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K. MART. ROMAE RUSTICO ET AQUILINO CONSS.
Se avrai dimostrato al giudice competente che il bambino, che tu dici essere nato da
Claudio, è «effettivamente> suo figlio, il giudice gli ordinerà di prestare gli alimenti al figlio
sulla base delle sue sostanze. Valuterà anche se il figlio debba essere cresciuto presso di lui.
Nel provvedimento tale obbligo viene configurato a carico di un certo Claudio, è da
ritenersi che si fosse tenuti a prestare gli alimenti anche nei confronti dei figli
naturali.
3. Contenuto analogo ha una successiva costituzione di Severo e Caracalla del 197:
C. 5.25.4: SEVERUS ET ANTONINUS AA. SABINO. Si patrem tuum officio debito
promerueris, paternam pietatem tibi non denegabit. quod si sponte non fecerit, aditus
compe-tens index alimenta pro modo facultatium praestari tibi
iubebit. quod si patrem se negabit, quaestionem istam in primis idem iudex examinabi. PP.
NON. FEBR. LATERA-NO ET RUFINO CONSS.
Se avrai meritato verso tuo padre gli obblighi dovuti, questo non ti negherà il suo affetto
paterno. Se non lo facesse di sua iniziativa, il giudice competente da te adito gli ordinerà di
prestarti gli alimenti secondo le sue sostanze. Se dovesse mettere in dubbio la sua paternità,
il giudice esaminerà in un primo momento questa questione.
Il provvedimento delinea lo stesso obbligo a favore del figlio in condizione che
officio debito nei confronti del padre. La tutela della
quest’ultimo si fosse comportato cognitio extra ordinem.
pretesa rientrava nella nuova forma di processo, la
È possibile che il primo obbligo alimentare nacque tra patrono e liberto: Modestino (III sec.
libro singulare de manumissionibus,
d.C.) in lo riconduce alla lex Aelia Sentia. In caso di
violazione di tale obbligo, il patrono perdeva il diritto alla prestazione delle opere del
liberto a suo favore. Sembra poi risalire all’età di Vespasiano (69-79) l’obbligo alimentare
senatoconsulto Plancianum,
tra consanguinei previsto dal per cui la donna, divorziata da un
cittadino romano, poteva obbligare l’ex marito a nutrire e educare il figlio con lui
concepito.
L’istituzionalizzazione dell’obbligo di prestare gli alimenti ai congiunti in difficoltà si ebbe
solo con Giustiniano, purché sussistettero due presupposti oggettivi:
- Capacità patrimoniale dell’alimentante
- Stato di bisogno dell’alimentando
8. Freschezza del cibo e tecniche di conservazione
Nel mondo antico non c’erano le cognizioni attuali in materia alimentare, che si
concretizzano nella pretesa che il cibo abbia alcune imprescindibili caratteristiche:
- Freschezza
- Provenienza tracciata
A tali cognizioni è conseguita la configurazione di un diritto all’alimentazione sana, la cui
tutela è stata garantita dalla più recente legislazione comunitaria e dal regolamento n.
178/2002. Art. 1, con la finalità di “garantire un livello elevato di tutela della salute umana
e degli interessi dei consumatori in relazione agli alimenti”, la normativa all’art. 2 definisce
l’alimento e prevede meticolose regole di prevenzione, obbligando gli Stati membri a
dotarsi di “sanzioni effettive e dissuasive” (art. 17).
Per tutelare gli interessi dei consumatori, sono da sanzionare pratiche fraudolente o
ingannevoli, adulterazione di alimenti e ogni altra prassi in grado di indurre in errore il
(art. 8).
consumatore
L’alimentazione è fondamentale per la salute: il diritto a un’alimentazione sana è oggi
È chiamato ‘diritto della quarta generazione’ e come il
riconosciuto come diritto sociale.
diritto dell’ambiente, costituisce un diritto per il cui godimento non è sufficiente
l’astensione dei terzi, ma è necessaria la cooperazione dello Stato o di un organismo
comunitario.
I Romani non conoscevano le sofisticate tecniche e i mezzi di refrigerazione di cui oggi
disponiamo, ma conoscevano varie modalità di conservazione del cibo.
sale era molto diffuso ma allo stesso tempo costoso per il lungo procedimento necessario
Il
alla sua lavorazione. Plauto lascia intendere che i vecchi avari lo tenevano sotto chiave per
non darlo ai servi. Sotto sale venivano essiccate la carne di maiale e il pesce; veniva
aggiunto al vino e all’olio affinché quest’ultimo non si ispessisse e si conservasse più a
lungo senza divenire rancido.
Nelle zone fredde, d’inverno, si sfruttava la neve a scopo di conservazione dei cibi; bene di
pregio, utilizzato anche per presentare i piatti o raffreddare e al contempo allungare il
vino. Si presume un costo molto elevato della neve, non solo perché soprattutto nelle zone
meridionali era difficile da procurare, ma anche perché doveva essere portata all’ultimo
momento per evitare che si sciogliesse.
Metodo alternativo ed efficacie di conservazione era la salamoia. Frequenti erano le
salgama salsamenta,
o da cui deriva il termine italiano
conserve di tale liquido, in latino
‘salsamenteria’. Columella racconta di una tecnica sofisticata di conservazione delle
cipolle: venivano fatte seccare al sole, poi sistemate all’ombra, in recipienti coperti da timo
e origano e riempiti di aceto e salamoia. La salamoia veniva utilizzata non solo per
conservare verdure e pesci, ma anche per la frutta, ad esempio pesche e albicocche.
Un altro metodo di conservazione della carne consisteva nella bollitura: si otteneva il
brodo e la carne così cucinata restava commestibile per una settimana.
Cibo frequente, soprattutto per i soldati in viaggio era il pan biscottato (bucellatum), per
fare in modo che si conservasse più a lungo, il pane veniva fatto cuocere due volte,
rimanendo così commestibile per mesi.
Problemi creava la conservazione del vino, la bevanda più diffusa nell’area mediterranea
(esso per le sue caratteristiche necessita di un luogo protetto con determinate condizioni
dolia
climatiche e fisiche). Spesso veniva conservato in (tini).
La caratteristica in tema di dolia è molto ampia, soprattutto in ragione di difetti che gli
stessi con i danni che ne potevano derivare.
Se i dolia locati erano difettosi, era a carico del locatore il rischio della fuoriuscita e
della conseguente perdita di vino:
D. 19.2.19.1 (Ulpianus 32 ad edictum):
Si quis dolia vitiosa ignarus locaverit, deinde vinum effluxerit, tenebitur in id quod interest
nec ignorantia eius erit excusata: et ita Cassius scripsit. aliter atque si saltum pascuum
locasti, in quo herba mala nascebatur: hic enim si pecora vel demortua sunt vel etiam
deteriora facta, quod interest praestabitur, si scisti, si ignorasti, pensionem non petes, et ita
Servio Labeoni Sabino placuit.
Se qualcuno, ignaro, avrà locato botti difettose e poi il vino sarà fuoriuscito, sarà tenuto nella
misura dell'interesse <del conduttore>, né verrà scusata la sua ignoranza; e così scrisse
Cassio. Diversamente <è> nel caso in cui hai locato un terreno da pascolo su cui cresceva
erba velenosa: infatti, in tal caso, se il bestiame è morto o anche se ha subito un danno, si
presterà ciò che corrisponde all’interesse <del conduttore>, se lo hai saputo; se <invece> non
lo sapevi, non richiederai il canone. E così sembrò bene a Servio, Labeone e Sabino.
Nel suo commentario all’editto Ulpiano riporta l’opinione del giurista Cassio in
merito al rischio del perimento della cosa locata.
- Se a essere locate erano botti difettose, il locatore rispondeva anche se
ignorava il difetto.
periculum
- La soluzione del a carico del locatore è diversa se, anziché il
perimento del vino, ci fosse stato il perimento del bestiame pascolato su un
terreno locato su cui cresceva erba velenosa: in questo caso il locatore
rispondeva solo se era a conoscenza della velenosità del foraggio.
dolia,
Accanto ai vi era una varietà di altri contenitori:
Amphorae
- Cuppae
- Cuppulae
- Utres
- Cullei
-
Questi cinque contenitori aggiuntivi vengono enumerati nel commentario ad Sabinum in
cui Ulpiano affronta l’interrogativo se nel legato al vino siano dovuti al beneficiario della
volontà testamentaria anche i contenitori.
D. 33.6.3.1 (Ulpianus 23 ad Sabinum):
Si vinum legatum sit, videamus, an cum vasis debeatur. et Celsus inquit vino legato, etiamsi non sit
legatum cum vasis, vasa quoque legata videri, non quia pars sunt vini vasa, quemadmodum
emblemata argenti (scyphorum forte vel speculi), sed quia credibile est mentem testantis eam esse, ut
voluerit accessioni esse vino amphoras: et sic, inquit, loquimur habere nos ampho-ras mille, ad
mensuram vini referentes. in doliis non puto verum, ut vino legato et dolia debeantur, maxime si
depressa in cella vinaria fuerint aut ea sunt, quae per magnitudinem difficile moventur. in cuppis
autem sive cuppulis puto admittendum et ea deberi, nisi pari modo immobiles in agro velut
instrumentum agri erant. vino legato utres non debebuntur: nec culleos quidem deberi dico.
Se è legato del vino, vediamo se sia dovuto assieme ai suoi contenitori. Celso dice che quando il vino è
legato, anche se non è legato con i contenitori, essi appaiono ugualmente es sere legati, non perché i
contenitori sono parti del vino, come per esempio gli ornamenti all'argento (così come deve essere per
le coppe o lo specchio), ma perché è verosimile che l'intenzione del testatore fosse quella di
considerare le anfore come fossero un' accessione al vino; e così, disse, noi parliamo di avere un
migliaio di anfore, riferendoci alla quantità di vino. Dove le botti sono interessate, io non penso che
sia vero che quando il vino sia legato, anche le botti siano dovute, specialmente se esse sono fissate
nella cella vinaria o sono difficili da spostare a causa della loro dimensione.
Tuttavia, nel caso di tini o tinozze, penso che debba ammettersi che esse sono pure dovute, a meno che
esse siano allo stesso modo inamovibilmente fissate al suolo così da essere un instrumentum della
terra. Quando il vino è legato, gli otri non saranno dovuti; io dico che non sono dovute neanche le
sacche di pelle.
Il giurista cita l’opinione di Celso, suo predecessore, che propende per il carattere
accessorio dei recipienti, anche