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Estratto del documento

Il foro che compariva nella parte inferiore delle anfore o degli altri contenitori serviva per facilitare

l’operazione della degustatio.

Una volta compiuto l’assaggio o trascorso il termine utile per effettuarlo, il pericolo

dell’inacetimento del vino veniva imputato allo stesso acquirente.

Se invece la degustatio non era prevista il rischio gravava sul compratore al momento della

conclusione del contratto.

La clausola della degustatio poteva essere prevista per qualsiasi tipo di vendita e se prevista il

contratto non poteva essere considerato concluso fino a quel momento. 8

Diritto Romano

Gloria Lorini

In alternativa al pactum degustationis, le parti potevano ricorrere al pactum displicentiae che

rinviava ad un terzo la valutazione della qualità della merce in modo tale che la valutazione

potesse essere esplicata in maniera più oggettiva.

——

In età romana non era il nutrimento l’unica funzione del cibo. I prodotti alimentari venivano spesso

cucinati in modo elaborato per realizzare pietanze ricercate. Il cibo nei convivi divenne il centro

delle relazioni pubbliche.

A partire dal III sec. a.C., a seguito della vittoria da parte di Roma della seconda guerra punica e

della conseguente espansione di Roma nel mediterraneo, aumentarono esponenzialmente gli

alimenti portati in tavola e i piatti si fecero ancora più elaborati. I prezzi di certi alimenti

aumentarono e i banchetti assunsero connotazioni di opulenza ostentata e finalizzati a riscuoter

consenso sociale.

Talvolta per le dimensioni dei convivi era persino necessario l’intervento di contabili perché

fossero pagate le numerose prelibatezze e i cuochi impiegati. Era persino diffusa la prassi di

concludere mutui per sostenere i costi dei banchetti.

Il cuoco era diventato uno dei professionisti più ambiti.

Uno dei più frequenti eccessi negli usi alimentari riguardava il consumo del vino.

Nella tradizione romana Bacco era il dio del vino e della vendemmia, derivante dalla divinità greca

Dioniso. Il mito narra che la madre di Dioniso, gelosa di Era, avesse chiesto a Zeus di mostrarsi

nel suo splendore divino. Fu però incenerita da un fulmine mentre il piccolo Dioniso si salvò

protetto dalla coscia del padre. Il bambino crebbe in solitudine con la sola compagnia di Sileno,

dio degli alberi, dedito a bere. A Roma tale divinità venne identificata con Bacco che stimolava i

fedeli a sperimentare l’alienazione e a superare le barriere sociali.

Il ritrovamento di un epigrafe testimonia anche la grande diffusione del culto di Bacco: si trattava

di culti in onore del dio Bacco ai quali potevano partecipare solo gli iniziati. Il rituale si componeva

di due momenti:

1. L’iniziazione, eseguita con un giuramento

2. Un’esperienza orgiastica tramite la quale, grazie al vino, alla danza e all’erotismo, si entrava in

uno stato di entusiasmo religioso e di contatto con dio.

Tutto ciò si svolgeva in case private o in luoghi appositamente adibiti.

Nell’epigrafe il senato, allarmato da eventuali pericoli che i culti di Bacco potevano produrre, pone

divieti inerenti al culto e disciplina in modo accurato tutti gli aspetti del culto. Impone regole alla

partecipazione alle cerimonie, all’organizzazione interna al gruppo e alla composizione dello

stesso.

Il documento prevede anche alcune eccezioni.

——

Per quanto riguarda gli eccessi che si verificavano a tavola, è nota l’ostentazione di opulenza

finalizzata a riscuotere il consenso sociale.

Il banchetto è da identificare con la cena che era l’unico vero pasto della giornata e che si teneva

di solito dopo il bagno alle terme. I due pasti precedenti della giornata erano solitamente qualcosa

di più rapido in cui si consumavano per lo più gli avanzi della sera precedente e per cui non si

apparecchiava neanche la tavola.

La cena prevedeva una gustatio (antipasto), la primae mensae con piatti a base di pesce, carne,

farinacei e latticini, la secundae mensae (dessert) che oltre al dolce poteva prevedere uova,

bocconcini di lepre e pasticcini al miele.

In conclusione al pasto si svolgeva la commissatio, cioè una sorta di brindisi finale. Alla

commissatio seguiva il simposio che si svolgeva di solito in un’altra sala e in cui si beveva altro

vino con l’abitudine di vuotare il bicchiere con un solo fiato. Era compito del presidente della

cena, il magister cenae, decidere quante coppe ognuno dovesse bere: non è raro che al termine

della cena i commensali stessero male.

Piatti e bicchieri erano in ceramica, terracotta o in vetro, i vassoi erano realizzati in metalli nobili. 9

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Gloria Lorini

Il luogo conviviale serviva da teatro o da palcoscenico. I commensali mangiavano distesi sul letto

triclinare con il gomito sinistro che li sorreggeva. I letti erano disposti a ferro di cavallo; all’ospite

d’onore veniva riservato quello che non aveva nessuno di fronte (il c.d. lectus medius). Alle donne

non era consentito sdraiarsi cosi come ai ragazzi che dovevano mangiare seduti su sgabelli posti

di fronte ai letti.

All’epoca non si usavano posate, si mangiava direttamente con le mani; era importante che

mangiando non ci si sporcasse il viso.

Di regola i commensali portavano da casa un tovagliolo che stendevano sulle gambe o

allacciavano al collo.

Tra le espressioni più tipiche di questo lusso compare la figura di Lucio Licinio Lucullo vissuto tra

il II e il I sec. a.C.. Questi era un militare romano in seguito dedicatosi alla carriera forense; era un

uomo ricchissimo e anche colto.

Si dice che si sarebbe potuto permettere 12 sale da pranzo, ognuna intitolata ad una divinità

diversa. Si narra che Cicerone e Pompeo un giorno lo avessero incontrato e si fossero fatti invitare

a cena per mangiare quello che lui mangiava di consueto: erano curiosi di conoscere quando si

trovava da solo. Lucullo ordinò ai suoi servi di imbandire la tavola nella stanza d’Apollo e siccome

gli schiavi sapevano esattamente a quali tipi di cibo fossero adibite le varie sale da pranzo, i due

ospiti furono abbagliati dalla bontà e dalla ricercatezza dei piatti.

Un’altra storia era quella secondo la quale un servo avendo sentito che il padrone non avrebbe

avuto ospiti quella sera, apparecchio la tavola per uno soltanto. Lucullo lo rimproverò dicendogli

che quella sera Lucullo avrebbe cenato con Lucullo —> non era necessario avere ospiti per

imbandire in modo sfarzoso la tavola e nutrirsi di prelibatezze.

Ancora oggi è diffusa l’espressione “luculliano” per indicare un pasto ricco ed abbondante.

In epoca imperiale visse anche un certo Marco Gavio Apicio che era un ricco patrizio che dedicò

la sua vita e tutte le sue risorse all’arte culinaria. Si racconta che si suicidò con del veleno perché

non erano più in grado, una volta finito il denaro che possedeva, di mantenere il suo tenore di vita

precedente.

Il suo nome è noto sopratutto per il ricettario che gli venne attribuito, il De re conquinaria.

A lui venne ricondotta l’invenzione di qualcosa di simile al foie gras.

Un’altra delle sue ricette consisteva nella cottura del cibo diverse volte cosi che il cibo si sarebbe

insaporito al massimo.

L’apice della lussuria è raggiunto dalla cena di Trimalcione, protagonista di un frammento dl

Satyricon, opera di Petronio del I sec. d.C.. È la parodia di un libero che, divenuto molto ricco

dopo essere stato manomesso, conduceva una vita esageratamente lussuosa.

Il suo cuoco, Dedalo, si vantava della sua insuperata abilità di presentare prelibatezze in

un’apparenza diversa. L’ostentazione coreografica voleva sfidare gli ospiti ad indovinare gli

ingredienti del cibo. Il cibo infatti non era finalizzato solo a sfamare ma anche a divertire ed

intrattenere.

La satira di Petronio punta in realtà a mettere a nudo le volgarità di Trimalcione che oltre ad

ostentare la sua ricchezza si vantava del denaro accumulato e delle ville possedute. leges

Nel quadro del lusso sfrenato e dell’ostentazione della ricchezza a tavola intervennero le

cibariae, interventi legislativi che si susseguirono per due secoli dall’età repubblicana per reagire

agli eccessi dei convivi.

Le leggi comiziali incisero sul numero dei convitati, poi sulla spesa massima e sulla decorazione

della mensa. Infine venne delimitata la quantità di un certo genere di cibi e la previsione di

eccezioni alla spesa massima di certi prodotti.

Le uniche fonti a noi pervenute su tale legislazione sono le riflessioni di Aulo Gellio e Macrobio

Teodosio. 10

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Limite al numero dei convitati

Lex Orchia de cenis (II sec. a.C.): la legge limitava il numero massimo di invitati ad un banchetto.

Lex Fannia cibaria (161 a.C.) ribadiva un numero massimo di convitati, stabilendolo nel massimo

di tre. Cinque erano ammessi solo nei giorni di mercato che si svolgevano ogni otto giorni. È

probabile che tali limiti caddero presto in desuetudine.

Previsione di una spesa massima

Quando si realizza che imporre un numero massimo di convitati non limitava le spese eccessive

sostenute per i banchetti si decise di intervenire sulla spesa affrontata per la preparazione del

convivio.

Un senatoconsulto dei primi decenni del II sec. a.C. ordinò alla nobilitas di impegnarsi

solennemente tramite giuramento a non spendere per la cena più di 120 assi. Questo primo limite

fu però imposto solo ai banchetti organizzati in occasione delle feste in onore della dea Cibele. La

decisione del senatoconsulto prevedeva eccezioni che intervenivano sul genere dei cibi da

consumare.

La legge Fannia riprendeva il limite dei 100 assi al giorno ma estendeva i giorni a cui esso si

applicava prevedendolo durante i giochi romani, i Saturnali e le altre festività. La legge prevedeva

inoltre 10 giorni al mese in cui si potevano spendere 30 assi e per tutti i giorni rimanenti se ne

potevano spendere 10.

La legge Fannia fu poi estesa tramite ulteriori leggi ad un numero sempre maggiore di destinatari:

le prescrizioni non erano più limitate ai provinciali ma venivano estese anche agli abitanti di Roma.

Le sanzioni non erano solo per chi organizzava le cene ma anche per gli invitati e i partecipanti al

convivio. Tali sanzioni erano probabilmente di carattere pecuniario.

Numerosi furono gli imperatori che intervenirono emanando leggi che imponevano limiti ora

maggiori ora inferiori alla spesa massima sostenibile per i convivi.

Anche Augusto si occupò del problema dei banchetti con una legge del 18 a.C. che differenziava i

limiti di spesa. Il limite era di 200 sesterzi per i giorni feriali, 300 per le calende, idi, none e altre

festività, 1000 per il giorno delle nozze e il banchetto del giorno successivo.

Un editto di Tiberio avrebbe elevato il limit massimo cons

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A.A. 2017-2018
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SSD Scienze giuridiche IUS/18 Diritto romano e diritti dell'antichità

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher Gloria2909 di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto romano del cibo e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Milano o del prof Fargnoli Iole.