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I - NOMOS E AGON
La krisis nell’esperienza giuridica greca è perenne ricerca di un equilibrio che compensi l’incertezza di un
continuo contrasto tra opposti: il greco si sente immerso in un costante conflitto interiore ed esteriore. Krisis
deriva dal verbo krinein che ha un duplice significato: sgretolamento e rovina da un lato, dire giustizia e
giudicare distinguendo dall’altro. Il diritto è innanzitutto il sapere che studia la crisi generata dalla controversia
tra pretese opposte, e tale crisi è una circostanza inevitabile della vita umana. Sopprimere l’opposizione
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significa ritenere valida ed esclusiva la propria tesi (dogmatismo: l’uomo conosce la verità), mentre ignorare la
crisi significa ignorare entrambe le posizioni (scetticismo: irrilevanza di ogni discorso sulla verità). Nel contesto
della crisi si distende il concetto e l’applicazione dell’azione dialettica, che nasce nel poemi omerici come
tentativo razionale di superare questa condizione umana: nella mente dell’uomo omerico coesiste la ragione e la
follia. L’attività di questa mente bicamerale permette all’uomo omerico di amministrare opposte realtà:
attitudine a dialettizzare. Nell’Iliade compare il verbo dialèghesthai che designa un’azione che consiste
nell’esaminare e distinguere pensieri opposti per togliere quelli effimeri e conservare quelli duraturi. Questo
verbo ricorre quando l’eroe si trova di fronte al dilemma inevitabile di morire o continuare a vivere (Ulisse in
battaglia, Menelao quando abbandona il corpo di Patroclo, Agenore quando affronta Achille, Ettore quando
affronta Achille, Achille dopo aver ucciso Ettore). Gli eroi si rivolgono al loro cuore (thymon) inteso come
centro psicologico in cui le voci interiori si presentano in tensione tra la riflessione e l’emozione. La riflessione
dell’eroe, razionale o emotiva che sia, è legata all’azione. Il dialettizzare dell’uomo si svela in una attività
intellettiva caratterizzata, da un lato nel distinguere le diverse opzioni, dall’altro nel prendere una scelta e
affrontare il dilemma. In questo contesto dialettico si colloca il valore della legge, che per l’uomo greco diviene
lo strumento per comporre il conflitto intersoggettivo, indicando condotte condivise. Dunque l’idea di legge,
che pur si sviluppa successivamente ai poemi omerici nei quali non troviamo il concetto di legge, è strettamente
legata alla crisi dialettica omerica. Una prima esplicita traccia del nomos si rinviene nelle “Opere e Giorni” di
Esiodo. Qui la legge è il principio necessario alla risoluzione del conflitto e che è stabilito da Zeus, legislatore e
giudice. Il nomos è qui descritto come una facoltà che la divinità attribuisce agli uomini e che risolve le
controversie consentendo l’amministrazione non violenta della giustizia. L’uomo libero e responsabile non deve
disobbedire alla legge o rimanervi indifferente, ma deve adoperarsi per attuarla, organizzando la controversia
davanti al giudice. La funzione mediatrice della legge si rinviene anche nella Teogonia di Esiodo: la legge è
intesa come un dono fatto agli uomini i quali diventano saggi e degni a un livello quasi divino se la accolgono e
la applicano: i re saggi sono quelli che realizzano il principio della legge pacificatrice.
Il carattere conflittuale e dialettico della giustizia è ripreso dalla filosofia preplatonica di Eraclito: nei suoi
frammenti si trova la relazione tra l’inevitabilità della contrapposizione e la necessità della sua risoluzione in
una unità armonica e conceditrice delle differenze. La giustizia non è un valore astratto ma è l’attività che tiene
unito il conflitto con il congiungimento, stabilendo la soluzione della lite. La compresenza in tutte le cose del
conflitto, della luce e dell’ombra, si rispecchia nella natura processuale del diritto, come mezzo di
amministrazione della controversia. Solo attraverso il contraddittorio delle tesi opposte è possibile scongiurare
la violenza. La vita degli uomini è caratterizzata da volontà configgenti perché ogni pretesa è parziale e non
assoluta: il superamento del limite di ogni esistenza con la violenza e la soppressione dell’altro è un atto di
hybris. Solo la legge e la giustizia organizzate nel processo dialettico permettono la conciliazione degli opposti
attraverso la conservazione delle differenze. Anche Platone afferma l’inevitabilità del conflitto e la sua
risoluzione attraverso la dialettica. Per Platone si raggiunge la verità di una cosa solo passando attraverso tutte
le confutazioni delle ipotesi alternative. La abilità dialettica è la capacità di ridurre a contraddizione le opinioni
dell’interlocutore che crede di possedere la verità. Ne la Repubblica Platone espone l’uso etico e politico della
dialettica nelle discussioni della vita pubblica. Secondo Platone, sapere di non possedere la verità e aver
bisogno del sapere altrui è l’origine della filosofia perché l’aspirazione al sapere permette di mediare il conflitto
interiore e creare un legame con gli altri. Nel Protagora, Platone narra che in origine gli uomini vivevano sparsi
e si sono salvati solo quando si sono radunati e hanno fondato le città. La polis è costituita da elementi
eterogenei che attraverso la legge sono tenuti assieme pur conservando le loro differenze. Zeus evita lo scontro
donando agli uomini il rispetto reciproco delle competenze e funzioni svolte nella società (aidos) e la giustizia
che amministra il conflitto (dike). Zeus qui non offre la legge ma mostra come relazionarsi con la legge.
Nella lingua ellenica agòn designa quella prospettiva conflittuale e competitiva della vita collettiva, nella quale
svolge un ruolo fondamentale il nomos, non inteso come insieme di leggi ma come atto di pacificazione dei
rapporti sociali. Questa prospettiva e questa dimensione dialettica si rinviene anche in alcuni fenomeni sociali
molto importanti: la gara atletica, la tragedia e la disputa giudiziaria. Tutti questi eventi sono chiamati con lo
stesso termine, agòn: nascono come manifestazioni rituali ma diventano col tempo manifestazioni competitive
che istruiscono il cittadino sull’importanza del principio comune che pacifica il conflitto. Queste attività
agonistiche, competitive dal carattere sacrale, publico e paideutico diventano il luogo di sviluppo non violento
della pratica ragionata e dialogica della discussione. Ciò che i Greci chiamano agòn (stessa radice di agorà) non
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è una lotta violenta che frantuma la relazione ma è il legale reciproco tra avversari che si affrontano per
diventare l’uno migliore dell’altro, per migliorare se stessi e superare i conflitti intersoggettivi. La violenza
dello scontro è esclusa dalle regole dello scontro stesso. L’esaltazione della competizione si accompagna al
senso di apparenza alla medesima comunità, in una costante tensione tra contesa e amicizia; questa tensione si
rinviene nella politica (dibattimenti nell’agorà) e nel diritto.
Ai Giochi di Olimpia (istituiti in onore di Zeus, giudice di tutti i conflitti), racconta Aristotele nel Protreptico,
si andava per commerciare, per gareggiare e per vedere. I giochi scandivano il tempo e infatti olimpiade indica
il quadriennio tra le due manifestazioni. Le olimpiadi rappresentano la manifestazione più importante dello
spirito agonistico greco perché vi partecipavano atleti da tutte le colonie. L’atleta è colui che personifica la non
violenza della contesa: l’atleta partecipa per vincere o per accettare la sconfitta, per superare gli avversari e non
per abbatterli. La funzione pacificatrice è confermata dal fatto che durante i giochi le ostilità (tutte le
controversie pubbliche e private) in tutta la Grecia erano sospese. Lo scopo pacificatore della competizione si
realizza anche nell’esperienza giuridica: processo e competizione esprimono lo stesso concetto di pacificazione
guidata (giudice e parti come arbitro e giocatori - citazione in giudizio come sfida - dialogo come duello -
sentenza come risultato). Violare le regole del processo così come quelle della gara è tracotanza verso Zeus.
La struttura agonistica si ritrova anche nel teatro: il termine agòn indica sia la scena della disputa tra i
personaggi che il concorso dei poeti. La tragedia è la rappresentazione problematica del conflitto attraverso la
narrazione mitica. La rappresentazione teatrale viene istituita come momento culminante delle feste di
Dionisio, le Grandi Dionisie che si svolgevano tra marzo e aprile, dopo la conclusione della processione
notturna con la quale si manifestava il rinnovo dell’alleanza con il dio. Cosa c’entra il culto di Dionisio con la
tragedia? Nel 536 a.C, sotto il governo di Pisistrato, l’autorità cittadina delibera che il tradizionale culto dei
cortei sia sostituito da una rappresentazione stabile nella quale il corifero e il coro dialogano tra loro nell’agorà,
e successivamente dall’agorà al teatro. Il concorso drammatico è regolato dalla legge che prevede la selezione
preliminare delle opere da parte di una commissione e la scelta finale delle tre migliori tetralogie. La giuria
popolare è composta di dieci cittadini sorteggiati dall’arconte. La gara pubblica rispecchia la natura agonale
mentre le tragedie svolgono una funzione educativa perché i contenuti, basati sul conflitto, devono essere
appresi dalla cittadinanza, coinvolta dagli stessi drammaturghi. La gara drammatica si accompagna alla disputa
degli agoni ditirambici. Per il greco la tragedia costituisce una purificazione rituale del conflitto dialettico che
coinvolge l’animo umano, chiamato a scegliere tra molteplici alternative: meditando sulle vicende messe in
scena, lo spettatore riesce a superare il proprio conflitto interiore e in generale il conflitto nella comunità.
[Frazer: la tragedia greca razionalizza il mito primitivo del culto di Dionisio; gli eroi sono personificazioni
delle divinità naturali. Girard: la tragedia conduce al rinnovamento spirituale dell’individuo attraverso la
catarsi del conflitto, espiato grazie a un capro espiatorio che assume su di sé le colpe (come il tiranno)].
Dionisio non vive sull’olimpo ma è un dio errante, rappresentate l’altro, il diverso senza legge, che arriva da un
luogo sconosciuto e crea conflitto. Da questo dissidio nasce l’azione tragica che si verifica quando il
protagonista rimane arroccato alle proprie convinzioni e non cerca la mediazione con l’altro, non cerca di
sanare il conflitto.
La funzione pacificatrice del testo tragico ha natura analoga ha quella del testo giuridico, dl quale costituisce
una metafora. Chi scrive le leggi, dice Platone, è come un poeta tragico e l&rs