchill collassano, prima ancora che
sotto il peso delle sue contraddizioni, per la loro inutilità politica ed economica. Per Sauer invece la
tradizione regionale a cui rimanda è quella che arriva fino a Paul Vidal de La Blache e alla
geografia classica francese. Particolarismo e regionalismo diventano i termini della geografia che
Sauer definisce culturale. Sauer si distacca da un mero determinismo ambientale grazie
all’antropologia di Franz Boas.
Franz Boas (1858-1942) = antropologo tedesco naturalizzato statunitense, maestro della cosiddetta
“scuola culturalista”. Voleva andare oltre le teorie evoluzioniste e si lega in parte al diffusionismo,
cioè si concentra sugli scambi tra culture geograficamente contigue. È famoso per le sue ricerche
sugli eschimesi dell’isola di Baffin.
Nel 1923 un giovanissimo Carl Sauer è a capo del Dipartimento di Geografia a Berkeley, una
posizione che manterrà fino al 1954. Diventando docente universitario Sauer è in grado di educare
un’altra generazione di geografi americani. Nel 1941 si scaglia contro quei colleghi che non
riconoscono la cifra storica della geografia e non esita a recidere legami con le origini tedesche
della sua geografia culturale. Negli Stati Uniti la disciplina diventa così un puro prodotto nativo e
la si fa con i piedi, cioè camminando e lavorando sul campo.
Nel 1956 Sauer ribadisce l’importanza di leggere gli aspetti materiali dei paesaggi culturali poiché
esprimono il rapporto tra cultura e natura e rappresentano i segni visibili delle variazioni culturali
dentro lo spazio. La sua disciplina si origina e si stabilisce nel saggio “Morfologia del paesaggio”:
si tratta di uno scritto sostanzialmente breve in cui Sauer mette a punto l’idea della morfologia,
mentre il paesaggio è inteso come unità geografica caratterizzata da un’associazione di fatti. Qui il
paesaggio è sinonimo di area o regione geografica. Sauer indica nel paesaggio il campo di studio
della geografia: è una sorta di unità bilaterale, cioè è un sito e impressione concreta del lavoro
dell’uomo.
Per quanto riguarda il suo metodo, quella di Sauer è la sistematica sospensione di ogni teoria a
priori; poi la sintesi morfologica tra le forme collocate in strutture e la comparazione delle strutture;
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inoltre la morfologia non si preoccupa di spiegare le cause generali del cambiamento ma vuole
descrivere le architetture spaziali. Tecnicamente si tratta della rappresentazione della morfologia del
paesaggio naturale che si ottiene mediante la conoscenza di tutte le sue forme e delle loro
correlazioni, stabilite da fattori climatici e geognostici. Il paesaggio è poi soggetto a continui
mutamenti per mano dell’uomo, l’ultimo ma più importante agente di cambiamento. Il paesaggio
culturale infatti è l’area geografica nel suo significato finale, cioè le sue forme sono la traduzione
materiale del lavoro degli uomini. La cultura è l’agente, l’area naturale il medium, e il
paesaggio culturale il risultato. Di questo agente astratto non si formula alcuna teoria ma funziona
come causa non sottoposta a indagine. Si tratta dunque di una consapevole scelta disciplinare
capace di garantire alla geografia culturale la cifra del positivismo.
Sotto l’influenza di una data cultura che cambia nel corso del tempo, anche il paesaggio cambia. Per
questa ragione la geografia deve abbracciare la dimensione storica, la sola in grado di decifrare i
differenti aspetti che si sono susseguiti nello stesso paesaggio naturale. La forza che dà forma e
modella la morfologia naturale giace nella cultura stessa. I principi della disciplina sono quelli del
positivismo e del determinismo ma quest’ultimo si scosta dal dogma dell’ambientalismo.
RICAPITOLANDO
Anni ’60: l’aggettivo “nuovo” entra nella Geografia
→ New Geography in Gran Bretagna (filosofia neopositivista: matematica+geometria)
→ Nouvelle Géographie in Francia (nuovo umanesimo+fenomenologia)
Raztel (‘800) → idee darwiniane+determinismo ambientale+diffusionismo
Lamarck (‘800) → si possono trasmettere caratteri acquisiti alle progenie
Indirizzo paesaggistico (fine ‘800-inizio ‘900) → si afferma grazie ad Otto Shluter, Eduard Hahn e
Sigfried Passarge; non obbligava a prendere posizione rispetto al determinismo. Paesaggio come
porzione della superficie terrestre che poteva essere studiato nei suoi aspetti “naturali” e in quelli
“umanizzati”.
→ parleranno di paesaggio:
COSGROVE: paesaggio come “modo di vedere”
DUNCAN: paesaggio come testo
JACKSON: paesaggio come pratica
Carl Sauer e la “scuola californiana” (dagli anni ’20 agli anni ’50) → evoluzionismo +
determinismo ambientale + antropologia di Franz Boas e diffusionismo + concetto della cultura
come “superorganico” di Kroeber + idea della morfologia e paesaggio culturale come risultato
→ nel frattempo in Europa: filone possibilista → Vidal de La Blache e la teoria dei “generi di vita”
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6° - MINCA/COLOMBINO – LUOGO, PAESAGGIO, REGIONE
LUOGO = spazio degli affetti e della memoria, dell’appartenenza e dell’esperienza di tutti i giorni.
Non ha una dimensione prefissata né una fisionomia. È spesso tradotto in logica cartografica, quindi
in mappa → da tempo si associano al luogo valori di tipo culturale/politico.
MARC AUGÈ (antropologo) e il concetto di NON-LUOGO → spazio del consumo (aeroporti,
autogrill, villaggi turistici, campi profughi, centri commerciali)
Luogo, senso del luogo e assenza del luogo sono concetti fondamentali in geografia umanistica →
rappresentata da YI FU TUAN. Le caratteristiche del luogo secondo lui sono:
Personalità
- Spirito
- Stabilità (rappresentata dai simboli pubblici e dai campi emozionali → questi ultimi possono
- scomparire)
VS geografia quantitativa → figlia della rivoluzione quantitativa, cambiamento dell’approccio
utilizzato legato ora alla matematica e alla geometria.
EDWARD CASEY = il luogo viene percepito prima dello spazio, ne possiamo fare esperienza
attraverso i nostri “lived bodies” → questo concetto è ripreso da DAVID SEAMON con i suoi
“body ballet”, “time-space routine” e “place ballet” (il corpo conosce attivamente).
Anche critiche dalla teoria femminista (GILLIAN ROSE, no al luogo come “casa” e come
“rifugio”) e da quella marxista (DAVID HARVEY, dimensione sociale e non emotiva, i luoghi si
adattano alle condizioni dell’economia globale e del capitale e si generano reazioni difensive →
“militant particularism”).
7° - MINCA-COLOMBINO
Lo studio del paesaggio ha una lunga tradizione nella geografia umana:
COSGROVE → paesaggio come modo di vedere. Il suo testo canonico è “Realtà sociali e
paesaggio simbolico” del 1984. Il paesaggio è un modo di rappresentare lo spazio che nasce
nell’Italia Rinascimentale, la prospettiva è un mezzo, un’ideologia, legittima le proprietà terriere
delle classi agiate;
DUNCAN → paesaggio come testo (“The city as a text”, 1990). I paesaggi possono essere
interpretati e letti come segni scritti e letti da diversi attori sociali. Geografia vicina alla semiotica.
Importante è l’idea di “intertestualità”, il paesaggio cioè può essere letto in relazione a fotografie,
documenti, leggi, opere letterarie o storiche, articoli di giornale, ecc. Polisemia del paesaggio: esso
non ha un unico significato, dipende da chi legge e interpreta.
JACKSON → paesaggio come pratica, cioè spazio di routine, in cui le persone abitano e
lavorano, solido e materiale. Approccio della geografia del turismo.
8° - DELLA DORA-MINCA
La definizione di “regione” è da attribuirsi ad Hartshorne → la regione è uno spazio di specifica
localizzazione che si distingue da altri spazi e si estende nella misura di questo suo distinguersi. In
questo senso la regione si intende come “partizione territoriale con determinate caratteristiche” (che
possono essere uno o più elementi: etnici-linguistici, fisico-naturali, urbani-economici).
Regione formale = si basa su un principio di uniformità e su criteri visibili (es: regione naturale);
Regione funzionale = legata alla rivoluzione quantitativa, si basa sulle “funzioni&