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CARATTERE POLISEMICO DEL TERMINE
Quello dell’estetica è un campo confuso, confuse sono le rappresentazioni estetiche che si rivolgono alla
“logica della sensazione”: la disciplina estetica intende portarle alla perfezione, cioè a quel grado di sapere
che era programmaticamente sfuggito agli antichi…
Questa “perfezione della conoscenza sensitiva” è la bellezza, che diviene così il principale oggetto
dell’estetica, riallacciando le meditazioni antiche a quelle moderne.
La bellezza, in tutte le sue specificazioni sensitive, è allora connessa all’arte, alla percezione del bello,
all’immaginazione.
Si giunge ad una prima conclusione importante: da una serie di ricerche confuse, e dalla confusione
caratterizzante, Baumgarten permette di costruire l’estetica come disciplina che raccoglie sotto il suo nome
un insieme di ricerche confuse, antiche e moderne, sul bello, sull’arte, sull’immaginazione, sul sublime, sulla
poetica o sulla retorica; ma anche istituzionalizza, oltre l’etimologia, quasi a sigillo della sua “essenziale
confusione”, il carattere polisemico del termine.
“L’ESTETICA E’ LA SCIENZA DELLA CONOSCENZA SENSIBILE”
Tale perfezione consiste non tanto nell’elaborazione di rappresentazioni chiare e distinte come quelle della
logica, quanto nel perseguimento di una “chiarezza estensiva”, intesa come capacità di abbracciare la
varietà e la diversità con uno sguardo complessivo e con rappresentazioni vivaci e concrete.
L’orizzonte conoscitivo studiato dall’estetica si colloca al di sopra delle rappresentazioni oscure e
indistinguibili, ma al di sotto della distinzione peculiare delle rappresentazioni colte dalle facoltà conoscitive
superiori:
Si tratta di un orizzonte fatto non di astrazione ma di concretezza, varietà, individualità.
Un dominio dotato di una propria verità estetica conosciuta con i sensi e l’immaginazione e di una
propria bellezza, che consiste appunto nella “perfezione della conoscenza sensibile».
Non ha solo il merito di aver dato il nome alla moderna teoria dell’arte. Il suo merito consiste certamente
nell’aver stabilito precisi fondamenti, funzioni e confini della nuova disciplina, nell’averne cioè tracciato un
disegno sistematico, dal quale i maggiori cultori dell’estetica, hanno tratto stimoli potenti, direttamente o
per via mediata.
IL PRINCIPIO DELL’ORDINE E LA GRANDE TEORIA
Una possibilità di assumere la prospettiva moderna senza alterare l’identità storica dei dati in cui essa si
applica viene dal criterio dell’ordine bello, criterio dal quale prende origine la Grande Teoria dell’estetica,
cioè la teoria per cui la bellezza di un oggetto consiste nella perfezione della sua struttura.
Essa si basa sull’idea che la bellezza di un insieme consiste nella proporzione tra le parti che lo compongono
ed ha la sua prima formulazione con i filosofi pitagorici, i quali, com’è noto, ponevano a fondamento della
realtà il numero.
Da tale idea discende il concetto di armonia.
LA GRANDE TEORIA
Ha la sua origine in Grecia: anche se qualcosa di simile esisteva già presso gli Egizi, solo in Grecia essa
acquista una valenza propriamente estetica, perché ambisce a catturare la bellezza. La teoria delle
proporzioni egizia non aveva un’esigenza propriamente estetica, ma prevalentemente magico-pratica.
La teoria greca è, invece, rivolta allo splendore del suo oggetto, alla cattura e all’esibizione di tale potenza.
A testimonianza dell’intenzione di catturare, come se si trattasse di gettare una rete, è la libertà dell’artista,
rispetto al sistema egizio, di variare le dimensioni oggettive, caso per caso, in libere combinazioni.
IL SIGNIFICATO DELLA MIMESI
Fin dall’età arcaica, l’opera d’arte viene concepita come un insieme composito di elementi che
rappresentano mimeticamente un ordine esterno all’opera medesima e che generano piacere e
ammirazione. Nelle arti verbali, uno dei termini designanti questo insieme è Kòsmos che già Omero collega
all’idea di bellezza. Kalòn è procedere bellamente. Nella lirica arcaica il testo poetico viene inteso come un
Kòsmos epéon, cioè un bell’ordine di parole. Ad attivare il processo compositivo del kosmos (ordine) è
l’impulso mimetico che caratterizza l’uomo in quanto animale predisposto alla conoscenza. Perciò l’antica
nozione di mimesis, cioè imitazione può riferirsi non solo ai procedimenti della poesia, delle arti figurative e
della musica, ma anche alla mimica vocale e orchestrica, alla recitazione teatrale e ancora al legame tra i
nomi e le cose.
In estetica, mimesi è la produzione di un’immagine corrispondente a un archetipo. Storicamente, il
concetto di mimesi (dal greco mímesis, “imitazione”) affonda le proprie radici nella filosofia di Platone e di
Aristotele.
Per PLATONE la mimesi è produzione di immagini, che possono avere origine divina (è il caso dei sogni) o
umana. In campo letterario, Platone, nella Repubblica, considera in gran parte mimetiche (attribuendo al
termine una connotazione negativa) la tragedia, la commedia e l’epica, in quanto producono pallide
imitazioni di eventi e realtà del mondo sensibile, che a loro volta non sono che copie imperfette del mondo
delle idee.
Nella filosofia platonica, la mimesi riguarda il rapporto fra le cose sensibili e le idee.
LA MIMESI SECONDO ARISTOTELE
Nell'estetica classica l'arte è intesa come mimesi, cioè imitazione, della natura e mentre Platone la giudica
imperfetta in quanto imitazione di un'imitazione (mimesi della natura che è a sua volta mimesi dell'idea),
Aristotele la rivaluta pienamente ritenendola mimesi non della realtà particolare ma dell'universale.
ARISTOTELE invece, definisce ogni forma di poesia come mimesi, distinguendo la mimesi drammatica della
tragedia e della commedia, da quella narrativa dell’epica. In particolare, la qualità letteraria della tragedia
risiede nel suo potere di operare in modo simile alla natura. La rappresentazione del conflitto quotidiano
degli uomini con gli dei e con il destino produce sullo spettatore un effetto di purificazione dalle passioni
che normalmente condizionano la sua percezione del reale, in modo analogo a quanto avviene in seguito a
un’esperienza reale traumatica o sconvolgente, quando, superate le emozioni che l’hanno accompagnata, si
riesce a considerarla con maggiore distacco. Nel caso della tragedia, il piacere estetico si identifica proprio
in questa liberazione dell’animo dalle passioni e dalle paure (catarsi), che permette poi di osservare con
sguardo critico le contraddizioni del reale.
DIVERSE PROSPETTIVE NEL MODO DI INTENDERE L’ARTE: PLATONE E ARISTOTELE
Più nel dettaglio Platone distingue due tipi di mimesis:
-Quando si riproducono esattamente le proporzioni dell’oggetto considerato;
-Quando tiene conto dell’osservatore ed attua una serie di accorgimenti illusionistici che sembrano
alterare la realtà, come in architettura.
Nella dialettica realtà-apparenza il compromesso è impossibile, ogni apparenza è un tradimento della
verità, dato che reali sono solo le idee, illusioni le cose di questo mondo.
Il termine mimesis viene usato da Aristotele con un ampio spettro semantico, oscillando da mimesis come
simulazione, a mimesis come rappresentazione. Nella simulazione è implicito l’inganno, accettato ed
anche apprezzato; nella rappresentazione invece è implicita la connotazione della riproduzione, della
fabbricazione: una tecnica che crei qualcosa di vicino al modello, ma che non pretende di sostituirlo.
Per Aristotele ogni forma d’arte è imitazione della natura, e questo ha ricadute positive. Ma c’è di più: le
produzioni artistiche si distinguono da quelle della natura perché sono: quelle cose che si trovano
nell’animo dell’artista, altro passaggio importante, perciò la produzione artistica non si identifica con la
mera attività pratica. L’artista può rappresentare le cose in tre modi “come furono o sono, come si crede o
si dice siano, o come dovrebbero essere”.
Se Platone subordina l’arte ad altre esigenze, Aristotele le riconosce un campo autonomo nell’agire che ha
un’alta funzione e utilità, sia per chi fa “imitando si impara”, sia per chi poi guarda.
Se per Platone l’arte è una copia fuorviante di ciò che esiste, per Aristotele è costruzione.
Quindi per Platone è registrazione passiva di qualcosa che già c’è (e che a sua volta è una copia), per
Aristotele fare arte è un’operazione attiva che coinvolge la sensibilità, è un’operazione intellettuale che
prevede la scelta, una selezione della realtà che permette che questa sia capita, e permette di fornire un
messaggio universale.
Per Platone l’arte è subordinata all’idea di verità; Aristotele riconosce l’autonomia dell’esperienza arte, le
sue peculiarità, le sue possibilità.
Infine, alla base delle differenze tra i due filosofi c’è una diversa concezione di mimesis, che oscilla tra
l’interpretazione passiva di Platone, a mimesis come operazione attiva di Aristotele.
IL SIGNIFICATO DELLA TECHNE’ E IL CRITERIO DEL PREPON
L’esperienza artistica esalta la dimensione ricompositiva della mimesis, poiché l’artista opera alla stregua di
un fabbricatore che mediante una technè cioè mediante l’abilità costruttiva dell’artigiano mette insieme un
kosmos formale analogo al kosmos reale. L’artista ottiene il successo anche per il suo senso
dell’appropriatezza o prepon ovvero per la sua capacità di rendere i mezzi espressivi convenienti alla
situazione che essi rappresentano e alle circostanze in cui essi vengono recepiti.
L’ORIGINE DIVINA DELLA POESIA E L’ASSENZO ESTETICO
L’opera d’arte e soprattutto la poesia è circondata da un alone magico e divino, nelle epoche più antiche
anche il canto, hanno il potere di dilettare e affascinare gli ascoltatori. Il termine “estetica” presuppone
àsthesis, cioè percezione sensoriale, percepire o ascoltare con l’orecchio. Il poeta, ispirato dalle muse della
memori, opera attraverso procedimenti di enargeia. L’effetto di riconoscimento per cui questa cosa si
scopre uguale a quella cosa e per cui il sentimento estetico e quello religioso si fondono in un’esperienza
emotiva e conoscitiva.