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SEZIONE 2 – LE NORME CONTRO LE NUOVE FORME DI

SCHIAVITU’

La legge n. 269/1998 nel contesto della riforma del diritto penale sessuale

Si tratta di una disciplina che si pone in linea di continuità con il percorso già tracciato dalla

l. n. 66 del 1996, a protezione della libertà sessuale (anche dei minori), integrandone e

completamente lo spettro di tutela, in un’ottica orientata verso la salvaguardia del sano

sviluppo fisio‐psichico dei minori.

L’elemento di novità di questa riforma, rispetto a quella della violenza sessuale, consiste

nel fatto che essa tutela specificatamente la sessualità dei minori, punendo particolari

forme di aggressione alla loro integrità. Se nel 1996 il legislatore si era limitato a

considerare comportamenti prevalentemente episodici e libidinosi, posti in essere da un

solo soggetto (violenza sessuale, atti sessuali con minorenne, corruzione di minorenne) o

anche da più soggetti (violenza sessuale di gruppo), con l’intervento normativo del 1998

ha, invece, inteso reprimere fenomeni più complessi, di cui sono protagoniste anche vere e

proprie organizzazioni criminali che operano a livello transnazionale e che abusano della

sessualità altrui a fini commerciali.

La filosofia di fondo che invero sorregge i nuovi reati di sfruttamento della prostituzione e

della pornografia infantile, mira a colpire i comportamenti dei soggetti che utilizzano i

minori, non già per appagare bisogni e desideri erotici, ma per realizzare profitti

economici: le prestazioni sessuali dei minori vengono in rilievo nel contesto di una più

ampia ed articolata attività di tipo imprenditoriale, diretta a soddisfare le esigenze dei

consumatori e gli scopi di lucro degli autori dei reati.

Si è soliti attribuire alla disciplina penalistica introdotta con la l. n. 269 del 1998 l’obiettivo

di colpire il fenomeno della c.d. pedofilia.

La pedofilia consiste in senso stretto in un’attrazione erotica per individui prepuberi o, più

comunemente, nei confronti dei bambini.

La sua rilevanza penale, nei moderni ordinamenti di ispirazione liberal – democratica, non

è fondata sul giudizio di riprovevolezza morale che bolla la perversione sessuale, bensi’

sulla sua dannosità nei confronti di persone in carne ed ossa. In uno Stato di diritto, infatti,

non è legittima la repressione della devianza sessuale come tale, essendo anche l’atto

perverso manifestazione della personalità umana il cui svolgimento è compito dello Stato

garantire. Anche la condotta sessualmente deviata è incriminabile solo nei limiti in cui

cagioni un danno ad altri: quando cioè lede beni giuridici diversi dalla morale pubblica e dal

buon costume.

Alla luce di questa impostazione liberale, laica e garantistica, la repressione della pedofilia

e, più propriamente, degli atti sessuali tra adulti e minori, anche consenzienti è

giustificabile con considerazioni relative alla dannosità, se non addirittura alla traumaticità

per il bambino di qualsiasi rapporto sessuale con un adulto.

Insomma: l’immaturità del minore e la differenza di sapere e di potere con l’adulto

connotano e qualificano la relazione pedofila e la rendono dannosa per il soggetto più

giovane. Si tratta, in altri termini, di condizioni che, impedendo al minore di comprendere

gli atti che compie e ponendo l’adulto in una posizione di preminenza, configurano il

rapporto, comunque, come abusivo o violento e ne legittimano l’incriminazione.

Quest’attribuzione di intenti è in realtà inesatta e, comunque, idonea a generare malintesi.

Innanzitutto, perché la pedofilia in senso stretto è, come già evidenziato, un’attrazione

sessuale verso i bambini, e quindi un desiderio, di per sé penalmente irrilevante finché non

si concretizza in un comportamento esterno (c.d. principio di materialità): e, pertanto, più

che di pedofilia si dovrebbe parlare di abuso di minore.

In secondo luogo perché il desiderio del pedofilo si realizza compiendo atti sessuali con il

minore, che può essere consenziente oppure costretto al rapporto, allora questi

comportamenti, pur gravemente lesivi dell’integrità e del sano sviluppo del minore, sono

sanzionati penalmente non già dalle nuove norme contro lo sfruttamento della

prostituzione e della pornografia minorile, bensì da quelle sulla violenza sessuale: essi

integrano, invero, i reati di violenza sessuale e di atti sessuali con minorenne, previsti dagli

artt. 609 bis e 609 quater.

La legge del 1998, invece, considera e condanna un fenomeno che, sia pur a carattere

sessuale, è anche ed essenzialmente economico. Per questo sembra poco appropriato

riferirsi ad essa come legge anti‐pedofilia. Chi sfrutta i minori a fini prostitutivi e/o

pornografici non è infatti un pervertito sessuale attratto da bambini ma una sorta di

imprenditore che abusa della loro sessualità per produrre beni e/o servizi con lo scopo di

realizzare profitti. Egli, in altri termini, non fruisce personalmente degli atti sessuali del

minore, ma anche gestisce l’offerta e la vendita al pubblico.

Il legislatore del 1998 ha collocato le nuove norme contro lo sfruttamento sessuale dei

minori tra i delitti contro la persona ed in particolare contro la libertà individuale. È infatti,

un dato ormai acquisito che i crimini sessuali offendono il diritto del singolo

all’autodeterminazione, e non l’interesse collettivo alla moralità ed al buon costume.

Tuttavia, mentre la legge n. 66/96 aveva inserito i reati contro la libertà sessuale nella

Sezione II, relativa ai delitti contro la libertà personale, il legislatore della riforma del 1998

ha preferito sistemare le nuove fattispecie di sfruttamento sessuale dell’infanzia nella

Sezione I, tra i delitti contro la personalità individuale, dopo l’art. 600 del c.p. che

contempla il delitto di riduzione in schiavitù.

Coerentemente con questa scelta, lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia,

del turismo sessuale in danno dei minori sono definiti “nuove forme di riduzione in

schiavitù”.

Il legislatore del 1998, ha equiparato lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia

e del turismo sessuale minorile, alla riduzione in schiavitù allo scopo di evidenziare lo stato

di fatto in cui viene a trovarsi un minore sessualmente sfruttato a fini commerciali.

La legge 6 febbraio 2006 n. 38, ha apportato una serie di modifiche alla disciplina dei delitti

contro le nuove forme di riduzione in schiavitù: in particolare accanto ai ritocchi

minorile (600 bis), di

concernenti le fattispecie obbiettive dei delitti di prostituzione

pornografia minorile (600 ter), di detenzione di materiale pornografico minorile (600

quater), ha introdotto all’art. 600 quater I, il nuovo delitto di pornografia virtuale.

Prostituzione minorile

Art. 600 bis: Chiunque induce alla prostituzione una persona di età inferiore agli anni

diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione è punito con la reclusione da sei a

dodici anni e con la multa da euro 15.493 a euro 154.937.

Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di

età compresa tra i quattordici e i diciotto ani, in cambio di denaro o di altra utilità

economica, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a

euro 5.164.

Nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che

non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni.

Se l’autore del fatto di cui al secondo comma è persona minore di anni diciotto si applica la

pena della reclusione o della multa, ridotta di un terzo o due terzi.

L’art. 600 bis, configura due nuove ipotesi di reato, accomunate dal riferimento alla

prostituzione minorile bene distinte dal punto di vista della condotta incriminata.

L’una, contenuta nel primo comma, punisce chiunque induce, favorisce o sfrutta la

prostituzione di un minore degli anni diciotto.

L’altra, contenuta nel secondo comma, incrimina il fruitore del rapporto sessuale

mercenario (c.d. cliente) quando il soggetto passivo sia un minore di età compresa tra i

quattordici e i diciotto anni, attribuendo così rilevanza penale, per la prima volta

nell’ordinamento giuridico italiano, al mercimonio di una prestazione sessuale reda da un

minore che pure abbia superato la soglia della intangibilità sessuale.

Entrambi i reati si muovono dalla stessa ottica di tutela poiché intendono proteggere

penalmente l’interesse a salvaguardare lo sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e

sociale, e dunque la formazione dell’intera personalità dei minori.

Il soggetto attivo della prima ipotesi di reato può essere chiunque.

Le condotte incriminate sono quelle di induzione, favoreggiamento e sfruttamento della

prostituzione minorile. Si tratta, come già osservato, di condotte identiche a quelle punite

con la legge Merlin (legge n. 75/1958) e non appare pertanto improprio utilizzare, almeno

in linea di massima, l’elaborazione in quella sede effettuata.

Così il termine induzione può certamente assumere il significato di persuasione,

determinazione o anche solo di rafforzamento della decisione altrui, e quindi ricomprende

nella sfera di operatività si il comportamento che fa sorgere in un soggetto l’idea di

prostituirsi, sia quello che gli fa da sostegno nel fargli superare o rimuovere eventuali

ostacoli che si frapponevano nel prendere una siffatta decisione. A sua volta per

favoreggiamento, può intendersi genericamente qualsiasi condotta diretta a rendere

possibile o più agevole l’esercizio della prostituzione.

Meno agevole è, viceversa, la determinazione concettuale del termine sfruttamento. Con

riferimento alla corrispondente previsione di cui alla legge Merlin, la giurisprudenza di

un’indebolita utilità

legittimità ha chiarito che lo sfruttamento si identifica nel trarre

dall’attività sessuale di chi si prostituisce; che non occorre che l’utile percepito sia di natura

economica, ma che deve trattarsi di un vantaggio ingiustificato.

Secondo la Cassazione, inoltre, lo sfruttamento non implicherebbe l’abitualità della

condotta, risultando punibile anche il singolo ed occasionale atto di ingiustificata

partecipazione del terzo ai guadagni della prostituta.

Una parte della dottrina ritiene, invece, che l’utilità che lo sfruttatore trae dalla

prostituzione altrui, deve essere sempre di natura economica: in sostanza, il semplice

ottenere un vantaggio di tipo economico dalla prostituzione di un/a minorenne, per la sua

particol

Dettagli
Publisher
A.A. 2017-2018
170 pagine
SSD Scienze giuridiche IUS/17 Diritto penale

I contenuti di questa pagina costituiscono rielaborazioni personali del Publisher DottoressaC di informazioni apprese con la frequenza delle lezioni di Diritto penale e studio autonomo di eventuali libri di riferimento in preparazione dell'esame finale o della tesi. Non devono intendersi come materiale ufficiale dell'università Università degli Studi di Palermo o del prof Fiandaca Giovanni.