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Estratto del documento

Poi prendiamo il mercato Y (ad es. il mercato dei piccoli

elettrodomestici o il mercato dei vestiti) nel quale ci sono 6 imprese, di

cui:

• una molto grossa che ha una quota di mercato del 40%; e

• le altre 5 sono medio - piccole con quote di mercato dal 15%

all’8%.

Se noi applichiamo il criterio delle 4 imprese, dobbiamo prendere solo

le 4 imprese più importanti e sommare le loro quote di mercato. Se

facciamo ciò tenendo in considerazione questi 2 mercati (X e Y)

vedremo che in entrambi il livello di concentrazione sarebbe 80%.

Quindi sembrerebbero 2 mercati uguali, con livello di concentrazione

pari all’80%, ma in realtà sono completamente diversi perché

ovviamente l’impresa con quota di mercato pari al 40% può fare molto

di più (in termini di posizione dominante e potenziale abuso) rispetto a

quello che possono fare le 3 imprese dell’altro mercato con quota di

mercato del 20%. Per tale motivo possiamo dire che è un criterio

impreciso che rischia di dare una visione fuorviante della realtà.

2) Pertanto, negli anni ‘90, 2 autori americani hanno inventato un nuovo

criterio (più preciso) per calcolare il livello di concentrazione: l’indice

HHI (che prende il nome dai suoi ideatori) che consiste nel prendere

le quote di mercato di tutte le imprese che operano in quel mercato (se

per es. sono 20 imprese, si prendono in considerazione tutte e 20; se

sono 100 imprese, allora si prendono in considerazione tutte e 100… e

così via). Ogni quota di mercato viene elevata al quadrato e poi si ha la

somma di tutte queste quote di mercato elevate al quadrato, e si ottiene

un certo risultato. Se questo risultato ha un valore superiore a 1000

(che sarebbe il valore soglia), allora vuol dire che il mercato è

concentrato (o a rischio di concentrazione), altrimenti è un mercato

concorrenziale. Facciamo un esempio, tenendo in considerazione i 2

mercati di prima e vediamo come le differenze emergono subito.

Partiamo dal mercato X: abbiamo 4 imprese con quota di mercato del

20% e 2 imprese con quote di mercato del 10%. Eleviamo tutto al

quadrato e sommiamo. Abbiamo che 20 al quadrato fa 400, mentre 10

al quadrato fa 100. Sommiamo tutto: 400 + 400 + 400 + 400 + 100 +

100 = 1800. Essendo il risultato superiore a 1000, vuol dire che è un

mercato a rischio di concentrazione. Adesso passiamo al mercato Y:

qui abbiamo quote di mercato più alte, infatti 40 al quadrato fa 1600,

quindi già una singola impresa al quadrato vale più o meno quanto tutto

il mercato precedente. Sommata questa quota a tutte le altre elevate al

quadrato, otteniamo 2346. Quindi è un sistema che consente di mettere

a fuoco le differenze (infatti i quadrati enfatizzano le differenze). Quindi,

in questo caso, entrambi i mercati hanno un indice di concentrazione

superiore a 1000, per cui dovrebbero essere monitorati dalle agenzie

che tutelano la concorrenza nel mercato. La domanda è: “Se, invece, il

mercato fosse perfettamente concorrenziale quale sarebbe il valore

dell’HHI?”. Per rispondere occorre ricordare che il mercato

perfettamente concorrenziale ha tra le sue condizioni un numero

elevatissimo di operatori economici e nessuno di loro ha una quota di

mercato significativa. Quindi la risposta è zero, perché la quota di

mercato è piccolissima (ad es. 0,01 o 0,02… ecc.), se noi eleviamo al

quadrato un numero minore di 1, il risultato sarà un numero più piccolo.

Quindi calcolando i quadrati (es. 0,01 + 0,02 + 0.05… ecc.) avremo un

numero piccolissimo/minuscolo che tende allo zero!

Barriere all’ingresso.

Se ci sono barriere all’ingresso del mercato, la concorrenza perfetta viene

meno. Per “barriera all’ingresso” si indica ogni fattore che consente alle

imprese già esistenti e attive/operanti nel mercato (che chiamiamo

incumbents perché incombono sul mercato) di realizzare profitti (anche molto

elevati) senza che questo riesca ad attrarre altre imprese nel mercato.

Oppure per “barriera” si può intendere anche un costo che devono affrontare

le nuove imprese che vogliono entrare nel mercato (che chiamiamo entrant),

ma che non affrontano le imprese già esistenti in quel mercato. Le barriere

possono essere di 2 tipi:

- barriere esogene (o strutturali) sono quelle che dipendono dal tipo di

produzione. Esistono e non ci possiamo fare niente! Un es. è il caso di

monopolio naturale in senso tecnico, cioè un monopolio particolare

dovuto al fatto che la concorrenza non è proprio vantaggiosa a

prescindere. A tale proposito pensiamo al caso delle ferrovie: per

costruire una ferrovia, infatti, i costi sono molto alti, allora è molto

meglio che ci sia un solo operatore che costruisca i binari e che sia in

grado di assorbire su di sé tutta la domanda;

- barriere endogene (o strategiche) che dipendono dal comportamento

delle imprese già esistenti nel mercato che vogliono scoraggiare

l’entrata di altre imprese.

Barriere endogene (o strategiche).

Ipotizziamo di avere un mercato in monopolio, quindi c’è un’unica impresa

operante (che chiamiamo incumbent) e una potenziale impresa che vorrebbe

entrare in questo mercato (che chiamiamo entrant). GRAFICO: abbiamo un

monopolio, poniamo in ordinata i profitti dell’incumbent π e in ascissa la

i

quantità prodotta dall’incumbent q . Disegniamo la curva dei profitti del

i

monopolista che ha un andamento a campana, infatti in un primo momento

aumenta (all’aumentare della quantità), poi tocca un picco massimo e poi

diminuisce con la quantità (in quanto se il produttore aumenta ancora la

quantità, allora il prezzo che i consumatori sono disposti a pagare diminuisce,

e aumentano i costi di produzione, che infatti sono crescenti all’aumentare

della quantità). Pertanto aumentare la quantità oltre un certo livello significa

avere un profitto che diminuisce e che diventa zero. Se si producesse oltre

quel punto, i costi sarebbero così elevati che il prezzo non li coprirebbe (cioè

si avrebbe una perdita). Come sappiamo un monopolista vuole massimizzare

i suoi profitti, quindi si collocherà nel punto di Cournot (dato dall’incontro tra

ricavo marginale MR e costo marginale MC) che corrisponde al punto

massimo di profitto. Dunque il monopolista produrrebbe quella quantità lì.

Quindi, mentre per un’impresa già operante (incumbent), la curva dei profitti

ha la forma di una campana; per l’impresa entrant, invece, i profitti dipendono

anche da quello che sta facendo l’impresa già operante, cioè se io voglio

entrare in un mercato in cui c’è un’impresa incumbent che produce tanto, il

mio margine di clientela sarà molto basso perché è difficile che la gente

abituata con quel venditore cambia e viene da me che sono nuovo. Pertanto

la prospettiva di profitto per l’impresa entrant diminuisce all’aumentare della

quantità prodotta dall’incumbent: Se l’incumbent produce una quantità bassa,

il profitto atteso dell’entrant è positivo quindi ha interesse ad entrare nel

mercato. In questo caso si sviluppa un duopolio. Pertanto succede che

l’impresa incumbent che prima era monopolista, adesso è in concorrenza con

un’altra impresa, quindi la curva dei suoi profitti si abbassa di molto, per cui o

l’impresa incumbent continua a produrre la quantità q (cioè la quantità di

m

prima) ma farà un profitto molto più basso che diventa Π (pi greco

i,c

dell’incumbent in regime di concorrenza o di duopolio) oppure riduce la

quantità massimizzando la nuova curva del profitto. In realtà, però,

l’incumbent potrebbe fare qualcosa di molto più intelligente cioè potrebbe dire

“l’impresa entrant entra solo se il suo profitto atteso è positivo, ma se il suo

profitto atteso fosse zero non entrerebbe”. E allora “dov’è che il profitto atteso

dell’entrant è zero?”. Nel punto che coincide (per puro caso!) con la curva

verde dei profitti. A noi interessa la curva azzurra che tocca lo zero quando la

quantità è ad un certo livello. L’impresa incumbent allora dice “se io produco

la quantità q rimango monopolista perché l’altra impresa non entra!”. Allora

d

non avremo più davanti la curva dei profitti verde, bensì quella rossa. Se

trasciniamo in su il punto q fino alla curva rossa, notiamo che l’incumbent

d

guadagna un bel po’ (quello è il profitto che è di gran lunga maggiore rispetto

al massimo che può ottenere in condizioni di duopolio). Pertanto all’impresa

incumbent conviene creare una barriera cioè produrre di più (non produrre

più q ma q ) e abbassare i prezzi. A questo punto la prospettiva di profitti

m d

per l’impresa entrant è zero, per cui non entrerà. Quindi l’incumbent rinuncia

a parte dei suoi profitti (che prima erano altissimi) ma mantiene un profitto

comunque elevato e diminuisce ulteriormente il suo profitto se l’impresa

entrant dovesse effettivamente entrare (ha creato una barriera strategica!). In

questo caso interviene lo Stato per impedire che queste barriere abbiano un

effetto e quindi per impedire questo tipo di comportamenti.

Poi abbiamo anche altre barriere:

- Predatory pricing è una strategia per spingere un’impresa ad

uscire da un mercato in cui è già entrata o per impedire l’ingresso ad

altre imprese. Tale strategia consiste nell’abbattere i prezzi anche al di

sotto del costo marginale MC. Ciò, ovviamente, comporta per l’impresa

una perdita nel breve periodo, ma nel lungo periodo, appena il pericolo

di ingresso di altre imprese è scongiurato, aumenta di nuovo i prezzi e

così ritorna a fare profitti (recuperando anche le perdite).

- Accordi collusivi (o cartelli) che possono essere:

• orizzontali sono quelli tra imprese concorrenti che operano

nella stessa fase di produzione: per es. 2 imprese che producono

pane si accordano per fissare il prezzo del pane a 2 euro al kg. In

questo modo evitano di farsi concorrenza a vicenda e, allo stesso

tempo, impediscono ad altre imprese di entrare nel mercato.

• verticali sono quelli tra imprese operanti in fasi di produzione

diverse: per es. io sono un panettiere e compro il grano da Tizio

che è un produttore di grano (quindi 2 livelli di produzione

diverse). Io mi impegno a comprare il grano da Tizio, e Tizio si

impegna a

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Publisher
A.A. 2015-2016
42 pagine
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SSD Scienze economiche e statistiche SECS-P/01 Economia politica

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher butterfly1990 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Economia politica e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Messina o del prof D'Agostino Elena.